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sabato 16 aprile 2016

Avenging Angelo

Regia: Martyn Burke
Origine: USA, Francia, Svizzera
Anno: 2002
Durata:
97'








La trama (con parole mie): Frankie Delano ha passato l'intera vita come guardaspalle del boss Angelo Alleghieri, che per proteggere la figlia avuta dall'amata moglie defunta ha deciso di darla in adozione ad una coppia di ricchi amici compiacenti in modo da garantirle sicurezza e futuro.
Quando, alla morte di quest'ultimo - ucciso proprio in un momento di distrazione della sua "ombra" -, Frankie si ritrova senza un punto di riferimento, decide di continuare nella sua missione di protezione e di rendere nota a Jennifer - questo il nome della donna - la verità.
Una volta presa coscienza delle sue radici, la stessa finirà per instaurare con Frankie un rapporto di amore e odio nonchè continuo confronto legato al passato del braccio destro del padre ed al futuro che potrebbe costruirsi per lei e suo figlio, ora che, venute a galla le sue origini, sicari inviati dai boss potrebbero perfino farle la pelle.
Riuscirà Frankie a convincere Jennifer a fidarsi di lui, e difenderla dall'esterno?













Quando, poco prima dell'ultima Notte degli Oscar, ho iniziato il percorso a ritroso che mi ha permesso di recuperare tutti i film con Stallone che ancora non avevo - colpevolmente - visto o recensito, ho pensato che avrei incontrato tendenzialmente cose non particolarmente meritevoli neppure per un fan accanito dello Stallone Italiano come il sottoscritto, e che questa carrellata si sarebbe trasformata in una difesa neppure troppo convinta delle "perle nascoste" targate Sly.
Fortunatamente - ma avrei dovuto saperlo, dato il livello di miticità, per parlare come Po, del personaggio in questione - sono stato clamorosamente smentito nella maggior parte dei casi, ed in alcuni di essi, come D-Tox o questo Avenging Angelo, sono rimasto addirittura colpito e sconvolto per il fatto di non aver rimediato prima con una reiterata visione degli stessi: se, però, un lavoro come l'appena citato D-Tox si avvicina più a quello che è sempre stato lo standard stalloniano - quindi action, botte e morti ammazzati -, Avenging Angelo ricorda più l'ottimo Oscar - Un fidanzato per due figlie, inserendosi nel filone Mafia-comedy che ha regalato al Cinema anche ottime pellicole - su tutte, ricordo L'onore dei Prizzi - ed in quello ancora più classico della romcom.
Ultima pellicola a vantare il leggendario Anthony Quinn nel cast - ricordato anche in chiusura con la dedica alla memoria -, Avenging Angelo è, forse, la più femminile tra quelle della filmografia del buon Stallone, piacevole divertissement senza troppe pretese basato principalmente sulle schermaglie ed i duetti tra lo stesso Sly e Madeleine Stowe, pronti a culminare nella sequenza della lezione di camminata che, probabilmente, manifesta di fatto una doppia personalità divenendo un vero e proprio gioiello per i cultori del Silvestrone di noi tutti ed un motivo di incredibile imbarazzo per i suoi radical detrattori.
Personalmente, mi sono goduto la visione sorprendendomi in positivo nonostante gli evidenti limiti del prodotto - a tratti molto televisivo, con un Raoul Bova imbarazzante ad essere generosi -, ricordando l'affetto che ho provato per commedie leggere simili come Two much ed il ruolo di Stallone di guardaspalle sia del suo vecchio boss Angelo che della figlia di quest'ultimo nel corso della sua vita - spassosi i ricordi di lei filtrati attraverso le interferenze che il Frankie di Sly ha operato rispetto agli "ostacoli" nella vita soprattutto scolastica della Jennifer della Stowe -: se, a questo, si aggiungono il classico intreccio da commedia romantica ed alcuni passaggi pronti a far sorridere i vecchi fan dell'action - la "resa dei conti" tra Jennifer ed il boss responsabile dei suoi guai -, il risultato è un piacevole ritorno ai tempi in cui si guardava con tutta la famiglia il più facile dei film da sabato sera buono per mamma, papà e figli, anche quando non si coglievano tutte le sfumature - mi ricordo quando, ai tempi, con mio fratello finivamo per commentare i passaggi che ci erano sfuggiti rispetto alle cose "da grandi" regalando le personali interpretazioni delle quali ridiamo ancora oggi -.
Nel viaggio che sto compiendo alla scoperta degli Sly che mancavano alla mia collezione, devo ammettere che Avenging Angelo è stata una delle scoperte più interessanti: fresco, senza troppe pretese, in grado di non limitare il range di pubblico ai soli aspiranti machos da action pura, ma anzi, aprire le porte all'audience in rosa ed in grado di mostrare uno Stallone un pò diverso - per quanto sia possibile al Nostro - da quanto si sia abituati a vedere sul grande schermo.
Per tutto questo, sono anche più che disposto a concedere al pubblico internazionale una visione dell'Italia - e della Sicilia - buona giusto per i turisti a stelle e strisce.





