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mercoledì 6 giugno 2018

End of justice - Nessuno è innocente (Dan Gilroy, Canada/Emirati Arabi/USA, 2017, 122')







Immagino sia capitato a tutti voi almeno una volta nella vita di ordinare un piatto - o un cocktail - che sulla carta avrebbe tutti gli ingredienti giusti per piacervi solo per scoprire che, al contrario, finirete per rimpiangere la scelta.
Giusto per farvi un esempio pratico: la maionese è una delle cose che più detesto al mondo, e la sua presenza - anche minima - compromette la possibilità per questo vecchio cowboy di assaggiare un piatto, un panino o qualsiasi altra cosa.
Eppure i suoi ingredienti, presi singolarmente, sono tutti più che apprezzati.
End of justice - terribile adattamento italiano dell'originale Roman J. Israel Esq. - potrebbe essere paragonato proprio alla "merda gialla", come direbbe Vincent Vega: non che mi abbia fatto così tanto schifo ma, se paragonato ai pezzi che compongono il suo puzzle, rappresenta senza dubbio una delle delusioni più clamorose di questa già decisamente spenta primavera cinematografica - anche se, lo ammetto, tra desertificazione della blogosfera, stanchezza da lavoro e crossfit e impegni con i Fordini, anch'io ultimamente sono più da serie tv -.
Questo perchè Dan Gilroy, con il suo Lo sciacallo, era stato una delle sorprese più interessanti di qualche stagione fa, il buon Denzellone è sempre un grande - anche quando, come in questo caso, gigioneggia a livelli fuori scala - ed il legal thriller ha da sempre esercitato un fascino particolare sugli occupanti del Saloon, specie se associato a questioni etiche o filosofiche, se così possiamo definirle.
Peccato che, nonostante protagonisti, autore e confezione, End of justice si perda in se stesso e soprattutto nella gestione del tempo narrato neanche fosse il peggiore dei prodotti da sabato sera su Italia Uno, raccontando il conflitto interiore di un protagonista sulla carta assolutamente interessante con una semplicità da taglio con l'accetta degna del più trash degli slasher movies: Roman J. Israel Esq, avvocato ombra del suo socio, genio quasi autistico del sistema legale, paladino dei diritti degli accusati con il sogno di intentare una sorta di "causa allo Stato" che potrebbe portare ad una rivoluzione del sistema legale, trovatosi privo del suo "scudo" e in un ambiente che non gli è consono, cade vittima del fascino del potere e delle scappatoie, finendo per commettere tutti gli errori che fino ad allora aveva tanto criticato, o lottato per cancellare.
Un'evoluzione sulla carta stimolante per sceneggiatori e pubblico resa troppo semplice e veloce, quasi si fosse deciso di condensare un'intera stagione di una serie in un film di un paio d'ore - o le tre settimane citate ad inizio pellicola neanche fossero mesi, o addirittura anni -: non che cambiamenti radicali siano da escludere completamente nella realtà, e senza dubbio eventi traumatici possono portare a compiere scelte che nella quotidianità finiscono per essere poco più di remote possibilità, eppure l'impressione, nel cambio di ruoli di Washington e Farrell, è che tutto appaia forzato e posticcio, neanche Gilroy avesse abbandonato i panni dello sciacallo per trasformarsi in una sorta di pavone e mostrarsi più appariscente di quanto in realtà non sia.
Un atteggiamento - ed un problema - che si riflettono anche sulla pellicola, assolutamente lontana dai classici del genere e neppure tanto pessima da stuzzicare una stroncatura di quelle buone per sfogarsi e divertirsi anche un pò: semplicemente il tentativo di "cambiare il mondo" di Roman J. Israel Esq risulta assurdo come tutti i sogni donchisciotteschi - e questo potrebbe essere anche positivo - quanto fastidioso come i bei voti di quei secchioni che ai tempi della scuola si lamentavano ogni volta di essere andati male ad un compito in classe per poi prendere i voti più alti.
Peccato non essere più a scuola, a volte.
Perchè per loro la vita sarebbe decisamente più semplice.
E chissà, certi piatti con ingredienti perfetti potrebbero perfino risultare perfetti a loro volta.
Peccato che la scuola sia finita da un pezzo.




