Visualizzazione post con etichetta Michael Mann. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Michael Mann. Mostra tutti i post

venerdì 20 maggio 2016

Film rivalutati

La trama (con parole mie): complice un'idea davvero interessante del buon Jean Jacques promossa come Day per bloggers in modo da togliere la ruggine che da mesi pare essersi depositata sulle iniziative di gruppo, si dedica la giornata di oggi ad una carrellata di pellicole negli anni rivalutate, dal sottoscritto, in positivo o in negativo, complici reiterate visioni, il Tempo e l'età, che spesso e volentieri ci fornisce punti di vista differenti rispetto a titoli apparsi la prima volta come delusioni o must assoluti.




AMORES PERROS di Alejandro Gonzales Inarritu


All'epoca dell'uscita - lo vidi in una sala semideserta in solitaria - rimasi stregato dal Pulp fiction messicano che lanciò nell'orbita che conta il doppio premio Oscar Inarritu, che per un breve periodo divenne il mio idolo incontrastato: alla lunga, per quanto ancora ami questo film, ho di molto rivalutato la valutazione complessiva, che deve tantissimo a Tarantino, per l'appunto, e a parte una tecnica pazzesca mostra tanta pancia ma poco controllo.


ROMEO+GIULIETTA di Baz Luhrmann


Ricordo che fui trascinato al Cinema dalla mia fidanzata - se si può definire così una storia di poche settimane a diciassette anni - insieme ad un altra coppia di amici a causa di Di Caprio e passai il secondo tempo a limonare duro e a mettere le mani sotto la maglietta della suddetta sbattendomene di Luhrmann e soci.
Con il tempo, ho rivalutato tantissimo - ed in positivo - lo straordinario lavoro di adattamento alla modernità operato da Luhrmann su uno dei drammi più noti del Bardo.


HEAT - LA SFIDA di Michael Mann


Se torno con la memoria alla prima visione di Heat - La sfida, quasi non ci credo io stesso.
Mi parve verboso, lungo, inconcludente, in completo contrasto con la fama che lo precedeva e le descrizioni di mio fratello: già alla seconda visione, cambiai completamente punto di vista.
Insieme a Vivere e morire a Los Angeles e Point break, infatti, può essere considerato l'action d'autore definitivo made in USA.


ARANCIA MECCANICA di Stanley Kubrick



Altra storia curiosa: vidi per la prima volta Arancia meccanica in sala con mia madre, nel duemilauno, quando fu presentato nella versione rimasterizzata per i trent'anni dall'uscita: ricordo che, per quanto strabiliato, trovai il tutto dannatamente datato, e pensai che, forse, almeno in parte la sua fama poteva essere considerata eccessiva.
Non molto tempo dopo, rivedendolo in VHS, rimasi a bocca aperta di fronte ad una scena in particolare che mi aprì gli occhi non solo a proposito di questo Capolavoro, ma anche dell'opera tutta del genio assoluto Kubrick.


FERRO 3 di Kim Ki-Duk



Nuovo titolo, nuova fidanzata - questa volta una storia davvero seria -, qualche anno dopo Luhrmann: stavo ancora scoprendo Kim Ki-Duk, ed ero abituato alla ruvida, violenta bellezza dei suoi primi lavori, e finii per essere spiazzato dall'eterea spiritualità di Ferro 3.
Ci vollero almeno un altro paio di visioni prima di apprezzare completamente quello che, forse, è uno dei titoli più significativi della carriera del cineasta coreano.


CRANK di Neveldine e Taylor


Nel mio periodo di allontanamento dall'action e dalle tamarrate, preso completamente dal solo Cinema d'autore, Crank mi parve una vera schifezza, un insulto alla settima arte tutta.
Fortunatamente, quel periodo è finito ed il sottoscritto è arrivato al disintossicarsi dalle stronzate da radical finendo per godersi al meglio chicche come questa, e come il suo seguito.
Il discorso varrebbe anche per i miei titoli favoriti del genere action, e perfino per la saga di Rocky, ma ho pensato di sfruttare uno dei film che di norma meno cito e che, ad oggi, mi esalta davvero alla grande.


