lunedì 24 maggio 2010

Il mio amico Eric

"Prima di sorprendere gli altri, devi essere in grado di sorprendere te stesso."
Con questo consiglio Eric Cantona - per chi non lo conoscesse, uno dei calciatori simbolo degli anni novanta, nonchè ritratto pressochè perfetto dell'accezione di genio e sregolatezza - esorta Eric Bishop il postino, uomo di mezza età alla deriva, due figliastri sulle spalle, un grande amore perso per paura, a riprendere in mano la vita.
Come i componenti della squadra di Riff Raff, Ken Loach tiene subito a far notare al suo pubblico che questi uomini così comuni sono nelle loro esistenze eccezionali, e mai e poi mai saranno quella "spazzatura" cui faceva riferimento il gioco di parole di quel suo vecchio lavoro.
E fa bene a farlo. Perchè è proprio così che stanno le cose.
E tutti noi che amiamo il Ken Loach "pane e salame" e non quello della retorica a grana grossa - ma come hanno fatto a premiare con la Palma d'oro quella boiata di Il vento che accarezza l'erba!?!? - non possiamo che associarci appieno e festeggiare come per un goal appena messo dentro.
Certo, Il mio amico Eric non è un film perfetto: l'eccezionale performance di Cantona è fin troppo funzionale alla trama, e nonostante regali le scene migliori della pellicola - la marsigliese con la tromba e il ballo - ne sottolinea anche i limiti.
Eppure, nell'invasione della villa del malvivente che perseguita il figliastro di Eric, con una folla di postini tifosi armati di ogni sorta di mazze e tutti mascherati - alla "ex presidenti" - da Cantona c'è il colpo di genio di un Maestro, e tutto l'amore che il buon vecchio Ken prova e trasmette per la gente comune.
Non sono cose che si trovano tutti i giorni come le pellicole come questa, che anche di fronte alla tristezza e ai lati spiacevoli della vita di chi può solo sognare quella ribalta di gloria - che sia calcistica o di qualsiasi altro genere - che non avrà mai, sa gioire di quello che rende davvero speciale un'esistenza: quelle cose che passano davanti agli occhi, ma che, a volte, hanno bisogno di sbatterci dritte in faccia per poter essere davvero notate.
E nelle immagini delle azioni sul campo dell'Eric calciatore, e nella sua scelta del momento più bello della carriera, c'è una poesia che fa amare il calcio e la vita.
Perchè non è un goal, la cima più alta. Ma un passaggio.
Quello che stupisce gli altri, e soprattutto te stesso.
Che mette sui piedi di un compagno che conosci a fondo la palla che tu avresti sognato una vita di buttare dentro.
Sensazioni uniche.
E a proposito: da avversario "sul campo", ma da amante del pallone, non posso che complimentarmi con i miei "cugini" nerazzurri.
Questa volta niente scuse.
Ve la siete proprio meritata.

"Marchons! Marchons!
Qu'un sang impur
abreuve nos sillons!"
MrFord

4 commenti:

  1. ma io sono fiero del mio sognare, di questo eterno mio incespicare
    e rido in faccia a quello che cerchi e che mai avrai!

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  2. eheh, anche qui non sono d'accordo, il vento a me è piaciuto molto, sarà che sono giovine...

    Quando racconta del passaggio a Irwin (se non ricordo male) e poi vengono mostrate le immagini sembra che tutto sia accaduto per essere raccontato in quel film..momento perfetto e da brividi....

    complimenti a JuleZ per Guccini...

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  3. Ivan: non so se è perchè sei giovine, o se ti ha toccato di più, sarà che a me è sembrato troppo didascalico e retorico. Meglio il Loach dei "brutti, sporchi e cattivi", o un bel Guccini che fa sempre bene, come dice anche Julez!

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