Il mio rapporto con il Cinema iraniano, sin dai tempi dei primi contatti con l'opera del Maestro Kiarostami, è sempre stato intenso, quasi come avessi riscoperto, grazie a lui, Panahi e Farhadi le atmosfere che, quando esplose la passione per la settima arte, provai rispetto al neorealismo italiano: storie vere, di pancia, di strada ma non per questo trascurate o poco incisive in termini evocativi e visivi, destinate a rimanere nel cuore di chi, come me, viene ed appartiene al popolo.
Farhadi, che avevo conosciuto grazie allo splendido Una separazione, torna dunque sugli schermi del Saloon - con colpevole ritardo - con Il cliente, che nel duemilasedici a Cannes gli valse la Palma per la miglior sceneggiatura e permise al suo protagonista maschile di aggiudicarsi il premio come migliore attore: un ritorno notevole sotto tutti gli aspetti, che si parli di intensità, tensione - la sequenza che precede la violenza subita dalla moglie del main charachter è una delle più inquietanti che abbia visto di recente, interamente basata sulle suggestioni senza che nulla di esplicito sia mostrato -, profondità, regia - bellissimo il piano sequenza in apertura di pellicola -.
L'autore, che si rivela un profondo conoscitore ed indagatore dell'animo umano e delle sue miserie, porta in scena un altro dramma da focolare domestico all'interno del quale il torto innesca una spirale di ricerca di vendetta ed orgoglio che, neanche fossimo tornati all'Antica Grecia, non può che portare ad altro Male, a quell'hybris che fu la grande piaga di tutte le tragedie dei tempi antichi, una storia dalla quale nessuno esce vittorioso, o a testa alta, vera in tutte le sue sfumature, una parabola sulla colpa e sul perdono che sarebbe piaciuta parecchio a gente come De Andrè, e che pone interrogativi e domande in grado di toccare e smuovere sentimenti radicati e profondi.
In un periodo in cui la primavera comincia ad affacciarsi prepotentemente a livello climatico e mentale - almeno ai tempi in cui passò questa pellicola sugli schermi di casa Ford -, e la voglia di confrontarsi con materia eccessivamente impegnativa comincia a calare, Farhadi è riuscito a tenermi inchiodato allo schermo dall'inizio alla fine con la consueta mano invisibile ereditata dal retaggio cinematografico del suo Paese, e perfino a convincere Julez, che di norma quando decido di avventurarmi in visioni di questo tipo preferisce dedicarsi alla scrittura o ad un sonno ristoratore piuttosto che affrontare qualche potenziale mattonazzo fordiano - come direbbe il mio rivale Cannibal Kid -: segno della maturità e della capacità di raccontare di uno dei più interessanti registi attualmente presenti nel panorama orientale e non solo, che nel tempo e con il successo in Europa e ai grandi Festival non ha perso un briciolo della sua forza, e che continua ad indagare con ferma delicatezza su tutto quello che portiamo nel cuore e ben nascosto agli occhi degli altri.
Curioso, inoltre, che un film estremamente realistico e realista ed incentrato sulle miserie umane come questo riesca a risultare non solo etico, ma anche in qualche modo legato a concetti decisamente spirituali ed associabili alla Fede - e non alla religione, sia chiaro - senza per questo apparire pesante, verboso o forzato: la vicenda di Emad e Rana, innamorati e felici separati - come spesso accade - da un evento terribile, che prendono due strade opposte per cercare di affrontare il dolore, è una delle più toccanti che siano passate da queste parti di recente, ed oltre a fornire l'ennesima conferma del talento di questo scrittore e regista e dello stato di salute ottimo del Cinema iraniano ravviva il desiderio e la voglia di cercare, trovare, affrontare e vivere opere così impegnative ma così incredibilmente forti.
Se dopo tanti anni amo ancora follemente sognare attraverso la pellicola, ed immaginare di specchiare il mondo e me stesso in essa, è grazie soprattutto a titoli come questo.
MrFord
me lo devo vedè questo xD
RispondiEliminaEccome!
EliminaAmmetto che mi ha dato un po' fastidio non mostrare niente, tuttavia era normale che sarà sarebbe stato così, e in verità non è neanche un difetto, però nonostante la storia intensa la lentezza ha creato delle difficoltà, anche se alla fine è un gran bel film, a cui ho tolto comunque mezzo bicchierino ;)
RispondiEliminaIo invece non l'ho trovato affatto lento, anzi, in alcuni tratti mi è parso addirittura troppo teso.
EliminaIl mio rapporto con il cinema iraniano è sempre stato inesistente. Fino all'arrivo di Farhadi.
RispondiEliminaDei suoi lavori avevo preferito il più francese Il passato, rispetto al pur notevole Una separazione, ma comunque è un regista che mi piace. Fino ad ora.
Recupererò anche questo, sperando davvero che non si riveli il solito mattonazzo fordiano. ;)
Lo stile è quello degli altri suoi lavori, anche se per me La separazione supera il più lezioso - seppur bello - Il passato. Ma tu, come al solito, capisci poco e niente! ;)
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