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martedì 25 novembre 2014

The protector - La legge del Muay Thai

Regia: Prachya Pinkaew
Origine: Tailandia, USA, Hong Kong
Anno: 2005
Durata:
108' (77')





La trama (con parole mie):  il giovane Kham, addestrato fin da bambino nell'arte del Muay Thai e destinato alla protezione e all'allevamento degli elefanti di rappresentanza, cresce accanto al padre e maestro e ad una famiglia di questi enormi mammiferi. Quando, una volta divenuto uomo, assiste all'omicidio del genitore e al rapimento dei due esemplari maschi dei suoi elefanti, si mette alla ricerca dei responsabili, legati alle organizzazioni criminali tailandesi stanziate a Sidney, in Australia.
Giunto nel continente down under, Kham dovrà fronteggiare da solo l'intero clan criminale, finendo per essere aiutato da un poliziotto che con lui condivide le origini e da una giovane prigioniera delle dinamiche orchestrate dai boss locali: la strada che lo condurrà alla scoperta del destino dei suoi elefanti e al compimento della sua missione, però, sarà lastricata di lotte senza quartiere e senza esclusione di colpi.








Nonostante il sottoscritto sia un tamarro fatto e finito, e fin dall'infanzia sia legato a doppio filo non solo ai film action, ma a quelli di botte - tolto il periodo radical chic che mi allontanò dal genere per almeno cinque o sei anni -, dopo la tragedia che fu la visione del terribile Ong Bak decisi di limitare le mie incursione nel mondo delle pellicole dedicate alle mazzate ai titoli garantiti - come i due magnifici The raid, per esempio -: il mio fratellino Dembo, però, forse per farsi perdonare proprio il fatto di aver suggerito il succitato Ong Bak, ha lottato da par suo affinchè anche al Saloon giungessero i due Protector, che, di fatto, hanno contribuito notevolmente al successo del loro protagonista, lo strepitoso Tony Jaa.
E devo ammettere, visione del primo capitolo alle spalle, di essermi profondamente ricreduto: il lavoro di Prachya Pinkaew, per quanto risibile rispetto alla sceneggiatura e mutilato in maniera scandalosa dalla distribuzione occidentale - mezzora netta di differenza rispetto al minutaggio originale, una cosa vergognosa -, è uno dei più divertenti, ben coreografati e distruttivi film da scazzottata dura che ricordi di aver visto negli ultimi anni, impreziosito dalle evoluzioni spettacolari del suo protagonista, che pare aver fatto tesoro della lezione del grande padre di questo genere - un certo Bruce Lee, mica l'ultimo dei fessi - unendola alla potenza d'esecuzione che il Muay Thai garantisce.
Senza dubbio l'evoluzione della trama e la sua credibilità non vanno prese in considerazione, eppure tutte le sequenze di combattimento - dallo scontro con le gang di strada allo strepitoso piano sequenza all'interno del locale gestito dalla famiglia contro la quale Kham si scaglia alla ricerca dei suoi elefanti - regalano emozioni uniche agli appassionati, che riconosceranno in alcuni degli scontri volti noti - dal combattente esperto di capoeira Lateef Crowder, già visto in Mortal Kombat e in Undisputed 3, a Nathan Jones, colossale lottatore australiano che una decina d'anni or sono ebbe anche un breve stint nel wrestling che conta della WWE - e si divertiranno come matti osservando le doti atletiche incredibili del main charachter così come l'incredibile perizia degli stuntmen.
Prodotti come The protector, dunque, non solo regalano adrenalina e gioia al loro pubblico, ma hanno il grande merito di mostrare anche a chi continuerà a non volerlo vedere o ammettere la meraviglia data dalla grande professionalità e dalle imprese fisiche dei loro interpreti, che potranno non essere attori consumati, ma che finiscono per regalare emozioni altrettanto forti grazie a numeri ed esecuzioni di mosse talmente incredibili da far pensare a dei fumetti o dei cartoni animati dell'epoca d'oro degli anni settanta e ottanta, più che allo sfoggio della tenuta e dell'abilità di combattenti in carne ed ossa.
Come spesso capita di analizzare sempre con il già citato Dembo, perfino all'interno dei grandi Festival - o quantomeno in occasione della notte degli Oscar - andrebbe riconosciuto un premio anche al lavoro estremamente fisico di interpreti di questo calibro, così come degli stuntmen che si occupano di essere sbatacchiati in ogni dove dal protagonista di turno, che spesso e volentieri dovrà essere ancora più abile del solito per rendere credibili le sue mosse senza danneggiare il suo "avversario": una sorta di statuetta da assegnare anche, dunque, agli specialisti delle botte da orbi e delle mazzate che, con buona pace di tutti gli snob di turno, rappresentano una fetta da non dimenticare della settima arte.
Per quanto bassa, rozza e sporca possa essere.
Almeno ad un occhio che non considera alcuni movimenti e passaggi di questo genere di film una vera e propria poesia per gli occhi.




