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domenica 24 dicembre 2017

Ford Awards 2017: quello che non vedrete nelle sale italiane



Un altro appuntamento che attendo sempre con molta impazienza è quello con la classifica dedicata ai dieci migliori titoli che, nel corso dell'anno, sono passati sugli schermi del Saloon ma non nelle sale italiane: nelle scorse edizioni dei Ford Awards è capitato anche che i vincitori di questa categoria fossero, a conti fatti, i migliori a tutti gli effetti - vedasi Mud o Swiss Army Man - per il sottoscritto, dunque l'hype per questa decina finisce per essere sempre piuttosto alto.
Peccato che il trend negativo del grande schermo si sia specchiato anche qui, tanto da costringermi ad inserire al decimo posto un titolo che ai tempi avevo bottigliato soltanto per non lasciare "monca" la chart, scegliendo per il suo autore e principalmente perchè si è trattato di un film in grado quantomeno di far discutere.
Ecco dunque i titoli protagonisti di questa seconda decina dei Ford Awards.


N°10: OKJA di JOON-HO BONG

 


Ad aprire la decina un titolo che, se fosse stato un anno più ricco, senza dubbio non avrei selezionato: certo, il tema è interessante e fa discutere, Bong è un regista notevole - anche se i suoi ultimi due lavori non mi hanno affatto convinto -, Netflix si conferma una realtà dalle potenzialità enormi, eppure Okja, continuo a pensarlo, avrebbe potuto essere molto più grande.


N°9: SECURITY di ALAIN DESROCHERS

 


Consigliato dal mio fratellino Dembo, Security è un thriller d'azione di quelli vecchia maniera, con un Banderas scatenato ed un incedere che riporta alla mente cose notevoli come Nido di vespe o le pietre miliari di Carpenter. Certo, la caratura è diversa, ma per una serata da rutto libero è una delle cose più divertenti che ho visto quest'anno.

N°8: THE BELKO EXPERIMENT di GREG MCLEAN



Il film che mi ha fatto mancare ancora meno il fatto di avere un lavoro.
Dal regista dei due Wolf Creek, una sorta di favola nera sociale che sconfina nello splatter dai risvolti molto più profondi di quanto non possa sembrare, orchestrata come un terribile gioco ad eliminazione che in qualche mente deviata di capitani d'industria potrebbe addirittura prendere forma.


N°7: 1922 di ZAK HILDITCH

 


A prescindere dalle singole valutazioni, è stato davvero un buon anno questo, per il Re del brivido Stephen King: accanto al più freddo Il gioco di Gerald, sempre Netflix ha presentato questo 1922, una favola nerissima legata al concetto di senso di colpa dalle atmosfere da America rurale che qui al Saloon hanno una corsia preferenziale. Thomas Jane bravissimo.


N°6: THE BABYSITTER di MCG


Uno degli instant cult più goduriosi dell'anno, in grado di mescolare il ritmo di Edgar Wright e lo scanzonato approccio anni ottanta: citazioni a raffica, grande divertimento, sangue a fiumi, spirito da Goonie ed un bacio saffico che resterà nella Storia. Mitico.
Dritto dal Sundance giunge uno dei titoli più sorprendenti dell'estate fordiana, in grado di mescolare l'approccio indie, il pulp anni novanta, i Coen e la lotta degli outsiders per rimanere a galla. 
Malinconia ed esplosioni di violenza per una delle piccole chicche più interessanti dell'anno.

 
N°4: COLUMBUS di KOGONADA


Giunto su questi schermi sospinto dai pareri entusiasti dei radical - su tutti quello del mio rivale Cannibal Kid - accompagnato da presagi di tempesta di bottigliate, il lavoro di Kogonada, con i suoi tempi lunghi ed una disarmante sincerità e voglia di raccontare una storia di crescita e superamento del dolore mi ha preso il cuore sottovoce. Da vedere.

 
N°3: RAW - UNA CRUDA VERITA' di JULIA DUCOURNAU
Altro titolo che, stando alle premesse, avrebbe dovuto assumere le sembianze dell'apoteosi radical, e che invece si è rivelato carne e sangue, pancia e cuore.
Il viaggio della giovane protagonista all'interno di se stessa e degli istinti predatori è uno degli esperimenti più riusciti della stagione. Avercene.

 
N°2: WIND RIVER di TAYLOR SHERIDAN




L'Hell or high water di quest'anno. In un'atmosfera invernale stupenda ed una cornice che sarebbe piaciuta tanto a Clint, un noir malinconico e terribile che racconta di padri e figli, di crolli e di lenta ricostruzione. Commozione, intensità, voglia di calore e tanta rabbia. Una bomba.


