Visualizzazione post con etichetta John Hughes. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta John Hughes. Mostra tutti i post

venerdì 7 novembre 2014

The Breakfast Club

La trama (con parole mie): cinque adolescenti che non potrebbero essere più differenti tra loro - una star del football, un secchione, una reginetta, un ribelle dalla fama di poco di buono ed una ragazza dark e problematica - finiscono in punizione sotto l'occhio vigile del preside Vernon, che assegna loro un tema attraverso il quale descriversi ed impone il confine di un'unica aula in cui trascorrere la giornata.
I ragazzi, inizialmente schierati ognuno sulle proprie posizioni e pronti a darsi contro, finiscono non solo per fare fronte comune rispetto al docente, ma anche per scoprire legami che non avrebbero mai pensato di avere proprio con quei compagni di scuola così diversi da loro.
Potrebbe essere, dunque, un nuovo inizio.







Quando, tempo fa, con il mio rivale di sempre Cannibale decidemmo di programmare una Blog War incrociata che permettesse ad ognuno di noi di torturare l'altro con il genere cui era meno avvezzo, temevo che la sua decina di proposte teen mi avrebbe segnato a vita - e per la maggior parte dei titoli, è stato così -: fortunatamente, in mezzo alla robaccia che è stato in grado di propinarmi, si nascondeva una chicca, un cult anni ottanta firmato da John Hughes che ha rappresentato, di fatto, uno dei manifesti di una generazione, e che purtroppo mi rammarico di aver recuperato soltanto in questa occasione.
Ad ogni modo l'incrocio di vite dei giovani Andrew, Claire, Allison, John e Brian nell'aula della punizione pronta ad occupare un sabato che avrebbero voluto passare certamente altrove è stato una sorpresa più che piacevole, un viaggio attraverso le insicurezze, i piccoli drammi e le storie d'amore dell'adolescenza leggero e profondo, in grado di coinvolgere il pubblico più disparato grazie ad una cinquina di personaggi in grado di toccare realtà e modi di reagire - alla punizione, ai genitori, alla vita - così diversi da rendere possibile l'immedesimazione con l'uno o l'altro.
Il percorso che i main charachters compiono rispetto a se stessi e, soprattutto, a chi sta loro attorno è costruito con intelligenza e passione, e riporta ad una dimensione quasi teatrale e da Cinema da camera che rispetto al genere è quasi un'illustre sconosciuta: i confronti che vedono John battersi contro il mondo in modo da non battersi davvero, Andrew lottare per mostrare l'immagine che di lui ci si aspetta, Claire respingere una natura più selvaggia, Allison una più dolce e Brian uscire lentamente dal guscio in cui ogni secchione "sfigato" si ritrova confinato nel periodo delle superiori risultano interessanti ed in grado di coinvolgere anche a distanza di parecchio tempo - nel caso del sottoscritto, sono passati ormai sedici anni dal diploma, non proprio bruscolini -, ricordando momenti esaltanti o tristi di una delle fasi fondamentali e più difficili della vita di ognuno di noi.
Ottimo il cast, costituito da attori che allora furono protagonisti della loro stagione migliore - Molly Ringwood e Anthony Michael Hall - ed altri che avrebbero conosciuto un successo anche maggiore - Emilio Estevez -: peccato per Judd Nelson - il tormentato Bender -, che non ebbe di fatto mai la grande occasione nonostante, in questo caso, fosse il vero volto e l'anima della pellicola.
Il plauso maggiore va comunque a John Hughes, riuscito nell'impresa di regalare una fotografia dei tormenti adolescenziali in grado di uscire dall'epoca in cui è stata scattata - clamorosamente avanti con i tempi la chicca del pranzo a base di sushi di Claire, in netto anticipo con gli attuali e sempre di moda all you can eat - e parlare a più livelli e più generazioni, esprimendo una potenzialità che potrebbe trasformare The breakfast club e la storia dei suoi protagonisti in un cult vintage anche per le generazioni attuali - un pò come accadde per altre pietre miliari del periodo, I Goonies e Stand by me su tutte -.
Considerate le premesse dell'operazione teen e della Blog War, è stato sicuramente interessante scoprire che esiste almeno un film di questo genere in grado di unire perfino due rivali assoluti come il sottoscritto e Cannibal Kid: in qualche modo, è un pò come se fossimo stati anche noi, in quella stanza, e tra una schermaglia e l'altra avessimo imparato che anche nelle nostre differenze e nella nostra lotta c'è qualcosa che il mondo "adulto" non potrà mai capire, e che in qualche modo ci legherà fino a quando non cresceremo.