MrFord




"You can keep me pinned
it's easier to tease
but you can't paint an elephant
quite as good as she."
Damien Rice - "Elephant" - 




domenica 4 dicembre 2011

Ong Bak - Nato per combattere

Regia: Prachya Pinkaew
Origine: Thailandia
Anno: 2003
Durata: 105'



La trama (con parole mie): Ting, eroe e campione di Muay Thai di uno sperduto villaggio, dopo aver completato il suo addestramento, parte per Bangkok alla ricerca della testa di una statua sacra per la sua gente trafugata da un piccolo malvivente originario del luogo.
In città è guidato da Humlae, anche lui proveniente dal villaggio ed un tempo aspirante monaco, divenuto un mezzo tamarro ossigenato pronto a fare da spalla comica al protagonista.
Ovviamente, il piccolo malvivente responsabile del furto è in realtà il galoppino di un boss locale al centro di un traffico di statue antiche e combattimenti illegali che Ting, a suon di gomitate in testa, sarà chiamato a sgominare.



Devo chiedere scusa al mio fratellino Dembo.
So che, infatti, prima o poi dovremo avventurarci nella visione del secondo capitolo delle avventure di Ting, che siamo entrambi figli di una sottocultura trash legata ai film di botte e da buoni tamarri dobbiamo tenere fede al nostro apparire duri e cazzuti, ma non riesco proprio a fingere: Ong Bak è uno dei film più brutti che mi sia mai capitato di vedere, una schifezza atomica di proporzioni bibliche che se non fosse stato per le doti atletiche indubbie del suo protagonista sarebbe in tutto e per tutto una produzione ad essere buoni dilettantesca, girata, pensata e realizzata così male da far apparire i vecchi cult del trash con Bud Spencer e Terence Hill delle cose degne della Palma d'oro, e addirittura - Julez è testimone - Don Matteo una sorta di piccolo cult che manca il sorpasso soltanto a causa della mancanza delle botte da orbi necessarie per ogni tamarrata che si rispetti.
Sequenze come quella dei combattimenti a ripetizione nel locale gestito dal boss - impagabile l'avversario giapponese, per non parlare dell'assurdo Mad Dog - o quella della battaglia finale con la Tigre - tirapiedi del suddetto boss che sfodera come colpo segreto l'iniezione dal nulla di una manciata di siringhe di steroidi nel petto - raggiungono livelli così bassi da risultare quasi incredibili, e stimolare nello spettatore domande importanti come "nella zuppa di stasera ho messo anche quei vecchi funghetti portati via di soppiatto dal Messico!?".
Tutto questo senza neppure prendere in considerazione le parti dedicate al comico/grottesco - l'inseguimento tra i taxi - o l'escursione in territori melò della conclusione legata al personaggio di Humlae/George, assolutamente ridicole e talmente brutte da risultare non solo innocue, ma quasi quasi addirittura divertenti - ho scritto quasi quasi, badate bene -.
Il mio consiglio, rispetto a questa roba, è quello di esimersi completamente e senza possibilità di replica nel caso in cui non foste appassionati dei film di botte, o di tapparvi il naso e pensare solo alle acrobatiche esibizioni di Tony Jaa nel caso in cui, al contrario, foste fan del genere: le evoluzioni di questo incredibile atleta, infatti, sono l'unica cosa per cui valga la pena di affrontare una visione di così basso livello, e le gomitate in testa rifilate agli avversari di turno sono uno spasso assoluto.
Nonostante questo, però, siamo ben lontani dall'effetto dei calci rotanti di Van Damme - Kickboxer e Senza esclusione di colpi tutta la vita, al posto di un "film" di questo genere - o della potenza dirompente di Scott Adkins: e già che ci sono, dichiaro ufficialmente che in una lotta all'ultimo calcio con l'alter ego di Boyka, il buon Tony Jaa, pur fenomenale, sarebbe destinato inevitabilmente a finire con il culo per terra.
Per non parlare del buon Jean Claude.
Ma che c'entrano Boyka e JCVD, direte voi!?
Il fatto è che un pò di folklore va fatto, anche perchè di Ong Bak è davvero difficile dire altro.

MrFord

"I'm so dead
you're the first star
you're the one who sees it all
I know
I'm so tired
and sick."
Deftones - "Fist" -


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