mercoledì 16 aprile 2014

The act of killing

Regia: Joshua Oppenheimer
Origine: Danimarca, Norvegia, UK, USA
Anno:
2012
Durata: 115'





La trama (con parole mie): in Indonesia, a cavallo tra il 1965 ed il 1966, un colpo di stato depose il governo per instaurare un regno di terrore che, avvalendosi di gruppi paramilitari e gangsters, perseguitò i comunisti o presunti tali e la popolazione cinese presente entro i confini, finendo per mietere più di un milione di vittime. Gli esecutori materiali dei delitti, ormai ben oltre l'età pensionabile, finiscono per ritrovarsi e ricostruire come se si trattasse di un gioco, o di fiction, gli atti da loro stessi perpetrati.
Attualmente considerati delle sorte di leggende ed appoggiati da governanti e figure di spicco del Paese, questi ex aguzzini consegnano al mondo un ritratto tanto agghiacciante quanto clamorosamente umano di uno dei genocidi più terribili del ventesimo secolo.








"Le regole che definiscono i crimini contro l'Umanità sono dettate dai vincitori, ed io ho vinto. Dunque non mi interessa di quello che pensa la Convenzione di Ginevra. Anzi, se dovessi essere chiamato, andrei. Non perchè mi senta in colpa, ma perchè in questo modo potrei finalmente diventare famoso".
In questo modo, parola più, parola meno, uno degli aguzzini delle squadre della morte del terribile biennio '65/'66 in Indonesia, ormai più simile ad un innocuo pensionato medio, sentenzia a proposito di quelle che sono state le sue azioni in quanto gangster assoldato dal governo salito al potere grazie ad un colpo di stato, filmato mentre guida, neanche fossimo persone cui ha dato un passaggio mentre andava a fare la spesa. E non è neppure il momento più agghiacciante, all'interno di The act of killing.
Non è la prima volta che mi capita di guardare documentari che tocchino argomenti terribili, o di leggere degli stessi, dagli episodi legati ai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale all'Unione Sovietica di Stalin, dai Khmer rossi all'Argentina dei desaparecidos, dal Chile di Allende piegato da Pinochet ad Haiti e alla lotta per la pace di Jean Dominique.
Proprio quest'ultimo, nel corso delle sue trasmissioni radiofoniche, cercava di sensibilizzare i contadini analfabeti rispetto al fatto che, in altre parti del mondo, ci fossero persone che subivano le stesse violenze, venivano schiacciate con lo stesso, terrificante metodo: Anwar Congo, uno dei protagonisti assoluti di questo straordinario lavoro di Oppenheimer, afferma più o meno la stessa cosa, accostando il gusto splatter di alcuni film e l'operato della Germania di Hitler all'idea del fascino che un certo tipo di Male finisce per esercitare sul pubblico, dichiarando, mentre sta seduto in poltrona, di aver fatto di peggio più e più volte, con le sue mani, dichiarando senza problemi a favore di macchina da presa di avere staccato la testa a degli uomini.
Non è la prima volta, scrivevo poco sopra, che mi confronto con una visione scomoda come questa, eppure raramente sono uscito così toccato da quello che il regista ha deciso di raccontare: non tanto per la violenza esplicita - in realtà, si parla di ricostruzioni da studio, e di qualità infima, di un gruppo di quasi vecchietti ed esaltati a metà tra il crimine e la politica -, quanto dall'idea che l'espressione di questi assassini sia quella del lato oscuro dell'Uomo, senza una virgola in più o in meno.
Lo stesso e già citato Congo, che probabilmente avrà sulla coscienza più omicidi di un qualsiasi serial killer statunitense, riesce a passare dalla freddezza dei resoconti delle metodologie di uccisione al pentimento mosso da un malessere quasi fisico, dalla dimostrazione di se stesso alle celebrazioni di uno dei gruppi paramilitari dal seguito più numeroso in Indonesia ai nipoti cui è mostrato quello che il nonno faceva ai comunisti sotto forma, per l'appunto, di film, senza apparire posticcio o costruito.
E non è che uno soltanto, dei responsabili mostrati dal regista texano in queste due ore che potrebbero tranquillamente essere definite horror.
La situazione dell'Indonesia attuale, inoltre, benchè lontana da quella dei massacri che fanno da sfondo alla narrazione, lascia che brividi corrano lungo la schiena dello spettatore perchè clamorosamente simile a quella dei Paesi per così dire "civilizzati" come il nostro, che non vivono appoggiandosi ad un equilibrio drammaticamente palese - i gangsters considerati ed ammirati come "uomini liberi", che in quanto al di fuori della Legge, sono giustificati per qualsiasi azione, dall'estorsione di rito ai commercianti cinesi locali ad eventuali servizi offerti ai governi in casi come quelli della persecuzione dei comunisti che ha ispirato questa pellicola - ma che, di fondo, sono regolati da taciti accordi molto simili.
Gli stessi che Jean Dominique cercava di raccontare alla sua gente, o che Anwar Congo ammette esistano in tutto il mondo. Gli accordi dei vincitori che dettano le regole che più convengono affinchè restino tali.
Quello che è mostrato - e che fa più paura - in The act of killing è la terribile sete dell'Uomo.
Di potere, di sangue, di violenza, di bisogno ancestrale di dimostrare di essere il re della foresta.
E che la stessa viva per le strade celata dietro l'aspetto assolutamente comune di un qualsiasi, apparentemente innocuo vecchietto.