MrFord




lunedì 16 ottobre 2017

L'inganno - The beguiled (Sofia Coppola, USA, 2017, 93')





Ricordo la prima volta in cui ebbi modo di incrociare il cammino di uno dei cult più sconosciuti e sottovalutati del Cinema made in USA anni settanta, quel La notte brava del soldato Jonathan, ispirato dal romanzo The beguiled, che prendeva il machismo, il repubblicanesimo e tutto il maschilismo di Don Siegel e Clint Eastwood, due delle icone dei tempi legate a questi concetti, e le ribaltava grazie ad un thriller "femminista" come forse non si erano mai neppure immaginati.
L'idea, dunque, di un remake realizzato più di quarant'anni dopo da una regista dalla carriera altalenante - Sofia Coppola è riuscita a regalarmi graditissime sorprese come Il giardino delle vergini suicide o il troppo bistrattato Somewhere ed altre decisamente più indigeste come il sopravvalutato Lost in translation o il recente e più che vuoto Bling Ring - non mi attirava granchè, consapevole del rischio che lo stesso avrebbe comportato in termini di bottigliate.
Prima, dunque, che i nodi vengano al pettine, meglio specificare le cose: L'inganno non è un film da bottigliate, Sofia Coppola ha realizzato - tecnicamente parlando - davvero un prodotto di livello, rispettando la pellicola originale - considerato che in questo periodo, Blade Runner docet, i remake o seguiti o che dir si voglia rischiano di finire sulla graticola in men che non si dica - e nonostante il ritmo, la cornice ed il genere assolutamente fruibile e scorrevole - l'ho visto al termine di una giornata fuori porta sfiancante in compagnia del suocero Ford sostenuti entrambi da numerosi gin tonic, e senza che si crollasse dal sonno, che in quelle condizioni è tutto dire -.
Eppure, era inevitabile scontrarsi con un eppure.
Questo The beguiled - adattato non al meglio, pur se meglio dell'originale -, infatti, nonostante un comparto tecnico di livello decisamente buono, finisce per perdere il confronto con il suo predecessore principalmente a causa dell'utilizzo e della scelta del suo protagonista: non che abbia necessariamente qualcosa contro Colin Farrell, ma il Caporale McBurney dell'attore irlandese manca quasi completamente del carisma e dell'appeal di quello portato sullo schermo da Eastwood, apparendo più come un viscido approfittatore nella versione della Coppola - scelta che potrebbe essere anche stata voluta, non è da escludere - che non come il maschio alpha che si considera gallo nel pollaio e predatore e finisce inesorabilmente per essere smentito nel peggiore dei modi come in pochi altri film da ribaltamento pronti a sottolineare il vero equilibrio delle forze tra i sessi - originale di Siegel a parte, mi tornano in mente solo Holy smoke e Ritratto di signora -.
La mancanza, da questo punto di vista, di forza da parte del main charachter - o quello che si crede tale - finisce così per minare la resa della pellicola in generale, o quantomeno limitarne la portata, finendo per dare l'impressione del lavoro compiuto soltanto in parte e dunque in grado di arrivare e conquistare soltanto parzialmente la critica "dura e pura" probabilmente legata all'originale così come il pubblico occasionale alle prese con un titolo che finirà per mettere fin troppo a dura prova.
Il tutto senza contare un coraggio non pervenuto che nel millenovecentosettantuno portò Siegel addirittura a dirigere la scena di un bacio tra Eastwood quarantenne e la sua compagna di scena tredicenne, impensabile oggi.
Un vero peccato, perchè il cast femminile al contrario pare decisamente efficace ed azzeccato nelle scelte, e possa piacere oppure no all'occhio maschile che lo guarda tiene perfettamente il palcoscenico ed intriga neppure tutti gli esemplari di ominide fossero di colpo nei panni non troppo fortunati di McBurney, dall'illusione all'inganno, fino all'inevitabile conclusione.
Curioso come, ad ogni modo, uno dei registi più repubblicani della Storia di Hollywood ed il suo attore feticcio siano riusciti, almeno ai miei occhi, a rendere più netta la presa di coscienza dell'Uomo rispetto alla Donna rispetto ad una regista "rosa" resa più sicura dalle coscienze risvegliate del Nuovo Millennio.
Forse è anche questo un inganno.
O forse il bisogno, la solitudine, l'amore, il dolore, l'odio, la passione, finiscono per filtrare la realtà diversamente da quanto non sia.
L'importante, in questo caso, è accorgersi di tutto prima che sia troppo tardi.




MrFord




 



venerdì 16 dicembre 2016

Animali fantastici e dove trovarli (David Yates, UK/USA, 2016, 133')




