lunedì 23 aprile 2018

Molly's game (Aaron Sorkin, Cina/USA/Canada, 2017, 140')




Esistono persone che, nel corso della propria esistenza, rifuggono con tutte le forze conflitti e tensioni, e trovano la loro dimensione migliore nella tranquillità, lontane dall'occhio del ciclone: altre, al contrario, riescono a dare il meglio soltanto quando la pressione sulle loro spalle cresce, la tensione sale, le chiappe si stringono.
Molly Bloom, probabilmente, in parte per formazione e retaggio - le figure del padre e dei fratelli devono aver influito molto - ed in parte per carattere, fa parte della seconda categoria.
Sciatrice professionista costretta al ritiro dopo un clamoroso incidente divenuta una leggendaria organizzatrice di partite di poker ad alto livello tra celebrità dello spettacolo, dello sport, della finanza e chi più ne ha, più ne metta tra Los Angeles e New York nel primo decennio di questi Anni Zero, questa donna più che cazzuta ha finito per ritrovarsi nel fuoco incrociato di crimine ed FBI, rischiando la vita prima e anni di carcere poi, lottando con le unghie e con i denti - ed un avvocato con le palle - per riguadagnare il proprio posto e divenire un'autrice sfruttando l'avventura più intensa possibile: la sua vita.
Aaron Sorkin, uno degli sceneggiatori più fenomenali degli ultimi anni - autore di script pazzeschi come The Social Network o Moneyball - debutta alla regia con quella che pare la versione "di classe" di Tonya, il ritratto di una donna gettata in pasto ad un mondo dominato dagli uomini e pronta a mostrare tutto il carattere e la volontà necessari per sopravvivere e ritagliarsi un posto sudato e conquistato, poggiandosi sull'interpretazione e la bellezza di Jessica Chastain, una delle favorite assolute del Saloon - se la gioca con Jennifer Lawrence, mica bruscolini - e sulla propria abilità alla macchina da scrivere, e finisce per centrare l'obiettivo al primo colpo, regalando al pubblico una pellicola solida e ben strutturata, avvincente e tesa, forse non esplosiva ma di grandissimo mestiere, segno che per questo autore il percorso potrebbe essere appena iniziato.
Alle spalle, inoltre, un anno importante a livello sociale come è stato il duemiladiciassette, storie come quella di Molly Bloom possono essere un esempio positivo - e non di sfruttamento mediatico, come purtroppo comincia ad accadere troppo spesso - di quanta forza si celi dietro l'universo femminile e di come dovremmo liberarci di tutte le zavorre venute da secoli di storia maschiocentrica per saltare in un futuro in cui si giochi a carte scoperte ed alla pari, che ci piaccia la tranquillità o la tensione, il relax da divano o il batticuore da sport estremo.
In realtà, comunque, Molly's game non è uno spot ruffiano spuntato nell'anno degli scandali molestie ed in cerca di facili approvazioni, quanto il racconto di una persona abituata a vivere sotto pressione e che per la ricerca continua di quella stessa pressione, delle conferme e della sensazione di poter essere all'altezza - bellissimo, in questo senso, l'incipit legato alla questione del "quarto alle Olimpiadi" - aumenta la posta in gioco, fenomeno che da ingordo di vita conosco bene, quantomeno rispetto alle cose che mi piacciono.
Sorkin dipinge sulla Chastain, dunque, un charachter complesso che racchiude le fragilità della ragazza cresciuta da un padre ingombrante - ottimo Kevin Costner, tra l'altro - e la forza di una donna in grado per anni di restare un'eminenza grigia rispettata e al di sopra delle parti in un mondo - quello della ricchezza - popolato fondamentalmente da soli uomini in uno dei campi - il gioco d'azzardo - più maschilisti che si possano immaginare.
E quando, alla fine della corsa su questo ottovolante di parole e sensazioni, si torna a pensare al punto in cui tutto era iniziato, sorge spontanea una domanda: voi cosa preferireste essere?
Quello che arriva quarto alle Olimpiadi, o quello che si rompe tutto in un salto prima di essere il primo, e deve ricominciare tutto da capo?
Volete il divano o il culo stretto?
Io una risposta per me ce l'ho.
E anche Molly.



MrFord



 

7 commenti:

  1. Lei molto brava e la storia meritava di essere raccontata, però 140 minuti sono troppi e soprattutto l'io narrante alla lunga diventa veramente estenuante. Come biopic molto meglio Tonya.

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    1. Meglio Tonya, verissimo.
      Ma l'ho trovato comunque un ottimo prodotto.

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  2. Delle parole di Sorkin e della bravura della Chastain non mi stancherò mai. Insieme, con questa storia, fanno scintille, poi. E mi basterebbe la scena finale sulla panchina per dirlo.

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    1. Fanno scintille davvero. Non al livello di Tonya, ma davvero notevole.

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  3. Sul film e su Jessica Chastain (così come su Jennifer Lawrence) siamo clamorosamente d'accordo, anche se tre bicchieri pieni ci stavano in pieno.
    Su quella lagna di Moneyball, l'unico lavoro sorkiano che non mi è piaciuto, invece no, e su Kevin Costner tanto meno. Qui magari se la cava un po' meglio del suo solito, ma resta sempre uno degli attori più inespressivi e sopravvalutati di sempre.

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    1. Lasciando perdere Moneyball e Costner, sui quali stendo un velo pietoso per te, tre bicchieri li ho dati a Tonya, per me superiore, quindi il voto ci sta tutto. Meno che si sia d'accordo. ;)

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  4. Ciao sig. E sig.ra
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