martedì 18 maggio 2010

Cella 211

Homo homini lupus, si diceva in giro parecchio tempo fa.
Le regole sono cambiate, le società pure, le leggi con loro.
Eppure, quando tutto diventa una questione di vita o di morte, non c'è niente più che l'antica regola dell'istinto a fornire il grano alla grande falce.
E purtroppo, considerato il tipo di mondo, è difficile che le cose vadano come si possa pensare che andranno.
Cella 211 è un solido cartone rifilato da chi sa come fare a pugni.
So che, purtroppo, una pellicola come questa potrebbe essere travisata da diverse angolazioni, sia dai sapientoni che la giudicheranno troppo didascalica in alcuni punti - soprattutto rispetto alla storia d'amore del protagonista Juan -, sia dai fan di Scarface che vedranno nel personaggio di Malamadre un nuovo idolo da inserire nelle top ten dei criminali da prendere come esempio.
Inutile stare a descrivere la tristezza che entrambi i punti di vista suddetti mi ispirano.
Perchè non si può pensare di prendere qualcuno come esempio, una volta buttati nel cuore della rivolta nel carcere di Zamora, se non chi cerca disperatamente di sopravvivere: perchè la propria sopravvivenza - unica, vera legge di fronte ad una situazione che vota all'essere selvaggi - diviene l'istinto più importante che possa muovere una coscienza, sia esso motivato dall'amore o dalla semplice espressione della natura che incombe dentro di noi.
E tutti i protagonisti, da Juan, allo stesso Malamadre, ad ognuno dei guardiani, dei negoziatori o dei detenuti, si muove fra le mura del penitenziario, e nel mezzo di ognuno dei tumulti, con il chiaro intento di arrivare alla fine ancora attaccato alla pelle.
E con la certezza che le probabilità saranno comunque e sempre a sfavore.
E' lo stesso Malamadre a dichiarare a Juan "noi ora usciamo da quella porta insieme, e andiamo fino in fondo; ma devi pregare che io ci lasci le penne per primo, perchè se non sarà così, ti ammazzo. Tu non arrivi vivo fuori da qui."
Come un promemoria della Natura: gioca finchè vuoi, ma non sei tu che comandi.
Arrangiati, provaci, mostra quello che sai fare.
Se ti andrà bene, forse ci sarà un momento in cui potrai sfiorare quello che vuoi, che cerchi, che pensi ti possa dare la chance di farcela.
Da spettatore, l'identificazione con Juan è difficile da evitare.
In fondo, è l'unico appartenente a quell'inferno che possa essere associabile ad una persona "normale".
Ma chi è normale, in fondo!? Davvero Juan è "migliore" degli altri?
La legge della Natura è così terribile da rendere reale quel vecchio assunto?
Difficile saperlo.
Ma di sicuro è triste - ed è questo, a mio parere, il grande merito di quest'ottimo, tesissimo film - arrivare a pensare che sia più sicuro, in qualche modo, stare nel cuore di una rivolta organizzata da gente capace di ogni crimine piuttosto che fuori, in mezzo a chi dovrebbe tutelare la sicurezza.
Alzi la mano chi non sta con "Mutande", cuore ferito e coltello alla mano.

"They try to built a prison
(for you and me to live in)."
MrFord

5 commenti:

  1. Alzo la mano.


    Otiimo James, sì, anche il tema sella lotta alla sopravvivenza potrebbe essere forse quello dominante. Io l'ho visto più come parabola di un uomo in balia di un destino incredibile. Sempre sperando che questa mia visione non mi rifili tra una delle due correnti di sapientoni che citi...

    Anche questa volta, hai fatto un commento con la pistola, io senza.

    Tra un mesetto mi guardo Il Profeta (sarà che sono usciti insieme e ambientati nei carceri, ma li ho sempre accoppiati), me li voglio dosare con cura.

    Ciao!

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  2. Dae, mi farò chiamare lo "spietato" dei blog!

    Molto bello anche Il profeta, li ho anch'io associati mentalmente, vedrai che te lo gusterai parecchio.

    Sono due facce della stessa medaglia, per dirla come te, potrei dire che Cella 211 ha la pistola, Il profeta no. Al massimo lavora di coltello.

    Ci sta bene anche la tua visione, in realtà sviscera un sacco di temi, questo film. Non sarebbe così interessante, altrimenti.

    Evvai mutande!

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  3. la domanda non è se Juan sia migliore degli altri; secondo me la domanda è se gli altri siano peggiori di juan...
    e concordo, il tema della sopravvivenza è fondamentale, come nella scena in cui il funzionario svela a tutti l'identità di juan per non finire ammazzato di botte, anche se poi muore comunque, e in più da infame... forse un messaggio celato per dirci che a volte l'istinto di sopravvivenza non vale cose come il saper stare al mondo?... domanda futile...

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  4. Ivan, ottima riflessione, quella sugli altri peggiori di Juan.
    Ma il saper stare al mondo non è a sua volta una forma di sopravvivenza? Davvero un grande film, ad ogni modo, che non smette di far riflettere!

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