Visualizzazione post con etichetta vita. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta vita. Mostra tutti i post

domenica 25 ottobre 2015

Preacher - Alamo

Autore: Garth Ennis, Steve Dillon
Origine: USA, UK
Anno: 2000
Editore: Vertigo/Magic Press






La trama (con parole mie): Jesse Custer è giunto alla fine della sua missione. Nel cuore degli States che ama, ad Alamo, il predicatore si prepara ad affrontare l'Onnipotente approfittando dell'occasione per invitare alla festa l'ex migliore amico Cassidy, il Santo degli Assassini, Herr Starr ed il Graal, e a malincuore l'amata Tulip, che il Nostro vorrebbe proteggere sempre e comunque.
Il piano di Jesse è semplice: far credere a Dio che Genesis ha lasciato il suo corpo ed indurlo a tornare in Paradiso, dove ad attenderlo prima che si possa sedere sul trono che gli conferisce poteri illimitati troverà il Santo, assetato di vendetta ed ormai, pur se riluttante, alleato del predicatore.
Peccato che, per poter completare la missione, Custer debba andare incontro ad un effetto collaterale non indifferente: dovrà necessariamente morire.
Tutto questo se Tulip non avrà modo di dire la sua, e Cassidy non decida di metterci lo zampino.









Tutte le cose belle, prima o poi, finiscono.
Non c'è scampo. La più grande condanna delle nostre esistenze e, di fatto, anche il sale che rende il viaggio che compiamo lungo la Frontiera così dannatamente interessante vale per tutto, perfino per Preacher.
Il viaggio di Jesse Custer, Tulip, Cassidy, Genesis, Starr, Facciadiculo e dell'Altissimo in persona finisce in una cornice che è perfetta per lo spirito che l'opera di Ennis e Dillon ha portato sulla pagina attraverso le gesta del suo indimenticabile protagonista, Alamo, teatro di una delle imprese più leggendarie della Storia del West.
Personalmente, potrei scrivere davvero di tutto sulla cavalcata che segna l'addio di questo straordinario gruppo di personaggi ai fan, dal tripudio di proiettili che traccia la parola fine sul conflitto tra i Nostri ed il Graal fino al confronto con Dio di Custer e soprattutto del Santo degli Assassini, personaggio granitico ed apparentemente tagliato con l'accetta che, al contrario, visto da vicino mostra sfumature a profusione, oltre a rappresentare, di fatto, la critica degli autori ad un certo tipo di approccio alla religione - bellissima la riflessione sul "Dio d'amore" che scatena i peggiori conflitti e crea il libero arbitrio perchè mosso dal bisogno disperato di vedere la gente scegliere di amarlo -, passando per la chiusura dei conti tra Jesse e Cassidy e l'amore troppo grande per questo e l'altro mondo di Jesse e Tulip, elogiare scrittura e disegni, colori ed idee.
Ma non ce la faccio.
Perchè rileggere Preacher è stato anche più bello della prima volta.
E' stato riscoprire un personaggio che incarna tutti i valori dell'America che sogno da quando ero bambino, dai tempi dei Western con John Wayne visti accanto a mio nonno, delle seconde possibilità e dei losers, del larger than life che comporterà pure tanti difetti, ma che rende gli USA un paese magico ed unico, che in un modo o nell'altro colpisce l'immaginario di tutto il mondo.
E' stato sentire sulla pelle la libertà di potersi battere fino alla fine (del mondo) per le persone che si amano e per quello in cui si crede, e di farlo a testa alta, senza guardare in faccia a nessuno o vergognandosi di quello che si prova.
E si finisce in questo modo per sentirsi quasi avvolti dagli abbracci di fuoco di Jesse e Tulip, investiti dall'ossessione di Dio e di Starr, incazzati per quanto in merda siano andate le cose con Cassidy, e di nuovo commossi per quel braccio teso ad un amico, e furiosi quanto il Santo, e felici che perfino l'esule Facciadiculo, alla fine, possa trovare il suo posto nel mondo, permettendo agli autori di congedarsi anche dai comprimari conosciuti a Salvation.
Preacher se ne va dunque con il botto, un epilogo perfetto per il suo spirito profondamente Western, e alla grande come John Wayne che saluta il suo "protetto" Jesse prima di uscire di scena: e se il mitico Duca è stato un'icona perfetta per la generazione di mio nonno, vorrà dire che il mio spirito guida diventerà questo predicatore dedito a sesso, alcool, giustizia e libertà che nel corso del suo viaggio ha illuminato anche la mia strada.
Grazie, Custer. Grazie, Ennis. Grazie, Dillon.
Qui al Saloon avrete sempre un posto d'onore, la mia gratitudine ed una bottiglia di whisky.




