sabato 10 gennaio 2015

The angriest man in Brooklyn

Regia: Phil Alden Robinson
Origine: USA
Anno: 2014
Durata:
83'





La trama (con parole mie): Henry Altmann è stato felice, un tempo. Aveva una bella vita, una bella casa, un bel lavoro, una bella famiglia. Le cose andavano tutte come dovevano andare.
Poi, un brutto giorno, il giocattolo ha finito per rompersi. 
E dramma e quotidianità hanno inaridito il cuore dell'uomo, pronto a cedere spazio alla sola rabbia.
Quando, a seguito delle sue prepotenze e di una diagnosi di aneurisma cerebrale, la giovane dottoressa Sharon Gill finisce per punirlo assicurandogli che gli restano soltanto novanta minuti di vita, Henry decide di fare di tutto per chiudere al meglio i conti con le persone che ha amato di più e dalle quali si è con più decisione allontanato nel passato recente: il suo socio e fratello minore, sua moglie e soprattutto il figlio Tommy, che da due anni, ormai, non gli rivolge più la parola.
Riuscirà a farcela prima che il Destino venga a reclamare il suo diritto sulla vita e la morte?








Lo scorso agosto, quando come un fulmine a ciel sereno giunse la notizia della morte di Robin Williams, rimasi molto colpito nell'apprendere che uno dei volti di quella che era stata la mia formazione cinematografica se n'era andato: raramente, pensando alle tante morti celebri di questi anni, ricordo di essere rimasto così segnato.
Dunque, omaggiato il buon vecchio Capitano con un Day tra i più riusciti organizzati da noi cinefili della Blogosfera, ho deciso di cominciare a recuperare, senza fretta, i titoli che lo hanno visto protagonista ancora mancanti all'appello qui al Saloon: tra questi il suo ultimo lavoro, questo The angriest man in Brooklyn trattato non proprio con i guanti dal pubblico e dalla critica, sicuramente traboccante difetti eppure in grado non solo di regalare almeno un paio di sequenze degne dei tempi d'oro del Nostro - il faccia a faccia con il negoziante per trattare l'acquisto della videocamera è una vera chicca -, ma anche, in qualche modo, di fornire una riflessione sull'attore - e, chissà, sull'uomo - oltre ad una serie di riferimenti ai massimi sistemi come i rapporti tra padri e figli, mariti e mogli, membri di una famiglia in generale.
Dunque, se da un lato abbiamo occasione di andare alla scoperta di una sorta di favola indie - per quanto decisamente non delle migliori - con un cast di prim'ordine - oltre al già citato main charachter, troviamo Mila Kunis, Peter Dinklage e Melissa Leo, non proprio degli ultimi arrivati - legata a doppio filo a temi molto cari al genere ed in grado di mescolare dramma e commedia, Un giorno di ordinaria follia con Qualcosa è cambiato, dall'altro, tra le righe, assistiamo di fatto ad una sorta di ultimo grido disperato di un uomo che, probabilmente, aveva deciso che il suo "trattino" era già giunto alla conclusione - emblematico il passaggio in cui Henry/Robin Williams ironizza sulla sua lapide citando anno di nascita e morte del personaggio, coincidenti con quelli che sarebbero stati i suoi -, e con una neppure troppo convinta decisione aveva deciso di abbandonarsi a qualcosa che, probabilmente, non sapremo mai fino in fondo, che si tratti di lui o tantomeno di noi che abbiamo osservato il tutto dall'esterno.
L'importante, di fatto, resta il ricordare i tratti distintivi, le caratteristiche ed il dirompente incedere sullo schermo di un grandissimo interprete, che senza dubbio ci ha lasciati troppo presto chiudendo la sua carriera lontano dall'apice, eppure ancora in grado di emozionare: sia chiaro, The angriest man in Brooklyn è un film tutto sommato mediocre, troppo facile e sommario in alcuni passaggi e troppo retorico in altri, girato non sempre in maniera impeccabile e talmente ricco di difetti da lasciare quasi meravigliato il sottoscritto al pensiero di aver concluso la visione in una certa misura perfino soddisfatto, eppure ad un tempo un titolo cui non sono davvero riuscito a volere male, uno di quei guilty pleasures che, non sappiamo neppure noi per quale motivo, finiscono per conquistare il loro spazio senza neppure fare troppi sforzi.
Con ogni probabilità il pensiero è volato a quello che mi chiedo potrà essere il mio rapporto con il Fordino mano a mano che crescerà, cercando di non fermarsi troppo a fronte del dramma vissuto da Henry e sua moglie, portati all'inizio della loro fine dalla morte del fratello di Tommy: arrivare a non rivolgere la parola a proprio figlio dev'essere straziante, ma perderne uno dev'essere un dolore che non sarà mai possibile quantificare, e che non augurerei neanche al peggiore tra gli uomini.
Senza contare che la rabbia è una cattiva consigliera, e piuttosto che finire come Henry - e a volte, nel corso della mia vita fino ad ora, avrei scommesso che sarebbe andata in quel modo, se non fosse stato per Julez e il Fordino - preferisco godere della lezione lebowskiana ed allargare le spalle quando "non sono io a mangiare l'orso, ma l'orso a mangiare me".
In qualche modo, e senza dubbio secondo un modo di vedere assolutamente personale, Henry pare averlo capito, alla fine.
E ho l'impressione che lo stesso sia stato per Robin Williams.



MrFord



"It's been a bad day.
Please dont take a picture
it's been a bad day.
Please!"
R. E. M. - "Bad day" -



8 commenti:

  1. Questo è un recupero necessario anche per me. E dopo aver letto la tua bella recensione sono ancora più convinta. ;-)

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    1. A dire il vero il film non è granchè, ma mi ci sono affezionato comunque.

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  2. Visto prima che succedesse il fattaccio e già lo avevo trovato molto carino e tanto ben recitato. Visto adesso, però, mi farebbe un altro effetto. Più strano e più forte.

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    1. Non è certamente un titolo indimenticabile, ma soprattutto visto dopo il fatto, risulta effettivamente sconvolgente.

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  3. I film non l'ho visto, però apprezzo molto la citazione musicale! :)

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    1. Se ti capita, una visione concedila, se non altro per Robin Williams.

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