Oltre a fare la fortuna della sua autrice ed aver in qualche modo veicolato la vittoria del viaggio ad Orlando ed ai suoi fantastici parchi giochi dei Ford qualche anno fa, Harry Potter è stato senza ombra di dubbio un vero e proprio fenomeno di massa per le generazioni che ora vanno dall'adolescenza ai quaranta, in termini letterari, ludici o cinematografici.
Nonostante non sia mai stato un fan accanito del maghetto - mi sono fermato a L'ordine della fenice per quanto riguarda i romanzi, mentre ho amato solo a corrente alterna le trasposizioni su grande schermo - occorre ammettere che la sua saga ha avuto il merito di coinvolgere anche chi non se lo sarebbe mai aspettato, dando vita ad una vera e propria mitologia e ad opere "sorelle" come questa: Animali fantastici e dove trovarli, infatti, rappresenta l'inizio di una nuova epopea ambientata nello stesso mondo di Harry Potter, ma a partire dagli Stati Uniti degli anni venti, dunque ben prima che non solo il piccolo predestinato ma anche i suoi genitori nascessero.
Personalmente, non smaniavo all'idea di buttarmi in un'altra produzione di questo genere, ed ho approcciato la visione principalmente spinto dall'hype di Julez all'idea di tornare a gettarsi nel mondo della magia e dei babbani - o nomag, come pare si usi nel Nuovo Mondo -, e considerato il mio scetticismo, devo dire che il risultato del lavoro di David Yates è stato più che discreto: nonostante, infatti, una durata eccessiva ed una certa freddezza di fondo, Animali fantastici e dove trovarli è divertente e piacevole, non rappresenta nulla di nuovo per quanto riguarda il Cinema d'avventura per ragazzi ma non sfigura neppure, principalmente grazie alle creature curiose portate a spasso dal protagonista - un Eddie Redmayne che ha già cominciato a fare l'Eddie Redmayne, e per un attore al top del successo non è mai un bene - e alla spalla comica dello stesso, il Kovalski di Dan Fogler, vero e proprio jolly di una pellicola che, senza queste presenze decisamente spassose, avrebbe finito per apparire quasi troppo pretenziosa e seriosa, considerati i suoi elementi cardine.
Proprio la parte più dark, infatti, che aveva fatto la fortuna dei capitoli migliori della saga di Harry Potter - più precisamente quelli dal due al quattro, il mio personale favorito -, in questo caso pare appesantire eccessivamente una proposta che, al contrario, gira decisamente meglio quando lavora come fosse una pellicola figlia degli anni ottanta dei vari Il bambino d'oro e Labyrinth e perfino quando è il romanticismo a farla da padrone - immagino che la storia incrociata tra Newt, Kovaski e le due sorelle trovatesi sulla loro strada sia destinata a proseguire -, e prima Colin Farrell e dunque - per fortuna solo per una manciata di minuti, almeno per ora - Johnny Depp fanno sorgere più dubbi che altro proprio rispetto al "lato oscuro" di un prodotto che pare proprio non averne.
Promosso, parlando di "cattivi", Ezra Miller, che al contrario dei suoi blasonati colleghi appena citati, con i suoi turbamenti pare mostrare uno spessore in grado quantomeno di non far rimpiangere charachters come Voldemort, Codaliscia o Piton: un inizio sicuramente abbastanza promettente di una saga che, comunque, anche ora non ho così tanta voglia di seguire, priva della scintilla che trasforma un giocattolone in qualcosa destinato a segnare davvero un'epoca.
Ma la magia, così come gli animali, è imprevedibile: dunque chissà che, con il prossimo capitolo, non finisca per uscire davvero a bocca aperta anch'io.




MrFord




sabato 9 aprile 2016

Premonition - Solace

Regia: Afonso Poyart
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 101'







La trama (con parole mie): l'agente Joe Merryweather, a seguito di una serie di omicidi insoluti che stanno mettendo in grave difficoltà l'FBI, con la collega Katherine Cowles convince a tornare dal suo ritiro - avvenuto due anni prima di quegli eventi a seguito della morte per malattia della figlia - il sensitivo John Clancy, per anni collaboratore dell'agenzia, che pare dotato di un potere di chiaroveggenza ai limiti del superumano.
Quando le tracce conducono i tre al punto di connessione tra gli omicidi - il fatto che le vittime siano tutte affette da malattie terminali -, inizia per i detectives una caccia che li condurrà ad un confronto prima con loro stessi e le luci ed ombre delle loro anime, e dunque con il resposabile delle morti, che pare possa essere dotato di un potere molto simile - se non superiore - a quello di Clancy.











