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venerdì 14 settembre 2018

Criminal Minds - Stagione 13 (CBS, USA, 2018)




- Ci sono alcuni titoli, come Grey's Anatomy e Criminal Minds, che fanno così parte dei ricordi di Casa Ford dai tempi dei primi giorni di convivenza miei e di Julez, che penso non potremo mai lasciarli alle nostre spalle neppure volendo fino alla loro chiusura definitiva.

- La passione per il profiling, i serial killers e la parte oscura della natura umana, benchè decisamente meglio rappresentata da produzioni come True Detective, Mind Hunter, Manhunt: Unabomber, esercita sempre un fascino irresistibile per questo vecchio cowboy.

- Criminal Minds, che fino a qualche stagione fa poteva essere considerata la migliore produzione "pop" legata a tematiche come la caccia agli assassini seriali, in barba ai vari CSI, si è da tempo seduta sul suo format standard e, benchè si continui a cercare di trovare nuovi spunti, attraversa senza dubbio una fase di stanca molto, molto pesante.

- Tra i ventidue episodi di questa stagione tredici solo una manciata sono parsi davvero al livello di quelli dei tempi d'oro, e benchè l'arrivo nella squadra della BAU dell'agente Simmons, ottimo sostituto dell'indimenticato Derek Morgan di Shemar Moore, che ricompare brevemente come ospite, porti un pò di aria fresca, il poco approfondimento dei protagonisti e le indagini decisamente lontane in termini di atmosfera dal thrilling dei primi anni non aiutano di certo.

- Gli appassionati continueranno a volere bene alla proposta, seguiranno i profiler FBI alla ricerca di squilibrati, santoni, assassini e chi più ne ha, più ne metta, ma continueranno principalmente per affezione e abitudine che non per reali meriti. L'ideale, in questo senso, sarebbe una svolta più decisa ed oscura oppure una stagione di chiusura che saluti in modo degno i protagonisti.

- A favore dell'annata vanno il ciclo di episodi dedicati al confronto tra la squadra capitanata da Prentiss e dell'agente pronta a fare da supervisore e regolatore della squadra - per quanto molto pilotata e forzata nel finale - e la buona tradizione di far dirigere a quasi tutti i protagonisti almeno un episodio, spesso dedicato proprio al loro charachter.



MrFord



 

mercoledì 26 luglio 2017

Criminal Minds - Stagione 12 (CBS, USA, 2016/2017)




Come per Grey's Anatomy, Criminal Minds ha da sempre un significato molto estivo per gli occupanti di casa Ford, oltre ad essere un guilty pleasure consolidato fin dai tempi in cui io e Julez eravamo solo una giovane coppia da poco trasferita nella nuova casa: ai tempi, e per almeno quattro o cinque stagioni, il serial dedicato ai profiler del BAU si era dimostrato un'alternativa molto più valida dei banali CSI e compagnia, risultando, a tratti, addirittura quasi spaventoso.
Con il tempo, però, e nonostante alcune buone idee ed i cambi di cast in questi casi quasi doverosi, il serial aveva segnato il passo giungendo a questa dodicesima stagione senza stimolare più l'aspettativa dei bei tempi qui al Saloon, quanto più che altro il bene che si finisce per volere ad un vecchio amico pur non avendo più molto da dirsi: e potrei affermare che lo stato d'animo avrebbe potuto essere questo ancora una volta, se non fosse stato per la manciata di episodi conclusiva in grado di mescolare le carte e tenere il fiato dell'audience sospeso incentrando l'azione su Spencer - uno dei charachters più interessanti, nonchè della prima ora -, su una vendetta incrociata ed una possibile trappola all'indirizzo del team aperta in vista della già confermata annata numero tredici.
Un buon modo, questo, per recuperare un altro passaggio certo non memorabile, all'interno del quale - forse anche a causa del "sovraffollamento" della squadra - nessun personaggio ha avuto un vero sviluppo o un'evoluzione - Spencer escluso, ovviamente -, mentre i due nuovi inserimenti hanno funzionato a corrente alternata - in questo caso, molto più efficace il "nuovo Morgan" Alvarez che non "l'intellettuale" Walker, troppo insipido per entrare davvero nel cuore degli spettatori -.
Per il resto tutto è proseguito nella "normalità", con episodi che ricollegati alla trama partita nel corso della stagione undici con la fuga di alcuni serial killer da un carcere di massima sicurezza - in particolare Mister Graffio, ormai nemesi della squadra - ed altri autoconclusivi e pronti ad esplorare, pur se in modo non particolarmente incisivo, gli abissi della mente umana e le possibilità purtroppo infinite che la psicopatia ha di manifestarsi e provocare dolore nel mondo.
La speranza, considerata la parte conclusiva della stagione, è che con il prossimo anno la squadra del BAU torni ai livelli che l'avevano nettamente separata dalle numerose proposte decisamente televisive - e non in senso buono - di qualche anno fa dello stesso genere, per rinnovare non solo l'affetto, ma anche l'interesse dei fan di vecchia data come i Ford e, perchè no, anche qualcuno di nuova.




