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lunedì 15 luglio 2013

World War Z

Regia: Marc Forster
Origine: USA
Anno:
2013
Durata: 116'




La trama (con parole mie): Gerry Lane, ex agente speciale delle Nazioni Unite, viene sorpreso in una normale mattinata passata con la sua famiglia da un'invasione di infetti pronti ad uccidere e passare il morbo a chiunque capiti loro a portata di morso.
Riuscito a mettersi in salvo - con i suoi cari, ovviamente - grazie al suo addestramento e raggiunto da un vecchio compagno, viene a sapere che l'epidemia si è propagata su tutto il pianeta, ed in cambio della sicurezza della famiglia decide di tornare in campo per proteggere un esperto virologo pronto a partire alla ricerca di una potenziale cura.
Quando, a missione poco più che avviata, lo stesso studioso perde la vita, a Lane non rimarrà altro che continuare la ricerca da solo, passando da Gerusalemme per finire in Galles per nutrire un'intuizione che potrebbe rivelarsi una scommessa fatale.




Da tempo, nella blogosfera e non, si parlava con trepidante attesa dell'uscita in sala di World War Z, travagliatissimo - in fase di produzione e realizzazione - titolo firmato da Marc Forster che, almeno sulla carta, pareva avere la non comune chance di mettere d'accordo il pubblico occasionale da filmone da multisala nel weekend e quello più snob, pronto a dilettarsi con un pò di sano divertimento con un pizzico di autorialità che fa sempre bene.
Peccato che il risultato - e non credo a causa dei suddetti problemi insorti nel corso della lavorazione - sia un colossale fallimento da una e dall'altra parte: se non fosse che le aspettative del sottoscritto erano basse in partenza, infatti, vi sareste trovati di fronte ad una delle tempeste di bottigliate più toste del passato recente, spinta dall'anonima regia di Forster, dalla retorica a stelle e strisce che percorre l'intera opera ed esplode in terrificanti momenti che sarebbero calzati a pennello ad un film con Will Smith e da un approccio che, come troppo spesso accade ultimamente, dimentica l'ironia per vestirsi di un tono serioso neanche si trattasse di materia da Festival delle proposte di nicchia.
Brad Pitt - e qui c'è da dirlo, figo da paura anche alle soglie dei cinquanta - incarna, suo malgrado, un protagonista che è l'esempio perfetto della grana grossa ammeregana nella piena tradizione del Jack Bauer di 24 - ma meno reazionario - e dell'inossidabile Liam Neeson - ma meno spietato - dei due pessimi Io vi troverò inserito in un contesto che pare la copia edulcorata e fracassona dell'ottimo 28 giorni dopo, che riporta la dimensione degli zombies veloci ed assetati di sangue dalle strade deserte di Londra ad una sorta di epidemia globale senza però riuscire a mantenere la benchè minima parte di tensione neppure nei momenti sulla carta più spettacolari - la sequenza dell'attacco a Gerusalemme e quella del laboratorio di Cardiff, che è riuscita a riportarmi alla mente addirittura lo Steven Spielberg di Jurassic Park con i Velociraptor confinati nello spazio chiuso del centro e pronti a dare la caccia agli umani -.
Come se non bastasse, per un titolo dalla durata non esagerata come quella di molti altri giocattoloni distribuiti negli ultimi anni - siamo sull'ora e cinquanta scarsa -, la noia finisce per affiorare spesso e volentieri, a causa anche dei rimandi più o meno voluti ad una raccolta di film catastrofici più o meno efficaci dai quali gli sceneggiatori - e pensare che tra loro figura anche Drew Goddard, peccato davvero! - paiono aver pescato a piene mani senza preoccuparsi troppo di quello che sarebbe stato il risultato, o almeno di copiare "con stile" come avrebbe fatto, personalizzando senza ritegno, un Tarantino o un Rodriguez, giusto per non alzare troppo il tiro.
Forster, dunque, manca clamorosamente il bersaglio sprecando l'occasione di creare una sorta di "punto d'origine" di un brand - come vorrebbe la produzione e si evince chiaramente dal finale aperto, irritante e quasi patetico - che poteva essere la risposta sul grande schermo al successo che sta coinvolgendo The walking dead, serial tra i più amati della tv - anch'esso ben lontano, tra l'altro, dall'essere tra i miei favoriti -.
Solo il destino - ed il botteghino - potranno dirci se questo sarà effettivamente possibile: quello che è certo è che, con tutta la simpatia per Brad Pitt e la voglia di svagarsi con un bel filmaccio costruito sugli inseguimenti di zombies supercattivi e superveloci, l'unica cosa interessante uscita dalla visione è l'insegnamento base di un corso di sopravvivenza in caso di catastrofe di questo genere.
Doveste, infatti, ritrovarvi per le strade di una città completamente invasa, cercate di mettervi sempre sulla scia dell'attore di turno - preferibilmente action hero - e starete in una botte di ferro.