DISTRICT 9 di Neil Blomkamp



Quando approcciai per la prima volta il lavoro dell'enfant prodige ormai imploso Neil Blomkamp, avevo in testa ancora le parole entusiastiche di mio fratello, ma a parte lo schierarmi con i Gamberoni, non trassi troppo godimento dalla visione: occorsero un paio di altri passaggi per seguire le orme del percorso già fatto anni prima con il succitato Heat - La sfida, e finire per considerare District 9 uno dei grandi classici di fantascienza contemporanei.
Peccato davvero che, con i film successivi, il buon Neil non sia più stato in grado di raggiungere gli stessi livelli.


THE DEPARTED di Martin Scorsese


Scorsese è un Maestro, e su questo non ci sono dubbi. Complici il cast all star ed una storia tra il noir ed il poliziesco che avevo già apprezzato nella sua versione made in Hong Kong, uscii dalla sala soddisfatto e pronto ad applaudire alla grandiosa messa in scena orchestrata dal vecchio Marty: ad oggi trovo The Departed una delle pellicole più convenzionali di Scorsese, paradossalmente quella che è riuscita a regalare allo stesso il tanto agognato Oscar - un pò com'è accaduto quest'anno per Di Caprio con The Revenant -.
Niente di davvero grave, ma si sa che da un grande ci si aspettano sempre cose grandi.

KUNG FU PANDA di John Stevenson e Mark Osborne


La prima volta che il mio cammino incrociò quello di Po fu con Julez, nei primi mesi della nostra convivenza, quando non avevamo orari, vivevamo in centro a Milano ed avevamo un Cinema praticamente sotto casa.
Tanto mi divertì il film, quanto detestai il finale, in contrasto con la filosofia di accettazione del diverso e di tolleranza espressa fino a dieci minuti dall'epilogo.
La passione del Fordino per il personaggio del paffuto panda passato dall'essere un fan nerd dei Cinque Cicloni a Guerriero dragone esperto di kung fu e le decine di visioni dello stesso hanno finito per smussare gli angoli e trasformare questo film in un vero e proprio cult del Saloon.

SALVATE IL SOLDATO RYAN di Steven Spielberg



Questo film ha una storia curiosa, rispetto al sottoscritto: lo vidi in videocassetta pirata ai tempi dell'uscita in sala, e rimasi emozionato oltre misura dalle storie dei singoli soldati raccontati da Spielberg, in un periodo - quello dell'adolescenza - in cui l'ideale romantico della tragica morte eroica da giovane mi rapiva, e non poco.
Lo rividi nel pieno del mio periodo da radical appassionato di proposte d'autore e, a parte la tecnica indubbia mostrata nella sequenza dello sbarco, trovai il tutto infarcito di una retorica a stelle e strisce eccessiva.
Quando, recuperato in bluray, affrontai una nuova visione per raccontarlo anche qui al Saloon, riscoprii una sorta di via di mezzo tra le due posizioni: epoche diverse per vite che sembrano diverse.




MrFord




Partecipano all'iniziativa con coraggio anche:

http://nonceparagonecinema.blogspot.com/2016/05/film-che-ho-rivalutato-donnie-darko.html
http://directorcult.blogspot.com/2016/05/i-film-che-ho-rivalutato.html

giovedì 31 dicembre 2015

Ford Awards 2015: i film (N°10-1)

La trama (con parole mie): ed eccoci, dunque, alla fine del viaggio. I dieci migliori film di questo pronto a salutare tutti noi duemilaquindici pronti a darsi battaglia per guadagnare il gradino più alto del podio fordiano. Ritorni, conferme, magie ed emozioni che hanno conquistato il cuore del sottoscritto a pieni voti o quasi e che, senza dubbio, saranno ricordati anche negli anni a venire, se non altro qui al Saloon.
Ancora una volta, la varietà farà da padrona, con proposte molto diverse l'una dall'altra, che ognuna a suo modo sono riuscite a trovare la via migliore per rimanere impresse nella memoria.
Chi raccoglierà, alla fine, il testimone di The Wolf of Wall Street?