MrFord



 

sabato 5 settembre 2015

Criminal minds - Stagione 10

Produzione: CBS
Origine: USA, Canada
Anno: 2014
Episodi: 23






La trama (con parole mie): l'unità di analisi comportamentale di Quantico è come sempre al lavoro su casi legati ad omicidi, rapimenti e minacce terroristiche in tutto il Paese, forte dell'inserimento nella squadra di Kate Callahan, ex detective della sezione abusi su minori.
I loro ultimi casi li porteranno ad affrontare possibili attacchi agli USA, rapimenti e traffici umani su scala nazionale - e forse oltre -, l'addio ad un vecchio membro della squadra, ucciso da un serial killer che inseguiva dagli inizi della carriera e il forse solo momentaneo arrivederci ad un volto del team: per Hotchner e i suoi, dunque, le sfide e le poste in gioco si faranno progressivamente più ardue ed importanti, e costringeranno spesso e volentieri ogni agente a dare tutto per poter risolvere enigmi terrificanti e misteriosi.








Insieme a Grey's Anatomy, Criminal minds - diverso per taglio, produzione, approccio, target di pubblico dalla creazione di Shonda Rhimes - rappresenta senza dubbio uno dei grandi amori da piccolo schermo di casa Ford, appuntamento imperdibile dell'estate proprio a seguito delle avventure dei medici del Grey Sloane Memorial: nel corso degli anni le vicende della squadra di Analisi Comportamentale dell'FBI di Quantico hanno visto succedersi personaggi, situazioni, psicopatici e minacce di ogni genere, sebbene da qualche anno parcheggiate in zona sicura sempre in grado di intrattenere come si conviene all'orario dei pasti.
Al passaggio numero dieci su questi schermi, la squadra capitanata dal sempre tutto d'un pezzo Hotchner trova un nuovo membro per quello che, di fatto, è stato il ruolo più "sfortunato" della serie - si sono avvicendate, se la memoria non m'inganna, almeno quattro figure -, occupato nientemeno che da Jennifer Love Hewitt, star di Ghost Whisperer, e chiude definitivamente ogni possibilità - SPOILER - per un eventuale ritorno del mitico Gideon, interpretato nelle prime due stagioni dall'altrettanto mitico Mandy Patinkin, che per anni ho sognato rientrare nelle vesti di spietato serial killer e nemesi dei nostri, ucciso invece da un assassino al quale dava la caccia dai tempi dei suoi primi passi nell'FBI - non male davvero il flashback che lo vede protagonista insieme al Rossi di Joe Mantegna, che l'ha sostituito nel cast -.
In realtà la prima parte della stagione scorre senza quasi colpo ferire, di fatto apparendo decisamente più spenta rispetto alle passate, e lasciando intuire lo stesso fenomeno di rodata monotonia che colpì, per rimanere in tema morti ammazzati, anche Cold Case: fortunatamente, con la seconda metà della stagione ed un maggiore approfondimento dei main charachters, anche la qualità degli episodi cresce, regalando almeno in un paio di occasioni alcune tra le puntate più interessanti dell'intera serie, da "Il signor Graffio" - chiusa da un finale aperto cui spero verrà dato un seguito il prossimo anno - all'epilogo, legato a doppio filo proprio con il personaggio della Callahan.
Si sente sempre la mancanza dell'esplorazione del mondo dei serial killer come nel corso delle prime annate, soprattutto quando si sconfina nella lotta al terrorismo o ad episodi legati più a consulenze da parte dei nostri, che non di indagini vere e proprie, eppure il meccanismo gira ancora discretamente bene, l'affezione per i protagonisti è notevole e le situazioni mostrate portano comunque a riflessioni legate agli abissi all'interno dei quali si può spingere la mente umana, in grado di dispensare gesti eroici ed altruisti così come sofferenze indicibili che neppure in un'opera di fiction si penserebbe attuabili.
Quel che è certo, è che il fascino del lato oscuro non smetterà mai di esercitare attrazione per gli occupanti di casa Ford, e che fino a quando una realizzazione onesta e personaggi cui si è ad ogni modo legati garantiranno una visione interessante, Criminal minds continuerà ad essere uno degli appuntamenti fissi delle estati del Saloon.