MrFord


"I think I'd better run, run, run
I think I'd better run, run, run
you didn't catch me fallin', fallin', fallin'
fallin',fallin', fallin'."
Phoenix - "Run run run" - 



domenica 22 aprile 2012

Machine gun preacher

Regia: Marc Forster
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 129'



 La trama (con parole mie):  Sam Childers è un biker violento e tossicodipendente appena uscito di galera quando, a seguito di uno scontro con un autostoppista finito nel sangue, chiede aiuto alla moglie convertitasi negli anni della sua assenza trovando in Dio una nuova missione.
Disintossicato e ripulito, mette insieme un'azienda di costruzioni di successo e decide, dopo un illuminante viaggio in Africa, di aiutare i bambini vittime della guerra civile in Sudan contemporaneamente all'inaugurazione di un luogo di culto nella sua città, divenendo di fatto un pastore.
Gli anni passano, le difficoltà aumentano, ma Childers continua a lottare - spesso e volentieri con le stesse armi dei loro persecutori - in difesa degli orfani figli solo di uno dei tanti massacri tenuti sotto silenzio presenti sulla Terra: un predicatore unico nel suo genere, che quando le parole non bastano, imbraccia ben volentieri le armi.




Esistono alcuni film in particolare in grado di mostrare quanto, nell'economia di una pellicola, sia importante una sceneggiatura solida anche rispetto alla stessa regia: se, infatti, un mestierante dietro la macchina da presa servito da un ottimo script è in grado di realizzare comunque un'opera da ricordare, non è detto che una storia scritta con i piedi possa essere migliorata da un cineasta - come in questo caso - magari neppure così dotato.
In questo senso, Machine gun preacher è stato davvero un'occasione sprecata.
La figura di Sam Childers - un personaggio controverso e per molti versi sempre troppo "estremo" - e la riflessione legata al suo ruolo di "salvatore" in Africa potevano di fatto porre la base per un piccolo, grande cult in grado di scomodare assonanze con Cuore di tenebra e il Colonnello Kurtz, considerato l'approccio che l'ex criminale divenuto un armato eroe delle piccole vittime della guerra civile in Sudan ha deciso di mantenere contro i capibanda che imperversano in una parte di mondo di cui troppo spesso l'opinione pubblica si dimentica: il prodotto finito, invece, risulta essere un tentativo raffazzonato e di grana grossa di portare a casa sia il favore del pubblico esigente abituato al Cinema d'autore sia di quello più tamarro figlio dell'action dura e pura - lo stesso tentativo che era stato fatto, e decisamente meglio, da Andrew Niccol in Lord of war -.
Se, però, la regia di Forster può anche essere perdonata per quanto scialba, la sceneggiatura di Jason Keller - non per nulla autore anche dello script dello scellerato ed inguardabile Biancaneve - risulta elementare e tagliata con l'accetta: passaggi che fanno pensare a tagli malriusciti in fase di post produzione, dialoghi dozzinali, sagre di luoghi comuni in grado di gettare alle ortiche tutte le potenzialità di una vicenda che in mano a professionisti più esperti - qualcuno ha detto Steven Zaillian!? - avrebbe potuto davvero portare alla realizzazione di una delle pellicole "must see" dell'anno.
In questo modo, invece, ci ritroviamo con la sensazione di aver assistito ad una specie di versione alternativa dello scialbo ed inutile Blood diamond quando, in realtà, la speranza era quella di poter affrontare una sorta di fratellino - seppur molto minore - di Apocalypse now.
Del resto, Sam Childers e la sua crociata in nome di Dio e degli orfani sudanesi hanno più ombre che luci, e portano a galla una riflessione giustamente sottolineata anche da Julez nel corso della visione: questo ex biker e tossicodipendente, in effetti, è un uomo abituato a vivere sul confine, sempre in bilico tra l'estremismo e la generosità, la fede e la follia, la voglia di lottare e l'espressione della violenza.
Parlando di questo insolito attivista per i diritti umani terminata la visione - senza soffermarsi troppo sull'interpretazione del mio amicone tamarro Gerard Butler, che continuo ad apprezzare anche quando non è al meglio, come in questo caso - mi è passato per la mente un paragone con Che Guevara, che più che un medico o un politico è stato a tutti gli effetti un guerriero, e per quanto puri potessero essere i suoi ideali viene da chiedersi se non fossero spinti prima dall'irrequietezza del combattente attanagliato dalla paura di rimanere senza battaglie da affrontare che non dal desiderio di affermarli proprio in quanto puri.
Childers, in fondo, mette la stessa fervente energia nella droga e nel crimine e dunque nel lavoro e nella ricostruzione della sua famiglia, per finire a battersi con la stessa violenza conosciuta per le strade e in carcere contro i signori della guerra nel cuore dell'Africa: questo è il segno di qualcosa che va oltre gli ideali, e che segna profondamente la passionalità - e l'inclinazione alla violenza, e l'andare oltre - di una persona: scrivo questo non come una critica, ma piuttosto come una sorta di riconoscimento anche di un lato di me stesso che difficilmente riesco a gestire e che mi porta con la stessa energia a buttarmi a capofitto in quello che riesce a smuovermi.
Questo lato è pericoloso, perchè figlio di quel "cuore di tenebra" che Conrad e Coppola fotografarono così bene nelle rispettive "specialità", e che, come avverte anche l'attivista incontrata da Childers al campo profughi, può portare a superare anche il confine estremo, divenendo progressivamente, di fatto, una nuova immagine di quello che si combatte.
Peccato davvero che Machine gun preacher, più che la fotografia di una lotta struggente contro quello stesso abisso, risulti essere la cronaca di una guerra disorganizzata e scomposta: anche - e soprattutto - nella sua espressione.
E per il Cinema, questo equivale sempre ad una pesante sconfitta.


MrFord


"I saw a savior
a savior come my way
I thought I'd see it
at the cold light of day
but now I realize that I'm
only for me."
Portishead - "Machine gun" -


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