N°10: VIZIO DI FORMA di PAUL THOMAS ANDERSON



Paul Thomas Anderson è senza dubbio una delle realtà "giovani" più interessanti del panorama statunitense, e fin dai tempi di Boogie Nights è uno dei protetti assoluti del Saloon.
Vizio di forma, tratto da un romanzo cult che ho adorato, è un viaggione allucinato, allucinante, grottesco e divertente che richiama Il grande Lebowski e i noir vecchia scuola, pronto a lasciarvi a bocca aperta per lo stupore o il livello di alcool e droghe. 

N°9: YOUTH di PAOLO SORRENTINO



Paolo Sorrentino è forse il regista italiano attuale che preferisco.
Da Il divo a L'uomo in più, passando per La grande bellezza, il cineasta partenopeo non sbaglia un colpo - o quasi -, e di norma il suo nome finisce sempre nella top ten fordiana dell'anno.
Questo Youth, riflessione magica sul Tempo e sulla vecchiaia, nonostante un paio di passaggi un pò troppo radical, colpisce, e a fondo.
Soprattutto un "vecchio" come me.

N°8: FOXCATCHER - UNA STORIA AMERICANA di BENNETT MILLER



Bennett Miller, che qualche anno giunse ad un passo dalla vetta della classifica con l'ottimo Moneyball, torna a fare capolino tra i migliori grazie ad un racconto dolente e solo apparentemente glaciale - in realtà, di grande, grande pancia - ispirato ad una drammatica storia vera.
Il confronto con se stessi ed il Potere, la solitudine, la ricchezza che non può comprare l'amore: tutto in una pellicola "sportiva" che si rivela ad altissima tensione emotiva.

N°7: AMERICAN SNIPER di CLINT EASTWOOD



Clint Eastwood è sempre Clint Eastwood.
Ispirandosi all'autobiografia ed alla vita di Chris Kyle, il cecchino più letale della Storia dell'Esercito americano, il mio nonno cinematografico sforna un film di rara potenza, tecnicamente perfetto ed emotivamente come una bomba pronta ad esplodere.
Ricordo l'ingresso in sala con molti esaltati da Paintball pronti ad inneggiare alla guerra e l'uscita, con la gente tutta in silenzio.
Una delle riflessioni più acute del passato recente sulla grande piaga della Guerra.




La sorpresa più gradita dell'anno, ed il regalo di Natale definitivo gentilmente offerto da J.J. Abrams.
Dopo aver rivitalizzato Star Trek, il creatore di Lost spolvera spirito e personaggi della prima, indimenticabile trilogia di Star Wars consegnando alle nuove generazioni non solo il film che ne è l'erede legittimo, ma anche, forse, il migliore dai tempi de L'impero colpisce ancora.
Visivamente sontuoso, personaggi azzeccati, ritmo indiavolato, divertimento e grande epica.
Imperdibile.

N°5: KREUZWEG - LE STAZIONI DELLA FEDE di DIETRICH BRUGGERMANN



Da ateo miscredente quale sono, i film legati al concetto di Fede finiscono sempre per stimolarmi, e non poco. Kreuzweg, costruito sull'idea della Via Crucis e figlio di lunghi piani sequenza ed inquadrature fisse, è una delle riflessioni più drammatiche, profonde ad importanti - ma anche attuali - che il Cinema potesse regalare al suo pubblico.
Un crescendo pazzesco che segna uno standard che non sarà facile superare. 

N°4: MAD MAX - FURY ROAD di GEORGE MILLER



Il ritorno sul grande schermo di Mad Max rappresentava senza dubbio un evento, ma anche una grande incognita.
George Miller, già regista dei precedenti capitoli delle avventure dell'ex poliziotto perso nel mondo post-apocalittico del deserto australiano, fuga qualsiasi dubbio confezionando una vera e propria corsa all'ultimo fotogramma tra le più serrate che ricordi, una sorta di concentrato di Red Bull in forma di settima arte, tratteggiando per l'occasione anche uno dei charachters più importanti dell'anno, Furiosa.

N°3: BLACKHAT di MICHAEL MANN



Michael Mann è da sempre uno dei registi di riferimento del sottoscritto, in grado di mescolare il Cinema di Hong Kong, con i suoi lampi di crudeltà circondati da una calma apparente, e lo spettacolo pirotecnico delle stelle e strisce.
Blackhat, come sempre per i nuovi lavori del Maestro accolto tiepidamente, è l'ennesima conferma del talento straordinario di uno dei tecnici più specializzati del Cinema, che come i buoni alcolici sedimenta e si lascia scoprire un passo alla volta, senza fretta.
E poi, di colpo, in un fotogramma si scova tutta la sua grandezza.

