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sabato 30 dicembre 2017

Ford Awards 2017: i film (N°20-11)




E siamo giunti al penultimo appuntamento con i Ford Awards duemiladiciassette, dedicato alla decina di film tra quelli usciti in sala che sono riusciti a farsi apprezzare tanto dal sottoscritto dal giungere ad un passo dalla Top 10: chi avrà sfiorato, dunque, l'impresa del piazzamento tra i migliori?
Qui sotto la risposta, pronta ad essere variegata in termini di generi e stili come sempre si cerca di essere da queste parti.


N°20: THE VOID di JEREMY GILLESPIE e STEVEN KOSTANSKI


Una delle sorprese più liete della parte finale dell'anno: prendendo spunto dai grandi Maestri dell'horror anni ottanta - ed in parte settanta - i due registi confezionano una piccola chicca "mistica" e molto, molto splatter che non sarà il massimo in originalità ma senza dubbio riesce a far fruttare al meglio possibile gli insegnamenti dei grandi del passato.


N°19: BABY DRIVER di EDGAR WRIGHT


Edgar Wright è un protetto del Saloon dai tempi di Shaun of the dead e dell'indimenticabile Trilogia del Cornetto, ancora oggi ineguagliata anche dal suo autore.
Baby Driver, ritmo e colonna sonora pazzeschi, non sarà il suo miglior lavoro ma resta senza dubbio una delle piccole perle di quest'annata decisamente spenta sul grande schermo.




Discusso, contestato, amato o odiato, l'Episodio otto della Saga per eccellenza della Storia del Cinema risulta meno d'impatto del precedente - e splendido - Il risveglio della Forza, ma non per questo incapace di raggiungere il cuore di chi ci si butta.
Con il passare dei giorni dalla visione, è stato una conferma del Potere di questi personaggi e delle vicende che vivono e raccontano.

N°17: IT di ANDY MUSCHIETTI

 

Muschietti rischia grosso prendendosi in carico uno dei romanzi più noti ed amati di Stephen King trasposto - male, ma poco importa - all'inizio degli anni novanta in una mini televisiva divenuta oggetto di culto ringiovanendo nel modo migliore possibile una storia vecchia come il mondo: quella che vede dei ragazzi affrontare le loro paure.
Effetti bellissimi, casting perfetto, una sorta di Goonies versione nuovo millennio in uno stile che ricorda molto Stranger Things. Promosso in attesa del sequel.

N°16: FENCES - BARRIERE di DENZEL WASHINGTON

 
 
Il mitico Denzellone Washington, già fordiano ad honorem, regala una delle grandi sorprese dell'ultima edizione degli Oscar - una delle migliori degli Anni Zero -, con radici affondate nel Teatro, la Famiglia come tema centrale, grandi interpretazioni ed emozioni. 
Non per tutti, ma senza dubbio in grado di rimanere nel cuore di molti.

N°15: CIVILITA' PERDUTA di JAMES GRAY

 

Ho sempre amato James Gray, un autore in grado di conciliare modernità e profondo rispetto per il classicismo: nel corso della sua poco prolifica carriera, ha finito per non deludermi praticamente mai. Non è da meno questo Civiltà perduta, che recupera le atmosfere delle grandi epopee amazzoniche di Herzog e, seppur in modo incompiuto, regala emozioni in grado di far battere il cuore a chiunque senta il brivido all'idea di superare un confine.

N°14: BOSTON - CACCIA ALL'UOMO di PETER BERG

 

Peter Berg, regista americano di grana grossa al mille per mille, regala al pubblico il suo film migliore partendo da una drammatica storia vera e dando una lezione al Terrore che ha attanagliato ed attanaglia il mondo in questo Nuovo Millennio.
La logica della Paura non si vince con le armi, la forza, la risposta violenta.
Si vince con la coesione, il lavoro, la dedizione, il coraggio, la vita.