La lunga storia d'amore tra i thriller e le crime stories ed il Saloon continua ad essere ben lontana dall'esaurirsi, considerata l'attrazione che questo tipo di pellicole - anche quando, di fatto, si parla di intrattenimento spicciolo e non di cult - continua ad esercitare su tutti i suoi occupanti - Julez in primis, fan hardcore del genere morti ammazzati -: questo Solace - adattato vergognosamente in Premonitions -, uscito in sala sul finire del duemilaquindici, di grana grossissima, semplice nello svolgimento e figlio di una regia che vorrebbe essere cool firmata da Afonso Poyart - che nei momenti delle "visioni" di Clancy ed Ambrose pare sfogare uno stile videoclipparo passato di moda un paio di decenni or sono -, non è stato da meno, finendo per intrattenerci senza colpo ferire nonostante i numerosi difetti.
La vicenda del confronto tra il sensitivo "buono" da sempre collaboratore dell'FBI segnato da un lutto che l'ha portato ad isolarsi dal mondo intero e quello "cattivo", pronto a spingere il suo collega dall'altra parte al limite, ed oltre, è scorrevole e poco nociva, ben ritmata e, dopo una prima parte un pò troppo semplice - al limite del thriller da Italia Uno, come mi è capitato di sottolineare alla signora Ford - con la seconda finisce addirittura per avere un cambio di marcia convincente e stimolare perfino qualche riflessione non indifferente rispetto al ruolo dei cosiddetti "angeli della morte", serial killers che scelgono come bersagli malati terminali o persone ormai prossime all'ultimo saluto: la posizione di Ambrose, quella di chi vede come un atto di carità risparmiare sofferenza e patimenti a chi è destinato comunque a morire, e quella di Clancy, che stimolato da Merryweather crede nel tempo guadagnato, e non perduto, è tutt'altro che scontata, specie se legata ai trascorsi dello stesso Clancy ed al percorso compiuto da sua figlia.
Carne al fuoco dunque tutt'altro che stopposa o insipida per un film dalle pretese certo non alte, che porta sullo schermo il moribondo preferito dei fan di Grey's Anatomy Jeffrey Dean Morgan, un Anthony Hopkins che ormai marcia da una ventina d'anni sullo stesso registo, una Abbie Cornish meno convincente del solito ed un Colin Farrell dall'apparenza meno zozza del solito: una proposta buona, insomma, per una bella serata senza troppe pretese, consci del fatto che il risultato potrebbe finire per sorprendervi tanto in positivo quanto in negativo a seconda di quelle che saranno le vostre aspettative, che non aggiunge nulla al genere ma non rappresenta neppure una di quelle pellicole per le quali ci si ritrova a scagliare maledizioni sul tempo perduto a guardarle.
Il paragone, poi, tra la pietà per chi conosciamo ed amiamo e la tendenza a preservare e "salvare" dei perfetti sconosciuti è decisamente interessante, pronto a spostare il centro di gravità del lavoro di Poyart dal thrilling ed i serial killers al concetto di eutanasia - non per nulla Solace indica il sollievo, cosa che, forse, sarebbe stato carino spiegare ai responsabili degli adattamenti nostrani -, da sempre interessante sia a livello personale che sociale.
Un film scarsino, dunque, capace però di regalare perfino qualche sorpresa profonda.
Di questi tempi e con questo tipo di proposte, direi che non è poi così terribile.






MrFord






"I got a feelin' way down inside
I can't shake it, no matter how I try
you can't touch it, you just know
the earth is gonna shake and the wind is gonna blow
well that's all right
this premonition is killin' me
but that's all right
I must be crazy, I must be seein' things."
John Fogerty - "Premonition" -





giovedì 19 novembre 2015

Thursday's child

La trama (con parole mie): sarebbe bello se, con le ultime settimane in sala dell'anno, arrivassero titoli in grado di sconvolgere le già quasi ben delineate classifiche del meglio di questo duemilaquindici. Invece, se proprio andrà bene, saranno scosse quelle dedicate al peggio.
Sarebbe molto più bello, poi, se potessi condurre questa rubrica con Jennifer Lawrence, invece che con Cannibal Kid.
Purtroppo, la realtà è ben più amara di quanto ci si potrebbe aspettare.




"Questo Cannibal scrive proprio delle gran buffonate!"

Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte 2

"Forza, scappiamo: quegli stalker di Cannibal e Ford mi stanno alle costole!"

Cannibal dice: Arriva l'episodio finale della saga young adult più bella di tutti i tempi, per la gioia di Mr. Ford, che ora potrà tornare a pensare ai suoi amati vampirelli vegani di Twilight e ai maghetti secchioni di Harry Potter. Per quanto mi riguarda ci sarà un velo di tristezza nel salutare la mitica Katniss Kid interpretata dalla splendida Jennifer Lawrence, però dopo quattro episodi mi sembra arrivato il momento giusto, adesso che la serie non ha ancora stufato.
Riuscirà Katniss a portare a termine la rivoluzione e a sconfiggere il governo di Panem?
E riuscirò io finalmente a distruggere WhiteRussian una volta per tutte?
Ford dice: trovo che Hunger Games sia una delle saghe teen più inutili di tutti i tempi, nonostante la presenza di una delle poche donne che riescono a mettere d'accordo perfino me e Peppa Kid, Jennifer Lawrence.
Ammetto, comunque, che il valore degli episodi sia andato in crescendo dal pessimo inizio, e dunque qualche speranza che la chiusura possa essere quantomeno guardabile c'è.
Speriamo bene. E speriamo che non piaccia troppo al mio rivale. Quello non è mai un buon segno.



