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sabato 15 aprile 2017

Il sapore del successo (John Wells, USA, 2015, 101')





Dai tempi in cui cominciai a superare la timidezza adolescenziale ed a cambiare in quello che sono oggi, realizzai da subito che mangiare, per me, sarebbe stato importante almeno quanto bere.
Non sono uno che mangia tutto, ma sul cibo, come sulla vita, ho una mentalità molto aperta, e se qualche ingrediente dovesse avere anche solo una possibilità di piacermi, non mi tirerò mai indietro dal provarlo: dal sushi alla cipolla cruda, sono molte le cose che una ventina d'anni or sono non mi sarei neppure sognato di assaggiare che ora fanno parte senza colpo ferire del mio background culinario, nonostante sia più un consumatore che non un cuoco, se non di sopravvivenza - Julez può testimoniare di essere stata conquistata con la pasta al tonno -.
Questa passione, questo istinto - che, a ben guardare, va di pari passo con quelli alcolici, sessuali e legati alla fisicità -, trova libero sfogo anche nella ricreativa visione di produzioni televisive come Masterchef, appuntamento fisso in casa Ford fin dai suoi esordi qui in Italia, pronto a far conoscere anche a noi comuni mortali la realtà dietro una cucina alta e stellata: Il sapore del successo, adattato e distribuito malissimo qui nella Terra dei cachi, dal cast ricco e sceneggiato dallo Steven Knight di Locke, si riferisce proprio a quel mondo fatto di aspirazioni, sacrifici, talento, esperienze sensoriali che è la cucina, specialmente stellata.
A partire da una vicenda forse narrata in modo troppo spiccio e semplice, il lavoro di John Wells finisce per diventare un gustoso divertissement che, seppur lontano dalle "tre stelle" inseguite dal suo protagonista - un Bradley Cooper nella sua versione da bad guy - e da cose molto più saporite come Soul Kitchen, emoziona, diverte e coinvolge senza perdere un colpo, dai passaggi più drammatici a quelli più leggeri, stuzzicando anche la fame grazie alla danza di alcuni piatti più simili ad opere d'arte che non a portate da pranzo o da cena.
La vita in una cucina, inoltre, come mostrato dal già citato Soul Kitchen o da Ratatouille, soprattutto se si tratta di una cucina stellata, pare l'equivalente di un addestramento nei marines orchestrato dal Sergente Hartman, all'interno del quale si sacrifica tutto, si mangia un sacco di merda e si deve essere disposti a dare il meglio in qualsiasi condizione per poter sperare di avere anche solo una possibilità alla lontana di emergere: una specie di piscina popolata da squali all'interno della quale, nonostante l'appetito, si può cercare soltanto di non essere mangiati, e se di tanto in tanto va bene di guadagnare qualche briciola.
In fondo, dietro l'atto d'amore che secondo me è il cucinare, c'è qualcosa di splendido e crudele ad un tempo: il fatto di poter creare qualcosa che conquisti, stimoli e nutra il tuo prossimo - soprattutto se si tratta di un prossimo che, per un motivo o per un altro, desideri vedere soddisfatto - è una delle cose più fantastiche che esistano, ma allo stesso tempo una delle più terribili, considerato che non ti permette, se non attraverso il piacere altrui, di godere di quello che fai.
In un certo senso, la cucina è una versione alternativa del sesso orale, del momento in cui ti concentri solo ed esclusivamente sul piacere di un'altra persona, e poco importa se per te sarà solo di riflesso.
In un certo senso, il percorso di maturazione e superamento del dolore - e di se stesso - del protagonista interpretato da Bradley Cooper passa proprio da questo: a volte, per poter imparare ed evolvere in prima persona, si deve concedere qualcosa al mondo, agli altri, a quello stesso esterno che permetterà di imparare a migliorarsi, conoscere sapori nuovi e far godere chi abbiamo di fronte di quello che avremo raccolto.
Io adoro imparare almeno quanto insegnare.
E la cucina, il cibo, quell'istintività così simile al sesso, sono un veicolo perfetto.
Il sapore del successo ruota tutto attorno a questo favoloso concetto.
Poi, poco importa che il film sia solo piacevole, e non favoloso.
In fondo, io sono una buonissima forchetta.




