martedì 21 settembre 2010

Il profeta

Il tema carcerario è ormai una sorta di vero e proprio classico del Cinema, genere che ha regalato pietre miliari per tecnica - Un condannato a morte è fuggito di Bresson -, mito - Fuga da Alcatraz di Don Siegel -, incontro fra autorialità e blockbuster - Le ali della libertà -, nuova linfa - Cella 211 -.
Qualunque cineasta, dunque, approcci la dura realtà che sta dietro le mura di una qualsiasi struttura detentiva in una qualsiasi parte del mondo trova sul suo cammino uno degli ostacoli più ingombranti della settima arte: ovvero non risultare troppo didascalico, retorico o, semplicemente, pesante, sottovalutando tematiche che necessitano di essere sviscerate "dall'interno" anche quando il narratore - il regista, in questi casi - in galera non fosse neppure mai stato.
Audiard, già autore degli ottimi Sulle mie labbra e Tutti i battiti del mio cuore, affronta la tematica sviluppando una vicenda fiume che è quasi un romanzo di formazione incentrando tutta l'architettura tecnica e ritmica della storia sul giovane Malik, diciannovenne rinchiuso "con i grandi" per la prima volta, lasciato cadere dal sistema a seguito dei suoi errori nel baratro che, a conti fatti, è un istituto correzionale "da duri": come insegna nei suoi autobiografici romanzi Ed Bunker, e come più volte è stato indicato anche dal Cinema, dalla Letteratura e dalla cronaca stessi, sopravvivere ad un sistema in cui vige strettamente la legge del più forte e la morte e la violenza sono all'ordine del giorno comporta inevitabilmente un cambiamento che induce anche il detenuto meno problematico a diventare una minaccia senza dubbio più grande, per se stesso e la società, al termine della pena rispetto al momento in cui era finito dietro le sbarre.
L'ascesa di Malik, partita sotto il segno del terrore e della morte - incredibile, in qualche modo hanekiana, la scena del primo omicidio -, prosegue inesorabile su binari che solo apparentemente danno l'impressione di essere morti, e si sviluppa nella capacità quasi machiavellica di intrecciare alleanze che non considerano pregiudizi razziali, di religione o più semplicemente di amicizia.
Il suo rapporto con Cesar - despota, boss, capo, mente, padre, nemico del giovane - assume quante più sfaccettature si possano immaginare per un racconto di formazione, per l'appunto, e culmina con due sequenze decisamente "tranquille" rispetto a quanto il film mostri, eppure dalla potenza dirompente: il dialogo sul caffè e il confronto finale, a distanza, nel cortile della prigione, sono pagine d'alta scuola, supportate da un grandissimo Niels Arestrup, che interpreta il vecchio boss corso con rabbia controllata e silenziosamente ribollente.
Le sequenze d'azione, legate alle missioni che proprio Cesar assegna al giovane Malik con il sopraggiungere dei primi permessi d'uscita, sono girate da Audiard con la consueta competenza, e trovano alcuni momenti - l'inseguimento per le strade di Parigi, la sordità temporanea data dalla pioggia di proiettili - assolutamente ispirati, degno completamento di un'opera visivamente imponente, corredata, forse, a tratti, da una troppo spinta autorialità - le visioni che rendono Malik "un profeta" -, ma ugualmente incisiva.
E proprio nel ruolo di "profeta" Malik trova la sua definitiva consacrazione da una parte e dall'altra delle sbarre, consolidando la sua posizione e "vita rinnovata", destituendo di fatto Cesar e divenendo il nuovo volto di quello che il suo vecchio mentore e nemesi rappresentava: con un crescendo finale da brividi, Audiard dipinge, rinunciando alle scene madri, il ritratto di un nuovo padrino dalle mille facce, senza confini, che basa le conquiste su mosse strategiche dettate dal progressivo accrescimento della propria cultura - Malik entra in carcere da analfabeta, ne esce poliglotta ed esperto di economia - prima ancora che sulla violenza fisica, che resta una risorsa da utilizzare solo quando il problema che si presenta appare irrisolvibile, almeno "a parole". 
I sogni di Malik, ed il suo impero, che dalle mie parole e agli occhi dei suoi alleati possono apparire effettivamente profetici, in realtà non hanno nulla che non sia stato già assaporato, in ogni epoca, dall'Uomo: simboleggiano l'affermazione di un "più forte" che non è chi si impone nell'immediato, ma pianifica la propria sopravvivenza parallelamente alla vittoria, senza fretta e con tutta la pazienza e la freddezza che una certa tipologia di ruoli di comando impongono.
Ma alle sue spalle, oltre ad un nuovo esercito figlio di tutte le regole dettate dal millennio appena cominciato, non restano altro che violenza e morte.
Che poi siano sfocate, poco importa.
I loro volti sono sempre gli stessi.

MrFord

"San Quentin, what good do you think you do?
Do you think I'll be different when you're through?
You bent my heart and mind and you walk on my soul
your stone walls turn my blood a little cold."
Johnny Cash - "San Quentin" -

11 commenti:

  1. Bella recensione!
    Uno dei film migliori della stagione secondo me.

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  2. Concordo, magnifica recensione. Si vede, che ti è piaciuto.
    E non potrebbe essere stato altrimenti.
    Perchè questo film è di una bellezza incredibile.

    Il primo omicidio è da pelle d'oca.

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  3. gran film, anch'io non ho dubbi
    e ho pure apprezzato le scene delle visioni, per te troppo autoriali :D

    ottima la scelta di johnny cash!

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  4. E' già da prima che uscisse in noleggio (3 mesi fa)che aspettavo Il Profeta, viste le ottime recenssioni ( o meglio voti) di miei amici di Filmscoop. Non l'ho ancora visto... Per questo come mia prassi non leggo la rece. Tornerò a tempo debito. Intanto non faccio che consigliarlo in videoteca malgrado non l'abbia visto... Paraculo sì, ma non venditore di fumo a quanto vedo.

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  5. Val: Grazie! Un film notevole, davvero.
    Dembo: Ed semper docet. E anche chi profetizza.
    Cannibale: Ho apprezzato anch'io le visioni, ma rispetto alla carne e al sangue sono un pelo indietro. Johnny Cash è sempre la scelta migliore!
    Dae: Guardalo al più presto, e se non l'hai visto, anche Sulle mie labbra. Audiard ha veramente le contropalle.

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  6. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  7. Eccomi tornato dopo poco più di un mesetto. Che dire, stavolta sembra che abbiamo usato il copia-incolla! Il riferimento al romanzo di formazione e soprattutto la citazione di Haneke sono quasi da plagio. Meno male che più avanti abbiamo preso strade un pochino diverse sennò mi sarebbe venuto il dubbio di aver letto la tua recensione e che mi fosse rimasta nell'inconscio... A parte gli scherzi, gran bella recensione, gran film.

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  8. Grazie Dae, bentornato!
    Direi che hai scelto un ottimo film per rientrare!

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  9. No, ma l'"eccomi qui" dopo poco più di un mesetto era riferito a questo post de Il Profeta (dove avevo già scritto), mica in generale...

    E' vero che vengo poco, ma non così di rado...

    Il problema è che TUTTI i film che metto io tu li hai visti (e puoi commentare) io dei tuoi arrivo a malapena al 50%.

    A presto!

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  10. Dae, non avevo capito l'eccomi qui, allora!
    Non vieni poco, è che ultimamente ti ho visto meno dalle mie parti, e ho pensato che, visto che sei anche tu un "commerciale", fossi preso dal periodo più incasinato dell'anno, come me!

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