Mr. Holmes - Il mistero del caso irrisolto

Ford e Cannibal in consulto per la stesura della rubrica dedicata alle uscite in sala.

Cannibal dice: Nei confronti di quel Mr. So Tutto Io di Sherlock Holmes non ho mai provato una gran simpatia. Figuriamoci nei confronti di uno Sherlock in versione terza età...
Più che Mr. Holmes, questo qua mi sa che farebbe meglio a farsi chiamare Mr. Ford.
Ford dice: Sherlock Holmes, con i suoi numerosi lati oscuri celati da una poco sopportabile saccenza, mi ha sempre affascinato sin dai tempi di Piramide di paura, anche se, sinceramente, questa nuova incarnazione non mi ispira più di tanto.
Lo terrò buono per un eventuale recupero, e considerato il fatto che nelle ultime settimane le proposte interessanti paiono davvero pochine.

 


Miss Julie

"Katniss Kid, prima di mettere la parola fine alla tua saga, ti concederai finalmente a me?"

Cannibal dice: Credo di sentirmi male e, per una volta, Ford non c'entra niente. C'è un film con Jessica Chastain, e in più pure Colin Farrell, eppure non mi ispira per niente. Proprio zero.
Mi starà venendo la febbre, o è solo che io e i drammoni ottocenteschi siamo meno in sintonia di Pensieri Cannibali e WhiteRussian?
Ford dice: se, ai tempi dell'adolescenza, un dramma ottocentesco qualsiasi mi avrebbe attratto come un'ape sul miele, ora spesso e volentieri mi ritrovo a tergiversare, a fronte di un certo tipo di proposte. Vedrò di recuperare prima Via dalla pazza folla, e dunque deciderò se mi sento pronto anche per questo.



Dobbiamo parlare

"Pronto, Cannibal? Ford è qui che ti aspetta per un faccia a faccia pacifico!"

Cannibal dice: Dobbiamo parlare. C'è bisogno di parlare di bei film. Quindi mi sa che di questo non ce ne sarà alcun bisogno...
Io e Ford invece non dobbiamo parlare per niente. Altrimenti sono botte. E mi sa che a farsi più male sarò io, visto che lui è un guerriero wrestler addestrato guerrafondaio Chris Kyle psicopatico!
Ford dice: dobbiamo parlare del fatto che Cannibal Kid è uno psicopatico, ed io dovrei essere pagato per essermi sobbarcato l'onere di farlo sfogare grazie alle nostre schermaglie.



Loro chi?

Il remake italiano dedicato ai confronti tra Cannibal e Ford finalmente in sala.

Cannibal dice: Pellicola italiana con Edoardo Leo che potrebbe ricordare l'esaltante Smetto quando voglio e alla quale quasi quasi darei un'opportunità.
Quanto a Ford...
Ford chi???
Ford dice: in uno degli anni peggiori del Cinema italiano non me la sento proprio di sponsorizzare un film con Edoardo Leo, uno dei nuovi volti più sopravvalutati del Cinema italiano.
Quanto a Cannibal...
Cannibal chi???



In fondo al bosco

"Non voglio un caffè, te l'ho detto. Voglio un White Russian."

Cannibal dice: Noir nostrano che non sembra nemmeno troppo malvagio. Questa settimana però voglio già dare fiducia a Loro chi?, quindi promuovere 2 film italiani mi sembra troppo. Come fare un doppio complimento a Ford. Già a fatica ricordo di avergliene mai fatto uno.
Ford dice: il discorso sul Cinema italiano vale comunque, ma giusto per andare contro al mio rivale, dovessi fare una scelta nostrana, penso punterei su questo.
Anche se non vuole affatto dire che, alla fine, deciderò di vederlo.



Né Giulietta né Romeo

"Non avere paura, a scuola: quei due bulli, Cannibal e Ford, sono stati espulsi."

Cannibal dice: Veronica Pivetti esordisce alla regia. Era necessario?
No, così come non necessaria una rubrica cannibal-fordiana sui film in uscita nelle sale, ma certe cose ahivoi dovete sorbirvele comunque.
Ford dice: nè Giulietta, nè Romeo. Per voi, ormai, restano solo Cannibal e Ford. E non credo sia un bene.



Un momento di follia

"Katniss Kid, smettila di seguirmi: vuoi che faccia emettere un'ordinanza restrittiva!?"