MrFord



"Ain't got no place to lay your head 
somebody came and took your bed
don't worry, be happy.
the landlord say your rent is late
he may have to litigate
don't worry, be happy."
Bobby McFerrin - "Don't worry, be happy" - 




18 commenti:

  1. ooooh questo qui non me lo perdo, me lo segno.
    Ps: mi piace quando riempi di bicchieri la recensione :D soprattutto quando vanno dai tre in su ^_^

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    1. Questo i suoi bicchieri li merita dal primo all'ultimo! :)

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    2. Ok, allora lo cerco dove dico io, e me lo guardo, :)

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    3. Ottimo! Aspetto la recensione allora!

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  2. lo avevo già annotato , ora diventa assolutamente imperdibile...

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    1. Bradipo, recuperalo al volo: è degno del miglior Herzog.

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  3. una prima volta ho dovuto mollare la visione per la rabbia, riproverò perché sono convinto anch'io che meriti molto. ma come si fa a non incazzarsi?

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    1. Posso capirti, Dantès. Anche se io ero più incredulo, che non arrabbiato.

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  4. pare interessante, anche se dopo la tua recensione potrebbe pure risultare uno di quei mattonazzi tipicamente fordiani e quindi da prendere con le molle... :)

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    1. Questo è un filmone. E penso riuscirebbe a toccare perfino uno sprovveduto come te! ;)

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  5. Un film che è anche una prova del potere del cinema di riportare alla luce la verità, paradossalmente attraverso la finzione cinematografica! Pietra miliare del genere documentario, probabilmente.

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    1. Assolutamente d'accordo, Stefano. Uno dei migliori documentari della Storia recente, una grande prova del grande Cinema.

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  6. Da come ne parli credo sia un film da recuperare. Non ne sapevo nulla, quindi grazie, credo me lo recupererò presto.

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    1. Frank, urge il recupero: visione da togliere il fiato.

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  7. Aiutoooo!!!! Non trovo i sub in 'taliano e considerando le mie abilità (da sobrio) con le lingue straniere, per capirci qualcosa dovrei vederlo ubriaco fradicio! Help me!!!!
    Massimiliano

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    1. Massimiliano, neanche io ho trovato i sottotitoli in italiano: l'ho visto con quelli in inglese.
      Ce la fai da sobrio? Altrimenti opta per la sbronza, e quella versione posso anche provare a passartela in qualche modo! ;)

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  8. Sono contento tu l'abbia visto, me l'ero persa la rece.
    Un film mastodontico, una visione obbligatoria.
    E un'ottima recensione ovviamente

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    1. Film davvero enorme. E ricordo ancora bene la tua recensione.

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