MrFord




 

martedì 4 febbraio 2014

I segreti di Osage County

Regia: John Wells
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 121'




La trama (con parole mie): alla scomparsa del patriarca Beverly, sposato da una vita con l'arcigna Violet, le tre figlie della coppia e l'intera famiglia Weston si stringono attorno alla donna, cui è stato da poco diagnosticato il cancro.
La scoperta del destino di Beverly ed i giorni che seguiranno porteranno i membri del disfunzionale focolare domestico a confrontarsi gli uni con gli altri rivelando segreti celati da pochi mesi o da decenni: gli scontri che ne conseguiranno permetteranno alle verità taciute di venire a galla e di permettere a Barbara, Ivy e Karen di trovare la forza necessaria ad iniziare il resto delle loro vite.






Come ogni anno, nel periodo che intercorre tra Globes e Oscar cerco sempre di recuperare il maggior numero di pellicole candidate per le categorie principali possibile, in modo da poter avere un quadro più generale di quello che potrei sperare e che, puntualmente, finisce per tradursi in un'attesa disillusa.
I segreti di Osage County - scontato adattamento dell'originale August: Osage County - è giunto al Saloon spinto principalmente delle ottime recensioni riferite al cast, dall'atmosfera da provincia USA profonda - di recente riscoperta grazie all'ottimo Nebraska - e dalla sceneggiatura firmata da Tracy Letts, già autore dello script di uno dei supercult fordiani di queste ultime stagioni, Killer Joe.
Non che nutrissi particolari aspettative in merito, o che pensassi di trovarmi di fronte al film dell'anno - a questo pare avere già pensato Scorsese con lo strepitoso The wolf of Wall Street -, eppure devo ammettere di essere rimasto piuttosto freddo rispetto a questa visione: certo, l'ensemble di attori è strepitosa - nonostante la tanto celebrata Meryl Streep mi sia parsa più gigioneggiante che altro -, da una sorprendente Julia Roberts agli ottimi Chris Cooper e Benedict Cumberbatch, la cornice affascinante per chi, come il sottoscritto, subisce il fascino della Frontiera, sia essa geografica o di concetto, i temi trattati sono profondi - la famiglia come nucleo ribollente del nostro universo di emozioni, siano esse positive oppure no -, la regia pulita, ma qualcosa, in fondo, non mi ha convinto del tutto.
Per prima cosa, l'alone di seriosità che aleggia - e pesa - sulla sceneggiatura, e che pare concentrarsi sul solo dramma lasciando uno spazio fin troppo esiguo alla leggerezza - ed in questo senso, perde molti punti rispetto al già citato Nebraska -, dunque un ritmo certamente non serrato - neppure nei momenti migliori dei botta e risposta tra i protagonisti - pronto a rendere le due ore piene di visione una cavalcata da non affrontare certo a cuor leggero: il risultato è un film "wannabe" dal potenziale inespresso, discreto nel suo insieme - tecnica ed emozione -, in grado di regalare un paio di passaggi decisamente interessanti - il confronto a tavola tra la Streep e la Roberts, Chris Cooper pronto a difendere il figlio in un moto d'orgoglio rispetto alla decisamente più energica consorte - ma per nulla in grado di regalare al pubblico i brividi di pellicole simili come il bellissimo La fortuna di Cookie firmato dal Maestro Altman.
Certo, i titoli che toccano il tema della Famiglia eserciteranno sempre un discreto fascino, sul sottoscritto, specialmente quando al loro servizio sarà possibile trovare attori ed autori in grado di fare la differenza, ma nonostante le premesse mi verrebbe quasi da pensare che I segreti di Osage County sia simile ad una squadra con grandi individualità incapace di esprimere una realtà d'insieme, allo stesso modo del nucleo familiare che porta in scena: e se, a volte, questa particolarità finisce per fare la fortuna di un'opera, in questo caso rende il lavoro di John Wells soltanto un buon prodotto artigianale destinato a non fare breccia e lasciare un segno davvero profondo nell'audience una volta uscita dalla sala.
Resta comunque un film più che godibile narrato con piglio decisamente teatrale - la predilezione di Letts per questo tipo di struttura è evidente, ed anche in questo caso è ben coadiuvato dal regista - interpretato alla grande da tutti i suoi protagonisti - continuo comunque a pensare che la Streep sia stata fin troppo sopravvalutata, e spero ardentemente con non si porti a casa la statuetta come migliore attrice - ed in grado di affrontare problematiche che qualunque tipo di spettatore, appassionato o no di Cinema, saprà riconoscere.
Rispetto a quella che è la realtà della settima arte italiana, poi, direi che è già un lusso anche solo questa amara provincia USA.



MrFord



"Lay down, Sally, and rest you in my arms.
Don't you think you want someone to talk to?
Lay down, Sally, no need to leave so soon.
I've been trying all night long just to talk to you."

Eric Clapton - "Lay down Sally" -





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