MrFord




"Like a bird on the wire, 
like a drunk in a midnight choir 
I have tried in my way to be free. 
Like a worm on a hook, 
like a knight from some old fashioned book 
I have saved all my ribbons for thee."
Leonard Cohen - "Bird on a wire" - 






venerdì 13 marzo 2015

Il killer del Green River

Autori: Jeff Jansen, Jonathan Case
Origine: USA
Anno: 2013
Editore:
Bao Publishing





La trama (con parole mie): Jeff Jensen, ripercorrendo il ventennio di indagini del padre Tom, detective della omicidi di Seattle e colonna del Team assegnato a quello che è considerato come uno dei serial killers più prolifici degli States, mostra il percorso che gli agenti responsabili si trovarono ad affrontare dopo l'arresto di Gary Ridgway, ormai ufficialmente riconosciuto come l'assassino, che patteggiò in modo da ottenere l'ergastolo evitando la pena di morte rivelando informazioni sulle posizione di corpi non ancora recuperati o identificati.
Un viaggio nella mente di un killer ma anche e soprattutto nel cuore di chi si è visto strappare i propri cari, e degli uomini che hanno lottato affinchè le vittime non fossero dimenticate.








Sarebbe bastata la dedica di Jeff Jansen al padre, per farmi amare questa graphic novel.
Una dedica sentita, di quelle che ogni padre vorrebbe leggere scritte dal proprio figlio.
Io per primo.
Neppure il tempo di commuoversi, ed ecco uno degli incipit più spaventosi che mi sia capitato di trovare quando si parla di Fumetto, ma anche di Cinema: poche pagine serrate, fredde, micidiali, degne di quello che era l'orrore suscitato da un personaggio come il Bob di Twin Peaks, o dai racconti di Lucarelli in Blunotte, o dai primi minuti di Mystic River.
Da un certo punto di vista, è un peccato che il resto dell'opera non sia all'altezza del suo antefatto, perchè altrimenti di fronte avremmo finito per avere una delle cose più clamorose mai prodotte dai tempi di Preacher: invece, ci troviamo "solo" tra le mani quella che, di fatto, è la versione a fumetti dello Zodiac cinematografico, una ricerca che parte dalla fine, dalla cattura di quello che a tutt'oggi è considerato il killer del Green River, uno dei più prolifici della Storia degli States, e che vede la squadra di detectives impegnata per quasi un ventennio nella sua ricerca sperare che quell'individuo confuso o forse soltanto furbo possa essere il mostro inseguito per così tanto tempo, in modo da avere gli strumenti non solo per poter donare la pace che meritano le vittime e soprattutto le loro famiglie, ma anche di trovare una spiegazione che possa giustificare atti motivati dal semplice, ancestrale, oscuro desiderio di uccidere per il gusto "di sapere cosa si prova".
Un percorso che è la cronaca di un dolore, e di un mosaico di dolori, ma anche una testimonianza dell'ammirazione che un figlio che ha visto - o non ha visto - la presenza del genitore finisce per sentire, una volta cresciuto, rispetto all'impegno che lo stesso ha profuso nella missione di una vita, per quanto la stessa dovrebbe essere, di fatto, quella di crescere e proteggere la propria famiglia.
In fondo, come insegna anche il giustamente incensato True Detective, per rivedere le stelle occorre immergersi negli abissi più profondi dell'animo umano, capace delle peggiori crudeltà e figlio dei più biechi istinti così come delle azioni più nobili ed altruiste si possano immaginare: in fondo, uomini come Tom Jensen ed i suoi colleghi finiscono per lottare in modo che il mondo possa essere un luogo almeno vagamente migliore per le loro famiglie e loro stessi e dunque, di riflesso - o forse è il contrario? - per tutte le famiglie e le persone che giorno dopo giorno cercano in tutti i modi di preservare.
Dall'altra parte, Gary Ridgway, al quale il tratto pastoso eppure non troppo definito di Jonathan Case si adatta perfettamente, sconfitto da qualcosa che non si potrà mai conoscere a fondo, dall'istinto primordiale e predatorio che porta individui come lui a trovare la propria realizzazione nella caccia e in quel dolore causato, eppure considerato e giudicato sempre all'esterno della propria esistenza.
Chi è, dunque, Gary Ridgway?
Il lato oscuro di ognuno di noi? Il terrore che opere come Twin Peaks alimentano? L'incredulità rispetto a quello di cui come genere umano siamo capaci?
E chi è Tom Jensen?
Chi siamo noi?
L'egoismo trova rifugio nel seguire i propri istinti o nel placarli mettendo fine al viaggio di chi non ha controllo sugli stessi?
Forse in entrambi i percorsi. O forse in nessuno.
Quello che conta, leggendo queste pagine intense e mai oltre misura, è che esiste un lascito del quale ognuno di noi, da figlio, può fare tesoro.
E tramandare in quanto padre.
Onestamente, io spero di trovarmi sempre dalla parte giusta del fiume.
E un giorno, di leggere una dedica come quella di Jeff Jensen.



MrFord



"Now I taught the weeping willow how to cry,
and I showed the clouds how to cover up a clear blue sky.
and the tears that I cried for that woman are gonna flood you Big River.
then I'm gonna sit right here until I die."
Johnny Cash - "Big river" -



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