MrFord




"And a hundred and eighty were challenged by Travis to die
by the line that he drew with his sword when the battle was nigh
any man that would fight to the death crossed over
but him that would live, better fly
and over the line went a hundred and seventy nine
hey Santa Anna, we're killing your soldiers below!
that men, wherever they go will remember the Alamo."

Johnny Cash - "Remember the Alamo" - 






venerdì 22 giugno 2012

Sotto il vulcano

Autore: Malcolm Lawry
Origine: Uk
Editore: Feltrinelli
Anno: 1947




La trama (con parole mie):  è il 2 novembre 1938, e siamo nel cuore del Messico delle rivoluzioni, delle feste dei morti, dei campesinos e degli europei in esilio o esplorazione.
Geoffrey Firmin, console britannico dedito all'alcool ritrova la compagna Yvonne, partita con l'intenzione di lasciarlo tempo prima e tornata per salvare il loro matrimonio.
Ad accompagnarli in una giornata filtrata da bevute, corride, silenzi della Natura e caotiche spirali tutte figlie dell'Uomo, il fratello del console Hugh, giunto dagli Stati Uniti: il loro viaggio alla scoperta della geografia fatta di visioni e solitudini che si sviluppa sotto i vulcani messicani diviene un'epopea di ricordi e speranze che si mescolano incessantemente, una disperata dichiarazione d'amore ed una lettera d'addio intrisa di passione, sudore e lacrime.




Esistono romanzi che si guadagnano la loro lettura, un pò come a volte capita con film così impegnativi da apparire, più che visioni, imprese eroiche dello spettatore: in questo senso, mi torna sempre alla mente il meraviglioso L'infanzia di Ivan di Tarkovskij, novanta minuti scarsi, che ad ognuna delle quattro visioni che gli ho concesso nel corso della mia vita è riuscito a dilatare il tempo apparendomi più o meno come avesse lo stesso minutaggio di Via col vento.
Sotto il vulcano, uno dei romanzi cult più ammirato ed incensato della letteratura inglese del novecento, è diventato per il sottoscritto un caso molto simile a quello del film del regista russo: quattrocento pagine così dense ed apparentemente sconnesse da farmi ricordare Dostoevskij come se fosse più o meno un autore per bambini, in grado di spezzare il ritmo di lettura quanto e più di romanzi densi come petrolio come Suttree del mio adorato Cormac McCarthy.
Dall'altra parte, però, è impossibile non riconoscere i lampi di genio assoluti che Lawry è in grado di regalare quasi celandoli tra una visione e l'altra dei suoi tre protagonisti: le lettere di Yvonne, la corrida ed il mescolarsi di presente e passato, le vite di Geoffrey, Hugh e della stessa Yvonne, la geografia di un piccolo paesino dell'entroterra messicano che diviene passo passo un personaggio vivo e presente, vero e proprio collante del romanzo, lasciano ammirati per la loro sconvolgente bellezza, ed una padronanza del mezzo letterario gigantesca pur se a tratti persa in un flusso di coscienza che pare incontrollato ed incontrollabile.
In questo senso, Lawry è riuscito nell'impresa di scrivere il romanzo perfetto per interpretare la sbronza nel senso più filosofico del termine, e nessuno che non abbia mai provato l'ebbrezza della progressiva perdita di coscienza legata all'alcool riuscirà mai a lasciarsi andare ad un'opera come questa, se non associandola ad una sorta di capogiro in loop: Geoffrey ed il suo peregrinare fatto di anis, tequila e mescal, il mondo che pare scomparire e rinascere, dettagli apparentemente insignificanti che divengono d'improvviso il fulcro per viaggi in altri luoghi, ritratti di persone che paiono vivere, esistere ed avere un senso soltanto lungo quel confine invisibile che divide la sbronza dalla lucidità, il mondo di chi conosce questo lato oscuro e seducente, i suoi demoni e le sue fate e di chi, invece, come in attesa su una banchina, vede allontanarsi i figli di questa mitologia apparentemente inspiegabile senza cogliere il senso del loro abbandonarsi ad una corrente magica e terribile, in grado di mostrare il peggio ed il meglio di chi si disseta con il suo nettare, concedere la forza per andare oltre ogni confine o stroncare ogni resistenza, e non lasciare altro che ceneri.
Proprio come un vulcano, che esplode in tutta la sua potenza senza curarsi di quello che distrugge attorno.
E nell'attimo che precede l'eruzione, ci si trova come ipnotizzati da una sorta di bellezza ancestrale, incapaci di muoversi, ad attendere che la lava spazzi via tutto quello che incontra, lasciando che restino ricordi cristallizzati sotto la crosta di una ferita troppo profonda: sotto il vulcano si muore, per l'appunto.
Eppure, nella cronaca struggente di quest'epopea malinconica, nella storia destinata a finire di Geoffrey e Yvonne, nelle gesta sempre troppo lontane di Hugh, c'è tutta la meraviglia di una vita vissuta fino all'ultimo goccio di ogni dannata bottiglia, a scoprire un mondo che, forse, deve soltanto essere imbrigliato come un puledro impazzito in un rodeo, o mostrato anche nelle sfumature che possono fare paura a tutti quelli abituati a salutare nel momento di una partenza, senza mai pensare che, in realtà, il viaggio potrebbe coinvolgere anche loro.
Questa è la magia clamorosa di questo romanzo, che andrebbe gettato nel fuoco o abbandonato come quando, nel pieno dell'hangover, si giura che non si berrà mai più, e ripreso la volta successiva, riscoperto, riletto, riassorbito, assaporato anche una pagina alla volta, senza badare troppo ai numeri o al resto delle nostre esperienze di lettori.
Questo è il potere di una delle forze più grandi della Natura, che libera il suo fuoco direttamente dal cuore della Terra, e lo fa esplodere nel cielo affinchè cambino - almeno fino al giorno dopo - tutte le nostre geometrie astronomiche, di mente e di cuore.
Questo è stare sotto il vulcano.
Vivere, farsi male, prendere tutto quello che si può, perderlo, e poi tornare a vivere di nuovo.
Fino a morire di quella stessa vita.
E a volte, chissà, potrà anche capitare di portare così tanto fuoco dentro da sentirsi così in alto da non vedere alcuna banchina, e avere attorno solo cielo e sogni, come se la lava non potesse toccarci.
Prima di tornare al nostro piccolo posto di comuni marinai mortali.
Sotto il vulcano.
Che è dove voglio essere, voglio stare, voglio vivere, voglio morire.
Cheers, Mr. Lawry.
Hai tu l'onore del bicchiere della staffa.