N°13: BILLY LYNN di ANG LEE



Uno dei film più sottovalutati della stagione.
Ang Lee, amatissimo dal sottoscritto, consegna al pubblico una storia sul lato oscuro dell'America che sarebbe piaciuta al Clint Eastwood migliore, quasi fosse una sorta di "Lato B" di American Sniper e delle contraddizioni assurde della guerra.
Una chicca che in pochi hanno davvero compreso, e che spero davvero possa essere con il tempo riscoperta.

N°12: LE COSE CHE VERRANNO - L'AVENIR di MIA HANSEN LOVE

 
La sorpresa radical dell'anno: giunto sugli schermi del Saloon con il presagio delle bottigliate pronto ad abbattersi sulla sua testa, il lavoro di Mia Hansen Love si è rivelato fresco, intelligente, profondo e legato ad uno dei concetti più importanti sui quali si possa filosofeggiare, il Tempo.
Bravissima la Huppert, elegante il film, toccante il contenuto.

N°11: LA LUCE SUGLI OCEANI di DEREK CIANFRANCE

 
 
Altro titolo che, sulla carta, qui al Saloon rischiava tantissimo, e che al contrario si è rivelato come una delle sorprese più belle dell'anno.
Sarà che, per un genitore, è impossibile rimanere indifferenti a determinate tematiche, ma è anche vero che, in barba alle critiche piovute addosso a Cianfrance, questa pellicola trasuda romanticismo nel senso migliore in cui si potrebbe intendere.


TO BE CONTINUED...





 




mercoledì 20 dicembre 2017

Star Wars Episodio VIII - Gli ultimi Jedi (Rian Johnson, USA, 2017, 152')




Ogni volta che penso a Star Wars e all'impatto che la saga ha avuto su generazioni differenti di fan torno sempre con la mente alle discussioni tra Randall e Dante in Clerks a proposito delle condizioni sindacali dei lavoratori della Morte Nera, o alla lotta verbale in Clerks 2 con protagonisti il già citato Randall ed il giovane Elias, che alla "Galassia lontana lontana" preferisce la Terra di mezzo di Peter Jackson: del resto, l'universo creato da George Lucas è divenuto parte della vita - e forse qualcosa in più - di milioni di fan, nonchè una vera e propria istituzione della cultura pop.
Ma se la prima trilogia è ad oggi intoccabile e la seconda decisamente discontinua, con la terza ed il recente Il risveglio della Forza le aspettative degli appassionati - sottoscritto compreso - si sono fatte sempre più importanti: all'arrivo sul grande schermo di questo Gli ultimi jedi, infatti, l'hype girava pericolosamente così in alto da finire quasi per spaventare chiunque provasse amore per questa spettacolare vicenda e tornasse a viverne le avventure con il desiderio di essere trasportati in un altro mondo come se il tempo dalla fine dei favolosi settanta e dall'inizio degli ancora più favolosi ottanta non fosse mai trascorso.
Rian Johnson, già regista del discreto Looper, raccoglie dunque il testimone da JJ Abrams e conduce lo spettatore attraverso un viaggio che, più che serrare i tempi e spingere l'audience con il fiato corto a quello che dovrebbe essere il capitolo conclusivo, si concentra sulla preparazione delle fondamenta dello stesso e sulle interiorità di Kylo Ren e Rey, due protagonisti dalle potenzialità enormi sia presi singolarmente che, soprattutto, uno accanto all'altra.
Rispetto al capitolo precedente il ritmo rallenta mentre aumenta la componente emotiva - che sfiora le corde della storia d'amore tormentata incontrando il favore incondizionato di Julez -, quasi gli autori volessero imparare a conoscere bene i main charachters prima di lanciarsi nella cavalcata di chiusura di questa nuova trilogia, e diminuiscono sia la componente ironica - che resta sullo sfondo in favore di un capitolo senza dubbio più "dark" del precedente - che quella tamarra e fracassona, sostituita da sequenze d'azione più affini alle atmosfere della pellicola di guerra che non ad un fumettone sopra le righe.
Il risultato è senza dubbio avvincente e costruito con perizia assoluta, nonostante si noti, almeno per quanto mi riguarda, il cosiddetto fenomeno "Le due torri": tanta carne al fuoco, produzione pazzesca, ma la sensazione decisamente ingombrante che si stia assistendo solo ad un gigantesco raccordo.
Un peccato veniale, comunque, che non fa perdere fascino ad un film che rispetta le grandi tradizioni del brand e riporta in gioco un Luke Skywalker sfaccettato, combattuto e non privo di lati oscuri - per citare un vecchio adagio della saga - neanche fossimo tornati ai tempi de L'impero colpisce ancora: accanto a lui, una Rey sempre più colonna portante del Bene nella sua accezione più profonda, una piccola guerriera che riesce nella non facile impresa di far risultare interessante e pronta a scatenare il tifo del pubblico una beniamina, per l'appunto, del Bene stesso.
A fare da contrappeso, il sempre più convincente Kylo Ren di Adam Driver, un cattivo tormentato ed in bilico tra i sentimenti e l'ambizione, che regala una grande sequenza nel confronto tra lui, Stoke e Rey e ruba la scena praticamente a chiunque fatta eccezione per la sua antagonista.
Questa parte di galassia lontana lontana, dunque, finisce per essere più ostica per il grande pubblico e per le serate di stanca - del resto, ho affrontato la visione in sala al termine di una giornata dedicata ad una gara di crossfit festeggiata con cinque gin tonic all'aperitivo natalizio della palestra, quindi non ero propriamente freschissimo e nel pieno delle mie facoltà fisiche e mentali - rispetto alla precedente, ma non per questo meno potente o affascinante: resterà ora da scoprire se, la prossima volta, quella spada laser si spezzerà ancora, o finirà nelle mani di Kylo o di Rey.
Del resto, l'amore è guns and roses. E spade laser, per l'appunto.




