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mercoledì 8 febbraio 2017

The birth of a nation - Il risveglio di un popolo (Nate Parker, USA, 2016, 120')




Il Cinema black è sempre stato un bacino molto interessante, culturalmente parlando, in particolare rispetto alla Storia degli USA, segnata nel profondo da episodi che, nel bene ma soprattutto nel male, hanno dato la direzione dello sviluppo sociale nel corso degli ultimi due secoli della "land of the free": in particolare la piaga che fu lo schiavismo è stata ed è ancora non solo una ferita aperta, ma anche una delle fonti d'ispirazione più importanti della settima arte.
Da Il colore viola fino a 12 anni schiavo, ma anche, indirettamente, passando per quasi tutti i primi lavori di Spike Lee, quello che si consumò prima della Guerra di Secessione negli USA è senza dubbio uno dei drammi più terribili dell'umanità almeno per quanto riguarda l'epoca moderna.
The birth of a nation, giunto in sala sul finire del duemilasedici spinto più che altro dalle certo non esaltanti vicende giudiziarie del regista, sceneggiatore e protagonista Nate Parker - che non andrò ad analizzare, anche perchè non dovrebbero influenzare il giudizio sulla pellicola -, si lega a doppio filo ai temi sopra citati, risultando, credo per chiunque abbia non solo un cuore, ma sia umano nel senso passionale del termine, rabbia ed indignazione, nonchè partecipazione - è difficile rimanere indifferenti rispetto a quello che i padroni bianchi compievano ai tempi, fossero stronzi fatti e finiti o peggio, apparentemente buoni ma intimamente peggiori perfino dei peggiori, si veda il personaggio interpretato da Armie Hammer -.
Eppure, forse per un eccesso di voglia di dimostrare tutta questa indignazione o per strizzare, chissà, l'occhio ai grandi premi di questo periodo, Nate Parker cade nella trappola del piede troppo pestato sull'acceleratore scivolando in una certa pesante retorica soprattutto nella parte finale del suo lavoro, perdendo nettamente il confronto con il già citato 12 anni schiavo, forse meno violento all'apparenza ma decisamente più incisivo, per non parlare con Django Unchained, in grado di mostrare il desiderio travolgente e rabbioso di vendetta degli schiavi senza per questo perdere in termini di coesione come The birth of a Nation, che soffre degli stessi difetti dell'altrettanto recente Free state of Jones senza essere, però, altrettanto in grado di creare un legame effettivo con l'audience, almeno per quanto mi riguarda.
Resta comunque un lavoro cui una visione risulterà sempre quantomeno doverosa, e per chi non conosce a fondo un periodo storico come quello narrato anche sconvolgente - sequenze come quella dei denti sfondati a colpi di martello e scalpello o delle frustate, per non parlare delle continue allusioni alle violenze sessuali subite dalle schiave e rimaste vergognosamente impunite -, e seppur decisamente non perfetto, un altro tassello di un affresco che ancora oggi serve per non dimenticare, e ad un Paese come gli States, all'interno dei quali le tensioni razziali sono tutto fuorchè alle spalle, importante per cominciare a costruire davvero una Nazione che sia un'ispirazione ed un esempio, e non solo un pentolone sempre sul punto di scoppiare e sempre - più o meno - per le stesse ragioni.
Poi, senza dubbio, dovendo pensare solo alla visione, probabilmente io mi sarei votato alla rivolta molto prima del protagonista, ma è anche vero che, in fondo, il sangue chiama sempre sangue, e forse una vera svolta non si avrà fino a quando non arriverà qualcuno con fortuna, palle e coraggio così grandi da portare a casa il risultato senza che ci sia bisogno, da una parte o dall'altra, di gridare vendetta.




MrFord




 

lunedì 24 febbraio 2014

12 anni schiavo

Regia: Steve McQueen
Origine: USA, UK
Anno: 2013
Durata: 134'




La trama (con parole mie): Solomon Northup, violinista, padre di famiglia e uomo libero vive come elemento di spicco della comunità di Saratoga, New York, nel 1841. Nel corso di un viaggio della moglie con i due figli è avvicinato da due uomini che gli offrono un ingaggio ben pagato attirandolo in una trappola: Solomon viene infatti rapito e venduto come schiavo, iniziando una vera e propria odissea costruita su sofferenza, tentativi di fuga, passaggi di proprietà da un padrone all'altro, sopportando vessazioni ed umiliazioni per poter sopravvivere.
Divenuto uno degli schiavi del tirannico Epps, Northup, ribattezzato Platt, dovrà attendere ben dodici anni prima di poter intravedere una speranza di tornare tra le braccia dei suoi cari.