MrFord





"Cattivo come adesso non lo sono stato
e quando mezzanotte viene
se davvero mi vuoi bene
pensami mezz'ora almeno
e dal pugno chiuso
una carezza nascerà."
Adriano Celentano - "Una carezza in un pugno" - 






mercoledì 20 novembre 2013

La strada

Regia: Federico Fellini
Origine: Italia
Anno: 1954
Durata: 108'




La trama (con parole mie): Gelsomina, una ragazza introversa dalla particolare sensibilità, è spinta dalla madre a divenire l'assistente di Zampanò in sostituzione della sorella defunta. L'uomo, un artista di strada specializzato in numeri che prevedono l'utilizzo della forza bruta dal carattere burbero e spigoloso dedito all'alcool e alla violenza, diviene dunque il maestro ed il padrone della giovane, che spesso e volentieri soffre i suoi modi bruschi.
Quando l'incontro con un altro artista detto il Matto pone Gelsomina di fronte ad una nuova prospettiva della sua esperienza, quest'ultima decide di rimanere accanto a Zampanò quasi si trattasse di una missione, o di una predestinazione: la tragedia, però, è dietro l'angolo, e per l'insolita coppia giunge il momento di affrontare la dura realtà delle rispettive nature.





Tradurre i propri pensieri, le esperienze e le idee in poesia non è mai un'impresa facile, di qualsiasi campo artistico si stia parlando: spesso e volentieri, superando il confine che separa il racconto quotidiano dal lirismo del sogno e dell'interpretazione, si rischia per scivolare nel radicalchicchismo sfrenato - e qui al Saloon tanto osteggiato - oppure nel patetico.
Fortunatamente ogni tanto, nel nostro percorso umano, incrociamo il cammino di nomi come quello di Federico Fellini, tra i pochi registi in grado di riuscire a farsi interprete del significato più puro del termine poesia senza per questo rinunciare alla pancia o al cervello: uno degli esempi più importanti in questo senso è senza dubbio La strada, titolo che diede notorietà assoluta ed internazionale al cineasta riminese e che gli valse l'Oscar per il miglior film straniero, lanciando di fatto uno stile ed un approccio che sarebbero stati presi d'esempio e modello per i decenni successivi - e lo sono ancora -.
In realtà questa ennesima visione de La strada mi ha condotto - come spesso accade con le opere dei grandi - ad un'altra interpretazione della stessa, meno riferita ai consueti pareri in merito, al mondo del circo, all'amore, al vagabondare, quanto più al complesso rapporto che legò per una vita Fellini e sua moglie, Giulietta Masina: in un certo senso, quello che ho visto questa volta nella storia spesso triste di Gelsomina e Zampanò è stato una sorta di rivisitazione del rapporto tra il regista e l'attrice, inseparabili anche nella morte - la Masina scomparve neppure sei mesi dopo il Maestro - eppure decisamente lontani da un rapporto idilliaco in vita.
Il carattere strabordante del geniale Federico e quello più remissivo di Giulietta, uniti alle avventure che il primo spesso e volentieri si concedeva con le protagoniste che ispiravano i suoi film - su tutte è nota la storia d'amore con Sandra Milo -, i conflitti e le ombre si sono proiettati dal primo all'ultimo su Zampanò e Gelsomina, in perenne lotta eppure necessari l'uno all'altro anche di fronte alla tragedia, e alla morte.
La leggerezza quasi ostentata della ragazza spinta dal Matto a credere che la ragione della sua vita potesse essere effettivamente quella di stare accanto ad una persona "che nessuno avrebbe voluto" e l'aggressività a tratti incontenibile dell'uomo, apparentemente privo di qualsiasi sensibilità o pensiero rivolto a qualcosa che non sia il suo viaggiare ed i numeri da circo, l'alcool e le donne, si incastrano alla perfezione come soltanto i grandi amanti ed i grandi nemici possono riuscire ad incastrarsi, facendo da motore ad una tragedia profondamente realista ed altrettanto aerea nella sua rappresentazione, ritratto non tanto di un Paese - come fu per Amarcord o La dolce vita - quanto della parte "straziata" dello stesso, quella del cuore.
Un film da amare incondizionatamente anche nei suoi momenti più terribili, traboccante la passione per la vita che Fellini non ha mai fatto mancare al suo pubblico, in grado di rendere profondo e tragicamente affascinante proprio Zampanò, talmente forte ed aggressivo da intimorire eppure fragilissimo e solo in uno dei finali più struggenti che il Cinema italiano sia mai riuscito a portare sul grande schermo, così come la delicata Gelsomina, talmente decisa a credere da risultare quasi fastidiosa agli occhi di chi, al contrario, più che alla Fede è dedito alla Vita, eppure incapace di rinunciare alla parte di sogno necessaria per sopportare la realtà.


MrFord


"Lui ti offre la sua ultima carta, 
il suo ultimo prezioso tentativo di stupire, 
quando dice "È quattro giorni che ti amo, 
ti prego, non andare via, non lasciarmi ferito". 
E non hai capito ancora come mai, 
mi hai lasciato in un minuto tutto quel che hai. 
Però stai bene dove stai. Però stai bene dove stai."
Francesco De Gregori - "Pezzi di vetro" -



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