Cannibal dice: In un momento di follia ho pensato di fare un complimento a Ford?
Meglio tornare subito al mio radical-chicchismo più sfrenato, e per farlo cosa c'è di meglio di un bel filmazzo francese con Vincent Cassel e François Cluzet?
Ford dice: per quanto possa suonare radical, questa proposta è firmata dal regista del doppio film - ottimo, tra l'altro - dedicato alla figura di Mesrine, mitico criminale francese interpretato da Vincent Cassel, che torna ad affiancare il regista.
Potrei perfino, e per questo motivo, recuperarlo.



A testa alta

"Cannibal Kid? Una pulce."
Cannibal dice: Oltre a Hunger Games, due film super radical-chic francesi?
Questa rischia di essere la settimana più cannibale dell'anno, persino più di quando era arrivato The Green Inferno di Eli Roth. Dai che 'sto weekend Ford ce lo sbraniamo!
Ford dice: secondo film francese apparentemente radical, e secondo film francese apparentemente radical che, al contrario, mi ispira non poco. Il mio rivale, probabilmente, sbrodolerà subito sul fatto che mi sto cannibalizzando, e invece non sa di essere lui, ad essere diventato fordiano.

 


Iqbal - Bambini senza paura

"Ti conviene accettare il passaggio, prima che ti carichi Ford."

Cannibal dice: Io non sono un bambino senza paura. E questa bambinata d'impegno sociale me ne fa parecchia. La lascio allora all'impavido Ford, che lui teme solo la saga di Hunger Games.
Ford dice: tematiche interessanti ma un sacco di dubbi, a proposito di questa proposta d'animazione italo/francese. Non posso neppure sperare la veda Peppa, dunque, in caso, mi toccherà rischiare in prima persona.



Fantasticherie di un passeggiatore solitario

"Ammazza quanto sono brutti e spaventosi, questi due bloggers!"

Cannibal dice: Seconda pellicola d'animazione della settimana. Non sembra troppo una bambinata, ma comunque non mi ispira per niente. Decisamente meglio dedicarsi a J. Law!
Ford dice: questa, al contrario, mi pare una bambinata finto dark che lascio volentieri alla visione dell'intrepida Katniss Kid, giunta ormai al canto del cigno - o della fenice - della sua saga.



Storie di cavalli e di uomini

"Pensavo fosse una leggenda, che Ford si spostava ancora a cavallo, e invece è tutto vero!"

Cannibal dice: E con questo pornazzo consigliato ai Ford in ascolto, per questa settimana è tutto.
Ford dice: e con questo titolo inquietante chiudiamo la settimana del sesso interspecie. E se volete saperne di più sull'argomento, suggerisco ancora una volta il fantastico Clerks 2.


martedì 18 agosto 2015

True Detective - Stagione 2

Produzione: HBO
Origine: USA
Anno: 2015
Episodi: 8





La trama (con parole mie): nell'immaginaria contea californiana sorta attorno alla città di Vinci, l'omicidio di un politico locale sconvolge le vite di tre funzionari di polizia già per conto loro profondamente segnati e tendenti al "lato oscuro". Ani Bezzerides, dura e tagliente, dal complesso rapporto con padre e sorella ed un trauma mai dimenticato sepolto nel passato, Paul Woodrugh, agente della stradale, reduce di guerra che tenta con l'aura da maledetto tutto d'un pezzo di nascondere la sua omosessualità, e Ray Velcoro, padre e marito fallito che ha tentato per tutta la vita di mettere insieme i cocci ed inevitabilmente è finito per sprofondare sempre più, legato a doppio filo al criminale con velleità di pensionamento dell'attività Frank Semyon, che con la compagna Jordan sta cercando di uscire dal giro nel modo più pulito e sicuro possibile.
La catena di eventi innescata da quella singola morte condurrà i protagonisti su una strada senza ritorno, fatta di oscurità, sangue, sogni infranti e, chissà, forse anche una speranza.