MrFord



"Don't you forget about me
don't don't don't don't
don't you forget about me."
Simple Minds - "Don't you (forget about me)" -




giovedì 11 ottobre 2012

Dutch è molto meglio di papà

Regia: Peter Faiman
Origine: USA
Anno: 1991
Durata: 107'




La trama (con parole mie): Dutch Dooley, figlio di operai che ha fatto fortuna come costruttore, ha da poco stretto un legame sentimentale con Natalie, ex moglie di un borioso magnate della finanza dal quale ha avuto un figlio ormai adolescente snob, asociale e dall'ego decisamente troppo grande per un ragazzino. All'ennesima buca rifilata al giovane dal padre, Dutch si offre di andare a recuperare il ragazzo nella sua scuola privata in Georgia per riportarlo a Chicago in macchina, in modo da cercare di rompere il ghiaccio con Doyle - questo il nome del figlio di Natalie - e riavvicinarlo alla madre, che lo stesso vede come causa di tutti i problemi della famiglia.
Il panesalamismo di Dutch verrà messo a dura, durissima prova durante un road trip che si rivelerà ben più difficile di quanto l'uomo non potesse pensare.




Alla nutrita schiera di pellicole che fecero la storia delle visioni del piccolo Ford a cavallo tra la fine degli anni ottanta e l'inizio dei novanta passate dalle parti del Saloon mancava ancora uno dei titoli più consumati dal mio vecchio videoregistratore ai tempi della scuola media, un film decisamente troppo poco conosciuto eppure ancora oggi in grado di divertire il sottoscritto, oltre ad essere in grado di aprire l'ennesimo ponte con un passato più che mitico.
Dutch è molto meglio di papà, scritto dal John Hughes che tutti i fan della commedia ben conoscono e diretto dal Peter Faiman di Mr. Crocodile Dundee, è un ancora piacevolissimo film di formazione giocato sui rapporti tra padri e figli, un road movie dal ritmo sostenuto poggiato sulle spalle dell'Ed O'Neill tornato alla ribalta di recente con Modern family: il suo Dutch, pane e salame almeno quanto il vecchio Dundee, si accolla la "missione" di riportare su binari di sentimenti e vita vissuta Doyle, figlio della compagna Natalie viziato e cresciuto nel mito del ben poco sopportabile padre, che il ragazzo continua a vedere come una sorta di leggenda cui la madre ha fatto un torto dietro l'altro.
Ovviamente, come in tutti i film di questo genere, il rapporto tra i due protagonisti sarà burrascoso fin dal principio, dando libero sfogo alla mano di Hughes rispetto a gags molto fisiche - ricordiamo che il buon John fu padre, tra gli altri, anche di Mamma ho perso l'aereo - con protagonisti i due decisamente poco amichevoli compagni di viaggio, che cercheranno ad ogni occasione di rendere il tragitto dell'altro un vero e proprio inferno neanche io e il Cannibale decidessimo di intraprendere un coast to coast all'italiana per recarci ad un qualche premio ovviamente da conterderci all'ultimo sangue.
A questo punto inizia il tripudio di ricordi e risate in bilico tra i giorni in cui io e mio fratello rivedevamo questo film almeno un paio di volte la settimana ed il futuro, quando penso al momento in cui, chissà, avrò la possibilità di guardarlo insieme a mio figlio: dalla lotta nella camera dello studentato di Doyle ai fuochi d'artificio, dall'incontro con le prostitute - uno dei must dell'allora casa Ford, con le espressioni di Ed O'Neill dopo aver ingoiato la crema per le mani a piegarci dal ridere ad ogni visione - a quello con i guardiani, il rapporto tra Doyle e Dutch è una sorta di educazione da strada che porta il ragazzo a scoprire un mondo fino a quel momento distante anni luce dalla sua condizione di benestante viziato che già avevo amato in Over the top, e che allo stesso modo porta ad una presa di coscienza dell'adolescente protagonista rispetto all'essere uomo e alla crescita, al fare affidamento su se stessi e le proprie forze così come imparare a vedere i sacrifici che soprattutto le madri fanno per assicurarsi la felicità dei figli anche a scapito della loro.
Come in ogni prodotto per ragazzi made in USA che si rispetti, poi, c'è spazio anche per i buoni sentimenti, e ai tiri mancini di Doyle e Dutch si contrappone un crescendo finale decisamente meno casinaro e più votato al "film per tutti": eppure è un "per tutti" che funziona, rispolverando l'atmosfera dei titoli "da pomeriggio" che hanno caratterizzato la mia infanzia e regalando anche un finale impreziosito dall'anello di Dutch, inguardabile eppure assolutamente utile quando si tratta di chiudere questioni in sospeso con boriosi miliardari dalle tendenze megalomani.
Un altro piacevole ritorno, dunque, ai tempi magici in cui tutto pareva possibile, ed uno dei titoli che, in questo particolare momento della mia vita in cui la paternità comincia ad affacciarsi rispetto al quotidiano, mi fanno sognare il momento in cui potrò rivivere quei momenti di cui conservo ricordi così fantastici attraverso gli occhi del piccolo Ford, che forse mi prenderà anche a calci come Doyle fa con Dutch, ma al quale spero il viaggio al mio fianco servirà per capire che questo vecchio cowboy vuole solo insegnargli tutto quello che sa, e che ha amato.
 


MrFord


"I'd get it one piece at a time
and it wouldn't cost me a dime
you'll know it's me when I come through your town
I'm gonna ride around in style
I'm gonna drive everybody wild
'cause I'll have the only one there is a round."
Johnny Cash - "One piece at a time" -


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...