N°2: SICARIO di DENIS VILLENEUVE



Denis Villeneuve spacca, e su questo non ho mai avuto dubbi.
Certo, con Enemy un brivido di terrore aveva percorso la mia schiena, ma il regista canadese ha tenuto subito a precisare di che pasta sia fatto.
E ha scelto di farlo con Sicario, pellicola enorme per potenza e realizzazione che pare Zero Dark Thirty mescolato a Il potere del cane.
Mica roba da poco.

N°1: INSIDE OUT di PETE DOCTER e RONALDO DEL CARMEN



Ed eccolo, il film dell'anno per White Russian.
Se non ricordo male, è la prima volta dalla creazione del Saloon che a trionfare ai Ford Awards è una pellicola d'animazione: qualche anno fa l'impresa era quasi riuscita ad Up!, giunto alle spalle di Gran Torino, e mi pare quasi la chiusura di un cerchio vedere lo stesso regista occupare il gradino più alto del podio a questo giro di giostra.
Inside out è magia, poesia, innocenza e divertimento, una gioia per gli occhi e per il cuore.
E' puro Cinema. E da queste parti, di fronte al puro Cinema, ci si leva il cappello.

I PREMI

Miglior regia: Michael Mann per Blackhat

Miglior attore: Jake Gyllenhaal per Southpaw e Vincent Lindon per La legge del mercato
Miglior attrice: Lea Van Hacken, Kreuzweg
Scena cult: l'addio di Bing Bong, Inside Out
Miglior colonna sonora: Vizio di forma

Premio "leggenda fordiana": Furiosa, Mad Max - Fury Road
Oggetto di culto: la spada laser con l'elsa, Star Wars Episodio VII - Il risveglio della Forza
Premio metamorfosi: Jake Gyllenhaal per Southpaw
Premio "start the party": il primo sangue di Chris Kyle, American Sniper
Premio "be there": la Frontiera USA/Messico, Sicario


MrFord

domenica 28 giugno 2015

Miami Vice

Regia: Michael Mann
Origine: USA
Anno: 2006
Durata: 131'




La trama (con parole mie): Sonny Crockett e Ricardo Tubbs sono due detectives della polizia di Miami legati a doppio filo alle operazioni sotto copertura volte a portare allo scoperto traffici illeciti, dalle armi alla droga. Quando un loro agente viene compromesso a causa dell'intrusione dell'FBI i due vengono reclutati dall'agenzia affinchè si infiltrino spacciandosi per corrieri in un'organizzazione che fa capo ad un colombiano di nome Yero, che pare sia uno dei pesci più grossi del continente.
Una volta entrati nel giro, però, Crockett e Tubbs vengono a conoscenza di un livello ancora superiore a quello portato appena sotto la superficie dallo stesso Yero, ed entrati in contatto con Isabella e Montoya, vertici dell'organizzazione, tenteranno di smantellare la stessa dall'interno: il legame sempre più stretto tra Sonny e Isabella e l'odio di Yero per l'infiltrato, però, finiranno per complicare le cose.