Dedico questo post a mio fratello Dario, cui devo la scoperta di questa incredibile esperienza.
Io e te, brotha, sotto e sopra il vulcano. Sempre.


MrFord


"Flew into existence, just a sweet bird of youth.
hugged my friends on the pavement,
hid my dreams on the roof.
wrapped in a blanket from the national health.
It isn't money but then what is wealth?"
Pretty things - "Under the volcano" -



giovedì 6 ottobre 2011

Steve Jobs (1955-2011)



So long, MrApple.

MrFord

"Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose - tutte le aspettative di eternità, tutto l'orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire - semplicemente svaniscono di fronte all'idea della morte, lasciando solo quello che c'è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c'è ragione per non seguire il vostro cuore."
Steve Jobs

sabato 9 luglio 2011

L'uomo in più

La trama (con parole mie): siamo nei primi anni ottanta. Antonio Pisapia è un difensore timido ed introverso con velleità d'allenatore, celebre per un gol in mezza rovesciata ed inviso ai compagni per la sua fermezza di idee. 
Antonio "Tony" Pisapia è un cantante, idolo di più di una generazione di ascoltatori, alle spalle una carriera fortunatissima e alla vigilia di un tour in partenza da Milano.
Ma la vita ha in serbo altro, per entrambi gli Antonio: un infortunio stroncherà la carriera del primo, uno scandalo sessuale quella del secondo.
Da quel momento, i Pisapia dovranno riconsiderare le proprie esistenze, lottare e cadere, lottare più duramente e cadere di nuovo, fino a quando il Destino non li metterà di fronte alla realtà più dura di tutte: nella vita non esiste il pareggio.