MrFord



martedì 5 febbraio 2013

Looper

Regia: Rian Johnson
Origine: USA, Cina
Anno: 2012
Durata: 119'




La trama (con parole mie): nel 2074 i viaggi nel tempo verranno considerati fuorilegge, e le organizzazioni criminali non avranno più modo di sfruttarli per i loro traffici. Unica loro possibilità sarà quella di eliminare chi deve essere eliminato tramite un contatto tornato indietro al 2044 a capo di un gruppo di sicari chiamati Loopers, che si occupano di fare fuori i malcapitati che la mala del futuro spedisce loro per direttissima già incappucciati ed immobilizzati, nonchè carichi dell'argento che funge da pagamento per la commissione.
A volte può capitare che un Looper chiuda il suo stesso cerchio uccidendo il suo io del futuro, ed in quel caso ha diritto ad una sostanziosa liquidazione che gli permetta di vivere i suoi ultimi trent'anni nell'agio più estremo.
Quando Joe viene messo ko dalla sua versione anziana giunta nel presente per vendicare la moglie uccisa dagli uomini di un nuovo, potentissimo boss che pare pronto a chiudere i cerchi di tutti i Loopers, si ritrova alle costole l'organizzazione che ormai lo ha bollato come traditore e scopre di dover fermare la sua versione matura che pare intenzionata ad uccidere quello stesso boss ancora bambino.