Tenere fede alla fama è dura, sempre e comunque.
Quando si è numeri dieci, per sfruttare una metafora calcistica, pubblico, addetti ai lavori, allenatori e compagni si aspetteranno sempre e comunque se non la prestazione, quantomeno il numero che giustifichi la maglia che si indossa, quasi fosse d'obbligo per i suddetti dieci garantire qualcosa di unico, magico, indimenticabile: e da un certo punto di vista è anche vero, perchè, per citare Will Hunting, ognuno ha il suo ruolo, e così come il gregario garantisce la presenza e la copertura, il protagonista finisce per avere, volente o nolente, il dovere di portare il testimone, fare quel passo oltre che nessun altro farebbe al suo posto.
Per il Cinema e le serie televisive si potrebbe azzardare un paragone simile: dunque True detective, celebratissima lo scorso anno grazie ad una resa di livello altissimo sia in termini tecnici che di sceneggiatura, di atmosfere ed attoriali, con questo duemilaquindici si trovava a dover fare i conti con un'eredità pesante alla quale Nic Pizzolatto, creatore della serie, era chiamato a rendere onore.
Il risultato, secondo me piuttosto prevenuto e tipico del popolo dei rosiconi, è stato una sorta di caccia al paragone ed al difetto avvenuto fin dal primo episodio di questa seconda stagione, che ha portato ad una relativa bocciatura della stessa o, quantomeno, ad un impietoso paragone con la precedente.
Certo, il ritmo degli otto episodi trasmessi in questi ultimi due mesi è stato decisamente meno serrato - almeno all'apparenza, considerata la tensione quasi insostenibile del season finale, del numero due e della sparatoria avvenuta più o meno a metà della programmazione -, il livello medio del cast si è abbassato - sarebbe stato difficile reggere il confronto con la coppia devastante McConaughey/Harrelson, soprattutto con un troppo ingessato Vaughn, una spenta Kelly  Reilly, un bello senz'anima come Kitsch ed un Colin Farrell non troppo convincente, finendo per fare affidamento all'unica, strepitosa McAdams, che grazie ad un personaggio indimenticabile finisce per apparire affascinante come mai mi è capitato di vederla sullo schermo -, il colpo di scena che ha chiuso il già citato secondo episodio è stato vigliaccamente ritrattato, e l'epilogo, seppur interessante, ha finito per regalare fin troppa speranza poco prima dei titoli di coda, considerato come erano andate le cose fino a quel momento, che lasciavano presagire una vera e propria oscurità senza ritorno e senza ritegno per la chiusura dell'annata.
Eppure, questo True detective 2 è un prodotto potente, cattivo, nerissimo, decisamente più realistico ed umano delle vicende di Rust Cohle e soci: forse proprio per questo, per l'essere così "normale", ha finito per calamitare le antipatie di chi, anche quando sono mascherate da thriller agghiaccianti come la scorsa stagione del prodotto di Pizzolatto, vorrebbe sempre e comunque considerare fiction quello che guarda, qualcosa che, anche nei momenti peggiori, resta comunque al di fuori della realtà.
Le vicende di Woodrugh, Bezzerides e Velcoro, invece, appaiono tremendamente reali, prive del romanticismo e dell'epica delle epopee di finzione, e più che di esplosioni o bassezze sono costellate da toni foschi che paiono ricordare a tutti gli spettatori che non c'è niente di piacevole, di bello o di regalato, e anche quando qualcosa arriva, ci sarà sempre qualcuno pronto a strappartelo, non fosse altro che per soddisfare i suoi istinti predatori: tutto questo senza contare la perizia legata alla messa in scena e alla rappresentazione, degna delle migliori pagine firmate al Cinema da Michael Mann, dalla già citata sparatoria finita in un bagno di sangue nella raffineria di droga e per le strade di Vinci alla lotta nelle catacombe di Woodrugh con gli emissari del misterioso burattinaio dei fatti che mettono in gioco i tre disequilibrati detectives, senza contare il recupero di Bezzerides dalla villa in pieno stile Eyes wide shut alla strepitosa escalation dell'ultimo episodio, tra i più intensi e tesi che ricordi rispetto al piccolo schermo.
Tutto questo senza contare drammi intimi come quelli dei Semyon rispetto alla ricerca di un figlio ed il rapporto tra Velcoro ed il suo erede, tra i più complessi e di pancia tra padre e figlio degli ultimi mesi.
Se, dunque, il prezzo da pagare per questa intensità è una trama che si articola in modo nebuloso e dall'incedere che alterna momenti di calma piatta a vere e proprie rasoiate, ben venga.
La qualità non deve essere giudicata solo per l'apparenza, ma anche e sopratuttto per l'efficacia del risultato.
Altrimenti finiremmo per tramutarci tutti in rosiconi schiavi delle mode e del pettegolezzo, e prima o poi non basterà neppure più essere Rust Cohle che torna a riveder le stelle, per risparmiarsi una pugnalata alle spalle.



MrFord




"The war was lost
the treaty signed
I was not caught
I crossed the line
I was not caught
though many tried
I live among you
well disguised."
Leonard Cohen - "Nevermind" - 





domenica 28 giugno 2015

Miami Vice

Regia: Michael Mann
Origine: USA
Anno: 2006
Durata: 131'




La trama (con parole mie): Sonny Crockett e Ricardo Tubbs sono due detectives della polizia di Miami legati a doppio filo alle operazioni sotto copertura volte a portare allo scoperto traffici illeciti, dalle armi alla droga. Quando un loro agente viene compromesso a causa dell'intrusione dell'FBI i due vengono reclutati dall'agenzia affinchè si infiltrino spacciandosi per corrieri in un'organizzazione che fa capo ad un colombiano di nome Yero, che pare sia uno dei pesci più grossi del continente.
Una volta entrati nel giro, però, Crockett e Tubbs vengono a conoscenza di un livello ancora superiore a quello portato appena sotto la superficie dallo stesso Yero, ed entrati in contatto con Isabella e Montoya, vertici dell'organizzazione, tenteranno di smantellare la stessa dall'interno: il legame sempre più stretto tra Sonny e Isabella e l'odio di Yero per l'infiltrato, però, finiranno per complicare le cose.








