Se qualcuno mi avesse detto che un giorno sarei riuscito a non trovare un film firmato Checco Zalone non vomitevole avrebbe rischiato le più prepotenti bottigliate immaginabili, e invece è successo: certo, venivo da otto giorni consecutivi di lavoro ed agognavo al riposo ed al coma irreversibile da pre-ferie, eppure
Quo Vado?, titolo che alla sua uscita in sala ha sbriciolato ogni record d'incasso per quanto riguarda la Terra dei cachi, non mi ha fatto cacare quanto avrei previsto.
Principalmente, credo che il "merito" di questo "successo" sia legato al fatto che Zalone, per una volta, è riuscito a toccare un tema d'attualità - l'inferno dantesco della situazione lavorativa e l'importanza del famigerato "posto fisso" - senza finire a raccontarlo attraverso la volgarità di grana grossa tipica dei prodotti televisivi e non cinematografici.
Certo, la settima arte sta da tutt'altra parte, ma tutto sommato qualche risata ed un sottile senso d'appartenenza allo Stivale portano a casa la pagnotta (
un bicchiere e mezzo).
Incredibilmente - considerati i miei standard esterofili - si resta dalle nostrane parti con
La felicità è un sistema complesso, tentativo quasi indie che pare un ibrido tra
Il capitale umano ed il Cinema sociale anni settanta, non completamente riuscito ed un pò troppo nebuloso a tratti, eppure capace di farsi voler bene con il passare dei minuti, quasi fosse un appuntamento che si crede non abbia speranza o partito in modo disastroso finito poi con una delle migliori scopate della propria vita.
Ora, sono ben lontano dall'esaltare il lavoro di Zanasi - che soffre di molti dei limiti offerti dal "troppo italiano", a partire da un livello recitativo molto basso -, ma una visione, a mio parere - considerato il rapporto non proprio idilliaco che ho avuto nel corso delle ultime stagioni con i prodotti made in Italy - ci potrebbe stare tutta, fosse anche solo per il moonwalk tra un lato e l'altro della banchina del treno alla stazione di Trento (
due bicchieri e mezzo).
Non potevo poi, a seguito della sua scomparsa - che mi è costata un dolore profondo ed inaspettato legato ai tantissimi ricordi legati alla mitica figura -, non concedermi una serata in memoria di Bud Spencer, consacrata alla visione di uno dei miei titoli favoriti nella carriera dell'attore: uscito nel pieno degli anni ottanta e pronto a cavalcare l'onda del successo del brand di Rocky, Bomber, per quanto artigianale sotto tutti i punti di vista, risulta ancora oggi magico e divertentissimo - non avrei mai pensato di poter ridere ancora così tanto di fronte alle battute da Drive In di Jerry Calà -, con almeno un paio di sequenze cult legate al mito di Bud - il ballo alla tirolese condito dai ceffoni su tutte - e tutta quella pancia che manca al trash attuale.
Ne ho già parlato in occasione della giornata dedicata al leggendario attore, ma sono felice di aver lasciato un riferimento della visione anche qui.
Un cult intramontabile per i fan del fu Carlo Pedersoli, ma anche uno di quei prodotti di nicchia che andrebbero riscoperti e rivalutati dalle nuove generazioni. Mitico (
un bicchiere e mezzo obiettivo, tre per il cuore e per Bud).
Sul fronte del piccolo schermo, invece, come ogni estate casa Ford si trasforma in una sorta di succursale del Grey-Sloane Memorial, considerata l'affezione che qui al Saloon si continua a nutrire -
Julez in primis - per la creatura numero uno di Shonda Rhimes: Grey's Anatomy potrà essere ormai praticamente una soap mascherata da medical drama, il mio favorito Karev non più un bad guy, si patisce ad ogni secondo l'assenza di personaggi come Dottor Stranamore e Dottor Bollore, eppure ammetto che ogni ciclo scorre con grandissima scioltezza a colpi anche di tre o quattro episodi al giorno, e ad ogni anno, tra morti, abbandoni e storie d'amore, si finisce sempre per attendere il successivo giro di giostra: per quanto riguarda questo numero dodici, sono contento di non aver assistito a drammi particolarmente catastrofici o abbandoni da lacrime facili, nonostante non si sia, di fatto, concluso troppo.
Ormai il nucleo principale degli ex specializzandi - o almeno, quello che ne resta - è costituito da strutturati, e la seconda generazione non è ancora giunta a compiere il grande salto: quindi, direi quasi che si è trattato di una piacevole, comprensibile transizione (
due bicchieri).
Il punto forte della settimana - anche se sicuramente, con la nuova struttura del blog, giungerò in ritardo clamoroso - è stato dato dalla conclusione della sesta stagione di
Game of thrones, uno dei serial più chiacchierati, amati e discussi della blogosfera e non, divenuto il fenomeno di costume più importante in termini di numero di personaggi ed affezione agli stessi dai tempi di Lost.
Con quest'annata, finalmente, i tempi per i protagonisti della lotta per Westeros - in tutti i sensi - si stringono, abbandonando la noia diffusa della
stagione precedente - forse la peggiore della serie - per pigiare sull'acceleratore bruciando, a volte, fin troppo le tappe: a fare la parte del leone, senza ombra di dubbio, l'episodio dedicato al gigante buono Hodor - uno dei più belli dei sei anni di programmazione -, il ritorno - SPOILER - del Mastino, ed una doppietta conclusiva giocata sullo scontro tra l'esercito del redivivo Jon Snow affiancato dalla sorellastra Sansa Stark ed il perfido Ramsay Bolton, per molti versi il charachter più odiato dai tempi di Joffrey, la partenza di Daeneris e delle sue armate alla volta di Westeros e la conquista del trono di Cersei, che guadagna qualche punto liberando gli schermi - SPOILER - dalla spiacevole presenza dell'Alto Passero.
Senza dubbio non perfetta ed assolutamente criticabile, la creatura nata dai romanzi di George Martin sta assumendo connotati sempre più epici, finendo per diventare una sorta di versione da piccolo schermo de Il signore degli anelli.
Speriamo che la qualità, per le prossime due stagioni - che dovrebbero essere le conclusive -, possa solo che migliorare.
Considerato che "Winter has came", non sarebbe male avere qualcosa per scaldarsi (
tre bicchieri).
MrFord