I viaggi nel tempo sono senza dubbio una delle realtà cinematografiche che mi ha affascinato di più fin dai tempi dell'infanzia, quando strabuzzavo gli occhi di fronte alle meraviglie di gioiellini come Ritorno al futuro o Terminator, costruiti interamente sul concetto non soltanto dello spostamento temporale, ma anche e soprattutto sull'idea di cambiare il passato per poter di conseguenza modificare il futuro.
Con riferimenti di questo tipo di fronte, non dev'essere stato affatto facile per un regista cimentarsi in un genere decisamente ostico, che rischia di confondere il pubblico e diventare un castello di carte destinato, in un modo o nell'altro, a crollare inesorabilmente: Rian Johnson, giovane cineasta e sceneggiatore fino a questo momento praticamente sconosciuto - la cosa più importante che porta la sua firma è l'interessante episodio della terza stagione di Breaking bad tutto incentrato su una mosca - raccoglie la sfida e la gestisce decisamente bene, tanto da confezionare un lavoro che non sarà memorabile ma che rappresenta un più che discreto nuovo elemento per un ambito della sci-fi che la storia recente della settima arte pareva avere colpevolmente abbandonato.
Fatta eccezione di un paio di sbavature nello script, qualche minuto di troppo rispetto alla durata e per il trucco pessimo di Gordon-Levitt che non ho capito se applicato per indurirne i lineamenti o se per renderlo più credibile come versione giovane di Bruce Willis, il resto funziona e si lascia guardare in scioltezza, alternando momenti in cui è l'azione a farla da padrona - la sparatoria in pieno stile Die hard che vede il vecchio Joe contrapposto ad Abe ed i suoi pistoleri - ad altri decisamente più votati all'introspezione - tutta la parte ambientata nella fattoria e legata al rapporto tra il giovane Joe, la combattiva Sara ed il piccolo Cid -, a mio parere i migliori della pellicola.
Il doppio cammino narrativo, inoltre, permette ai protagonisti - ovvero le due versioni del Looper in fuga - di mantenere su differenti piani anche l'evolversi della vicenda, lasciando al vecchio Joe la parte più "terrena" della vicenda e a quello giovane i sentimenti ed i riferimenti all'eredità di un altro cult degli anni ottanta, quell'Akira nato dalle pagine del Capolavoro a fumetti di Otomo e divenuto poi film d'animazione ed oggetto di culto per i fan della generazione di Rian Johnson - e della mia, a dirla tutta -.
Il crescendo finale, tutto incentrato sui poteri del piccolo Cid, porta alla mente proprio l'appena citata opera nipponica, e sfodera il meglio sia per quanto riguarda gli effetti ed il tocco - splendida la carrellata laterale sulla fattoria sventrata dall'esplosione di rabbia telecinetica del bambino - che rispetto ai contenuti, tornando ad affrontare il cardine ed il senso dei viaggi nel tempo: cosa comporta la possibilità di tornare indietro per poter cambiare la Storia? E dove porta?
E' davvero possibile pensare che esista un futuro migliore, e che la via per trovarlo sia proprio quella percorsa? E' l'azione a giustificare i mezzi, o il contrario?
Ha più senso il desiderio di vendetta del vecchio Joe, che ha visto portarsi via la donna che l'aveva salvato, l'amore della sua vita, il significato del suo Tempo, oppure il futuro di un bambino dai poteri quasi divini, in grado di poter essere puro Bene o altrettanto terrificante Male?
L'amore cui rinuncia una persona ormai giunta all'ultima parte della sua vita o quello di una madre, che potrebbe cambiare il corso di un'esistenza ancora al principio?
Con queste carte si ritrova a dover fare i conti Joe, quello del presente, che non avrà più la vita che avrebbe avuto, e potrebbe pensare di costruirne una nuova da zero: una scelta che è tra il passato che è il suo futuro, ed il futuro che segnerebbe la fine di tutto quello che poteva essere, che è stato e non ha ancora vissuto.
Pare quasi di assistere al dilemma di una generazione posta di fronte a se stessa e alla successiva.
Quasi come se il giovane Joe fosse il padre del suo io futuro: sia esso un bambino, o un uomo che potrebbe essere suo padre, ma che altri non è se non lui stesso.
Voi cosa fareste, al suo posto? Quale grilletto dovrà essere premuto? E da quale Joe?
I viaggi nel tempo sono roba tosta.
E con tutti i limiti del caso, Rian Johnson pare averlo capito davvero bene.


MrFord


"So take the photographs, and still frames in your mind 
hang it on a shelf in good health and good time
tattoos of memories and dead skin on trial
for what it's worth it was worth all the while.
It's something unpredictable, but in the end is right.
I hope you had the time of your life."
Greenday - "Good riddance (Time of your life)" -



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