sabato 27 marzo 2010

The new world

Terrence Malick li ha veramente enormi.
Lui, di certo, userebbe inquadrature splendide e lunghi silenzi per dimostrarlo.
Se non fosse per la sua dilatata - molto, molto, dilatata - produzione artistica potrebbe insidiare Clint in vetta alla mia personale classifica dei registi statunitensi viventi, anche se basterebbe il solo La sottile linea rossa per poter pensare di essere di fronte ad un vero e proprio Maestro, oltre che ad una delle pellicole sulla guerra - e attenzione, non di guerra - mai prodotte.
The new world, senz'altro un progetto più ambizioso e, se vogliamo, conscio delle sue potenzialità rispetto al precedente - La sottile linea rossa, per l'appunto -, presenta fin da principio tutte le caratteristiche principali dei lavori firmati Malick: voce narrante fuori campo, gusto estetico spiccato rispetto alla Natura e alle sue sfumature, un ritmo contemplativo che pare sempre prendere il sopravvento rispetto allo sviluppo della trama.
Pervasa da questa sorta di magia, la storia di Pocahontas dalla quale è tratta la sceneggiatura pare quasi passare in secondo piano, per divenire lo specchio di un rapporto fra l'uomo bianco e i futuri Stati Uniti, e, soprattutto, un saggio sull'amore e le sue implicazioni che assume, nel corso delle quasi tre ore della pellicola, le dimensioni di un viaggio cosmico - Kubrick docet - che esplode in uno dei finali più struggenti del cinema "in costume" recente.
Dai tempi de L'età dell'innocenza, enorme e stupendo capolavoro di Martin Scorsese - ci sarà tempo e modo di parlare anche di questo -, non si vedeva su grande schermo un'epopea dal romanticismo così potente e ad un tempo magico ed estremamente realistico.
Il dualismo tra John Rolfe e John Smith, ovvero il confronto fra il lavoro e l'avventura, la costanza e l'improvvisazione, l'amore costruito giorno dopo giorno e la passione vissuta senza domani innalza ancor più il personaggio di Pocahontas/Rebecca, specchio di un America - e non Stati Uniti, badate bene - che Malick probabilmente rimpiange di non aver vissuto sulla pelle.
Personalmente trovo che il confronto fra Rebecca e Smith in Inghilterra, e quel botta e risposta "Hai trovato le tue isole, John?" "Forse le ho superate" sia uno fra i più straordinari momenti dell'amore visto dalla settima arte nella storia recente, antefatto perfetto di quell crescendo straordinario che è il finale, una sorta di sinfornia che incrocia Storia, amore, magia, realismo riportando alla memoria quella che è la pellicola simbolo del Cinema con la C maiuscola, 2001: odissea nello spazio dello Stanley già citato.
Chi prova a dire che Malick è palloso, o troppo autoriale, o qualsiasi stronzata di questo genere, venga allontanato dalle sale.
Voi sedetevi comodi, e lasciatevi trasportare da questo oceano.

"Baby we were born to run"
MrFord

2 commenti:

  1. Chi prova a dire che Malick è palloso, o troppo autoriale, o qualsiasi stronzata di questo genere, venga allontanato dalle sale.Voi sedetevi comodi, e lasciatevi trasportare da questo oceano.


    Hihihihih

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    1. Ma che avevi bevuto, prima di fare questo commento!? ;)

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