N°1: A GHOST STORY di DAVID LOWERY
Il vincitore del Ford Award dei non distribuiti di quest'anno è una piccola gemma che mi ha fatto ricordare i tempi in cui Malick realizzava grandi film, e passare per la testa i viaggi mistici di Gaspar Noè.
L'amore e la morte visti attraverso chi se n'è andato, una sorta di versione ultra autoriale di Ghost che ci fa rimbalzare tra passato, presente e futuro alla ricerca di quel pezzo di noi stessi che ci definisce, e che a volte sta nel cuore di un altro.


MrFord
 
I PREMI

 
Miglior regia: David Lowery per A ghost story
Miglior attore: Thomas Jane per 1922
Miglior attrice: Haley Lu Richardson per Columbus
Scena cult: il bacio tra Samara Weaving e Bella Thorne, The Babysitter
Fotografia: Wind River
Miglior protagonista: Bee, The Babysitter
Premio "lo famo strano": Raw - Una cruda verità
Premio "ammazza la vecchia (e non solo)": la Belko per The Belko Experiment
Migliori effetti: Raw - Una cruda verità
Premio "profezia del futuro": A ghost story

mercoledì 29 novembre 2017

1922 (Zak Hilditch, USA, 2017, 102')








"Alla fine, tutti veniamo presi".
Suona come un monito, questo 1922 tratto da un racconto di Stephen King, uscito all'ombra del pubblicizzatissimo - a ragione - It e del leggermente sopravvalutato Il gioco di Gerald sempre grazie alla realtà di Netflix, che si propone di essere la "Land of opportunity" delle prossime stagioni non solo sul piccolo schermo: una storia nerissima, truce, interpretata da un grandissimo Thomas Jane - che aveva già masticato la materia del Re del brivido in The Mist - legata a doppio filo al concetto di senso di colpa, uno dei macigni più grossi con i quali ognuno di noi finisce per fare i conti a più riprese nella vita a seconda di quelle che sono o sono state le scelte compiute nel proprio percorso.
Senza dubbio uccidere qualcuno - ed in particolare il tuo compagno o compagna - ha un peso decisamente differente rispetto al raccontare una bugia o fare un torto a qualcuno, eppure il concetto dietro l'intera vicenda appare molto chiaro, specialmente perchè seminato nel campo più fertile per questo tipo di dinamiche: la Famiglia.
La vicenda dei protagonisti, che passa dal rapporto progressivamente più incrinato dei coniugi James e si riflette sul figlio tocca alcune delle tematiche care al vecchio Stephen, trasforma in orrore quello che i protagonisti covano dentro di loro - un pò come con Shining e Misery, per intenderci - e seppur in modo forse troppo netto e sbrigativo conduce lo spettatore attraverso una favola nera in cui tutto quello che può andare storto va storto in grado di regalare inquietudine in termini emotivi - anche se rivolta a qualcuno più che in pace con i propri sensi di colpa come il sottoscritto - così come cinematografici - la sequenza dell'incubo che porta all'incontro tra Wilfred e la defunta moglie circondata dalla sua corte di ratti è davvero notevole -, ben recitata e confezionata con discreta perizia da Zak Hilditch, che da queste parti avevo già apprezzato qualche anno fa con These final hours.
Il regista, dal canto suo, riesce nell'impresa di equilibrare la cifra stilistica di King - narratore parte della storia, cornici da america di campagna, inquietudine più che orrore puro - con il suo approccio senza dubbio action, regalando i momenti migliori proprio sfruttando la suggestione del protagonista progressivamente divorato dal senso di colpa e dalla "maledizione" che l'aver compiuto una scelta ed un gesto così estremi paiono avergli fatto guadagnare - un pò come per l'ottimo e troppo poco considerato Soldi sporchi di Raimi, per citare un esempio simile -.
Non saremo di fronte ad un Capolavoro o al miglior lavoro del Re del brivido mai trasposto su grande schermo, eppure 1922 rappresenta un prodotto efficace ed abbastanza potente, che rinforza la posizione di Netflix e conferma il buono stato attuale delle produzioni nate dalla penna dell'autore americano, oltre a a garantire una serata tesa ed oscura come il genere imporrebbe senza per questo ricorrere a continui jump scares o trucchetti da due soldi: in fondo, le oscurità e gli orrori più grandi sono quelli che ci portiamo dentro - l'altro uomo, per dirla come il protagonista della storia -, gli stessi con i quali finiamo per dover fare i conti a più riprese nella vita, e che più potere acquistano su di noi, più a fondo finiscono per divorarci.
Neanche fossero una corte di ratti voraci.



MrFord



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