Non ho mai amato particolarmente il lavoro di Steve McQueen.
Talento estetico indiscutibile, infatti, il regista anglosassone mi è sempre parso come un illustre appartenente alla categoria dei "belli senz'anima", capace di regalare qualche zampata ma non di coinvolgere fino in fondo: dunque, i precedenti Hunger e Shame, seppur validi, finirono presto nel dimenticatoio fordiano delle visioni dalle quali ci si poteva aspettare decisamente di più.
12 anni schiavo, pellicola che avrebbe potuto significare svolta o clamorose bottigliate per il suddetto McQueen, rappresentava anche una prova non semplice: lavorare su un film che racconti - peraltro molto bene - una storia vera legata ad una delle ferite più profonde della Storia americana, quella dello schiavismo, senza rischiare di scadere nella retorica di grana grossa non si prospettava certo come una cosa da nulla, pur considerando che - fortunatamente - tematiche come queste difficilmente incontrano critiche aspre ed agguerrite - un pò come la persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti -, e come recitava Kate Winslet in Extras, di norma finiscono per essere premiate ai grandi Festival.
Senza dubbio, il corpulento Steve ha raggiunto il suo obiettivo: 12 anni schiavo è indubbiamente un grande film sia dal punto di vista tecnico che emotivo, in grado di smuovere sentimenti e toccare temi importanti come il diritto alla Libertà che dovrebbero essere sempre e comunque alla base della società umana, interpretato da un gruppo di attori in grande spolvero, fotografato con una cura maniacale ed in grado di passare dalla violenza estrema - fisica e psicologica - a momenti di delicatezza quasi straziante, senza risparmiare, in questo, neppure una fetta dell'audience.
Eppure, tolti il fattore tecnico e la lotta per la sopravvivenza affrontata da Solomon Northup, così come lo splendido finale - da brividi quel "perdonatemi" che ancora mi scuote dentro -, sono rimasto fino all'ultimo indeciso sul voto da assegnare a questo film, trovandomi a ripensare al percorso intrapreso dal regista, al coinvolgimento giustamente "obbligatorio" del pubblico, al fatto, per dirla come Julez, che ci si aspetti di piangere, alla fine, inesorabilmente.
Il passaggio decisivo che ha permesso a 12 anni schiavo di muovere un passo oltre è finito per essere il confronto che Solomon ha con il carpentiere Bass interpretato da Brad Pitt, charachter abolizionista e cresciuto in una realtà ben diversa - quella canadese - rispetto agli Stati del Sud, e nel faccia a faccia di quest'ultimo con il tirannico Epps cui presta lo sguardo spiritato un ottimo Fassbender: riflettendo sulle condizioni agghiaccianti dei lavoratori, la differenza di vedute tra Nord e Sud che sfocerà nella Guerra di Secessione si traduce nella questione posta da Bass al proprietario della piantagione che ha visto prigioniero Solomon per anni, ovvero il fatto che, a prescindere dalla razza, il concetto di schiavitù non dovrebbe esistere nella società.
Nello sguardo deciso di Brad Pitt rivolto a Chiwetel Ejiofor, e in quel "non l'aiuterò perchè è un piacere, l'aiuterò perchè è un dovere" si riassume tutto quello che ho vissuto affrontando questa visione.
12 anni schiavo non è un film indimenticabile, una bomba della settima arte come The wolf of Wall Street.
Non è neppure piacevole da vedere, perchè mette a nudo uno dei concetti più importanti che riguardano l'Uomo come animale sociale, e personalmente mi ha messo di fronte al fatto che, probabilmente, se fossi ridotto in schiavitù non riuscirei a sopravvivere, perchè finirei per seppellire di legnate il Paul Dano della situazione finendo impiccato a qualche albero sperduto.
Ma non è per piacere, che un'opera come questa va guardata, vissuta, ammirata.
12 anni schiavo va indiscutibilmente promosso perchè è un dovere di noi tutti non dimenticare quante persone hanno dovuto sputare sangue affinchè certe cose non si ripetessero, come si dice accada quando si parla di Storia.
Un dovere che Steve McQueen sceglie di raccontare nel modo più elegante possibile.
Ma indiscutibilmente un dovere.



MrFord



"Oh, when them cotton bolls get rotten
you can't pick very much cotton,
in them old cotton fields back home."

Creedence Clearwater Revival - "Cotton fields" -




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