Se dovessi pensare ad un'ipotetica classifica dei miei registi americani - viventi, sia chiaro - favoriti, Michael Mann si giocherebbe senza dubbio le prime posizioni con Maestri del calibro di Eastwood, Scorsese e Cimino: eppure, riflettendo proprio in merito ai nomi che abiterebbero i piani alti dell'ipotetica lista, forse il suo è quello che finirebbe per doversi sudare più degli altri non tanto il fatto di essere dove si trova, quando di essere amato in termini cinefili.
Ho impiegato anni - e visioni -, infatti, per riuscire a comprendere appieno la grandezza di Mann e del suo Cinema: ricordo quanta fatica feci la prima volta che affrontai Heat - La sfida, o con quanta diffidenza approcciai più di recente Collateral e questo stesso Miami Vice, salvo poi ricredermi ed aumentare non solo la percezione delle pellicole stesse, ma il loro valore passaggio dopo passaggio su questi schermi.
Proprio Miami Vice, nato dall'idea che fu alla base della nota serie tv - firmata dallo stesso Mann nei primi anni della sua carriera ed ormai cult imprescindibile legato agli anni ottanta -, mi lasciò abbastanza freddo ai tempi della prima visione in sala, quasi come fosse una sorta di fratello minore del già citato Collateral, tutto fotografia, riprese pazzesche e colonna sonora perfetta: valutazione clamorosamente sbagliata.
Perchè Miami Vice è un trionfo non solo di tecnica e stile, ma un omaggio strepitoso ad un genere purtroppo ormai relegato a tentativi isolati, un hard boiled d'altri tempi in grado di regalare passaggi action mozzafiato, caratterizzazioni immediate - come già avvenne per Heat - ed atmosfere uniche: in questo senso, da Miami alle cascate di Iguazu, passando per il bacino centro americano, questa pellicola è assolutamente perfetta sotto ogni punto di vista.
Se, poi, alla cornice vengono associati scambi come quello tra il Sonny di Colin Farrell e la Isabella di Gong Li prima del viaggio in motoscafo verso L'Havana pare quasi di deporre le armi senza neppure lottare rispetto alla potenza di un prodotto che racconta la durezza della strada e del confronto tra poliziotti e criminali - da entrambe le parti dipinti come uomini, con i loro difetti ed i talenti a fare da contrappeso - sfruttando una partenza a razzo ed una chiusura assolutamente perfetta nel suo essere aperta, quasi incompiuta, nella scelta di Crockett di rimanere accanto a quella che è la sua famiglia a scapito di quello che potrebbe essere l'amore.
Da questo punto di vista, Miami Vice - come il recente Blackhat - ricorda da vicino il melò dell'action di Hong Kong e dei grandi registi orientali, che ai proiettili non dimentica mai di associare struggenti legami dal sapore di Classico e sesso così vero da farlo sentire sulla pelle - Tubbs e la compagna sotto la doccia e a letto, Crockett e Isabella all'interno della macchina -, un marchio di fabbrica da passato remoto portato sullo schermo sfruttando mezzi e tecniche assolutamente all'avanguardia.
Senza dubbio a Mann non interessa piacere, così come ai suoi protagonisti: eppure Miami Vice entra sottopelle, da qualsiasi angolazione lo si guardi o lo si viva, che ci si senta più vicini alla razionale struttura di Tubbs o all'improvvisato charme di Sonny, che si preferiscano i proiettili e la mano pesante dei neonazisti o gli intrighi quasi politici dei grandi trafficanti internazionali.
E' prendersi il tempo di un mojito alla Bodeguita prima di buttarsi in un conflitto a fuoco che potrebbe significare morte certa.
E' il ruggito di un fucile d'assalto, o quello di cascate che mostrano la potenza di chi vive al di sopra di tutto. Ordine o Caos che siano.
E Michael Mann è così.
Ordine e Caos.
Tecnica e istinto.
Fortunatamente, il risultato è lo stesso: grande Cinema.



MrFord



"So come pull the sheet over my eyes
so I can sleep tonight
despite what I've seen today.
I found you guilty of a crime, of sleeping at a time
when you should have been wide awake."

Audioslave - "Wide awake" - 





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