Non è un mistero che Paolo Sorrentino sia considerato, in casa Ford, come il più promettente tra i "nuovi volti" del Cinema italiano: in fondo, con Il divo ha consegnato alla Storia uno dei tre grandi Capolavori della settima arte nostrana degli ultimi quindici anni.
La mia passione per l'opera del regista partenopeo ebbe origine proprio dalla visione di questo film, che non ricordo neppure per quale motivo recuperai ai tempi - forse per il gran parlare che generò la presenza di Le conseguenze dell'amore al Festival di Cannes -, ma che mi colpì come un martello senza mai avere davvero bisogno di alzare la voce, tecnicamente - ottimo il piano sequenza costruito attorno all'ingresso di Tony in discoteca, grande colonna sonora, cast eccellente, azzeccatissima fotografia - quanto emotivamente.
Ed è proprio nell'emotività che risiede la forza di questo lavoro: le vite che si incrociano dei due Pisapia, che ricordano il Cinema melò di Wong Kar Wai - modello evidente del nostro Sorrentino - e danzano come le ballerine dei sogni che ispirano l'Antonio calciatore, travolgono per la loro passione come per la tristezza, l'impressione di una vita in cui solo i furbi, alla fine, riescono a farla franca, e che è "'na strunzata", per dirla come Tony il cantante, ma che, a conti fatti, è una partita che va giocata fino alla fine, con tutta l'energia di cui si dispone.
Personalmente, la storia di Antonio, con quel suo sguardo fiero e l'approccio timido, quasi fosse un ragazzino, mi è sempre stata più cara che non quella di Tony, artefice dei suoi successi come delle sue sfortune - come sottolineato nello straordinario monologo che prelude il finale ad opera di un altrettanto straordinario Servillo -, eppure i due non paiono essere altro che espressioni della stessa solitudine, dell'abbandono che il successo riserva ai suoi protagonisti, lasciando che l'oblio che segue il disprezzo passi a raccoglierne i cadaveri, come il più infido degli avvoltoi.
Sarà che Antonio e Tony sono due personaggi estremamente vividi e reali, sarà che qualche anno fa ero sicuramente più Antonio, e con il tempo la Natura di Tony è venuta progressivamente a galla, sarà che Antonio si chiama mio padre, che ha gli occhi chiari come il Pisapia calciatore e la sua stessa ferma, eppure velata dalla timidezza, decisione, e che Tony è l'espressione di quanto più casinisti eppure profondamente attaccati alla vita siamo cresciuti io e mio fratello, sarà che Antonio non dorme, e pensa ai suoi schemi, quelli da far applicare ad una squadra che non allenerà mai, e Tony non va al funerale di suo padre perchè "si è svegliato tardi", sarà per qualcosa che ancora non so, ma la visione di questo film e delle storie dei suoi due protagonisti riesce sempre a toccarmi nel profondo.
Sarà che vorrei tanto essere uno, e forse sono troppo l'altro. E viceversa.
E forse anche lo stesso Sorrentino deve aver sentito qualcosa di simile, ispirandosi alle vicende di Agostino Di Bartolomei e Franco Califano per dare forma ai suoi protagonisti, facendosi guidare dagli stessi, più che guidandoli.
Perchè Antonio e Tony necessitano l'uno dell'altro, come le differenti nature che convivono in ognuno di noi, formano il nostro carattere e ci aiutano a rialzarci, dopo ogni sconfitta.
Perchè nella vita non esiste il pareggio, e non sempre si è in grado di sopportare l'amaro sapore della caduta. E ancor più, della solitudine che la stessa comporta.
Perchè nella vita non ci sono meriti, lo ricorda Clint, e non possiamo, una volta messi all'angolo, pensare che non sia giusto trovarci lì.
Possiamo soltanto guardarci dentro, e scoprire quale sarà la prossima tappa.
Non è detto affatto che i migliori ricevano le carte giuste, lo sa il mondo, e lo sanno i due Antonio, protagonisti di cadute differenti, eppure entrambe tese - paradossalmente - alla Libertà.
Ci sarà chi si sentirà più vicino al calciatore, chi al cantante.
Ma la cosa davvero importante sarà data dal fatto che ognuno di loro è l'uomo in più dell'altro.
E così è per noi.
Il nostro uomo in più lo portiamo dentro.
Va soltanto tirato fuori.
Perchè se è vero che nella vita non esiste il pareggio, è altrettanto reale il fatto che, per noi, non si prospetta altro che una sconfitta, alla fine. 
La Natura decide. Sempre.
A noi non resta che rendere la stessa la più onorevole, intensa, meglio vissuta possibile.
In modo da non andare a fondo, ma tornare sempre a vedere cosa ci riserva il cielo sopra il mare.

MrFord

"Oh no, not I
I will survive
as long as I know how to love I know I'll be alive
I've got all my life to live
I've got all my love to give."
Cake - "I will survive" -

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...