Se dovessi pensare ad un'ipotetica classifica dei miei registi americani - viventi, sia chiaro - favoriti, Michael Mann si giocherebbe senza dubbio le prime posizioni con Maestri del calibro di Eastwood, Scorsese e Cimino: eppure, riflettendo proprio in merito ai nomi che abiterebbero i piani alti dell'ipotetica lista, forse il suo è quello che finirebbe per doversi sudare più degli altri non tanto il fatto di essere dove si trova, quando di essere amato in termini cinefili.
Ho impiegato anni - e visioni -, infatti, per riuscire a comprendere appieno la grandezza di Mann e del suo Cinema: ricordo quanta fatica feci la prima volta che affrontai Heat - La sfida, o con quanta diffidenza approcciai più di recente Collateral e questo stesso Miami Vice, salvo poi ricredermi ed aumentare non solo la percezione delle pellicole stesse, ma il loro valore passaggio dopo passaggio su questi schermi.
Proprio Miami Vice, nato dall'idea che fu alla base della nota serie tv - firmata dallo stesso Mann nei primi anni della sua carriera ed ormai cult imprescindibile legato agli anni ottanta -, mi lasciò abbastanza freddo ai tempi della prima visione in sala, quasi come fosse una sorta di fratello minore del già citato Collateral, tutto fotografia, riprese pazzesche e colonna sonora perfetta: valutazione clamorosamente sbagliata.
Perchè Miami Vice è un trionfo non solo di tecnica e stile, ma un omaggio strepitoso ad un genere purtroppo ormai relegato a tentativi isolati, un hard boiled d'altri tempi in grado di regalare passaggi action mozzafiato, caratterizzazioni immediate - come già avvenne per Heat - ed atmosfere uniche: in questo senso, da Miami alle cascate di Iguazu, passando per il bacino centro americano, questa pellicola è assolutamente perfetta sotto ogni punto di vista.
Se, poi, alla cornice vengono associati scambi come quello tra il Sonny di Colin Farrell e la Isabella di Gong Li prima del viaggio in motoscafo verso L'Havana pare quasi di deporre le armi senza neppure lottare rispetto alla potenza di un prodotto che racconta la durezza della strada e del confronto tra poliziotti e criminali - da entrambe le parti dipinti come uomini, con i loro difetti ed i talenti a fare da contrappeso - sfruttando una partenza a razzo ed una chiusura assolutamente perfetta nel suo essere aperta, quasi incompiuta, nella scelta di Crockett di rimanere accanto a quella che è la sua famiglia a scapito di quello che potrebbe essere l'amore.
Da questo punto di vista, Miami Vice - come il recente Blackhat - ricorda da vicino il melò dell'action di Hong Kong e dei grandi registi orientali, che ai proiettili non dimentica mai di associare struggenti legami dal sapore di Classico e sesso così vero da farlo sentire sulla pelle - Tubbs e la compagna sotto la doccia e a letto, Crockett e Isabella all'interno della macchina -, un marchio di fabbrica da passato remoto portato sullo schermo sfruttando mezzi e tecniche assolutamente all'avanguardia.
Senza dubbio a Mann non interessa piacere, così come ai suoi protagonisti: eppure Miami Vice entra sottopelle, da qualsiasi angolazione lo si guardi o lo si viva, che ci si senta più vicini alla razionale struttura di Tubbs o all'improvvisato charme di Sonny, che si preferiscano i proiettili e la mano pesante dei neonazisti o gli intrighi quasi politici dei grandi trafficanti internazionali.
E' prendersi il tempo di un mojito alla Bodeguita prima di buttarsi in un conflitto a fuoco che potrebbe significare morte certa.
E' il ruggito di un fucile d'assalto, o quello di cascate che mostrano la potenza di chi vive al di sopra di tutto. Ordine o Caos che siano.
E Michael Mann è così.
Ordine e Caos.
Tecnica e istinto.
Fortunatamente, il risultato è lo stesso: grande Cinema.



MrFord



"So come pull the sheet over my eyes
so I can sleep tonight
despite what I've seen today.
I found you guilty of a crime, of sleeping at a time
when you should have been wide awake."

Audioslave - "Wide awake" - 





mercoledì 8 aprile 2015

Blackhat

Regia: Michael Mann
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 133'




La trama (con parole mie): quando un impianto nucleare nel cuore della Cina subisce un attacco terroristico giunto dalla rete, le autorità militari di Pechino seguono tracce che portano il loro uomo di punta Chen Dawai a collaborare con l'FBI in modo da permettere la scarcerazione anticipata di Nick Hathaway, hacker condannato a quindici anni di reclusione ed unico che Dawai ritiene in grado di seguire la traccia lasciata dall'attentatore, legata a doppio filo ad una creazione informatica che lo stesso Dawai e Hathaway avevano elaborato ai tempi del college.
Inizia dunque un'indagine che porta i due vecchi amici, la sorella di Dawai e l'agente Barrett a fare tappa nelle principali capitali del Sud Est asiatico così da raccogliere le informazioni che potrebbero condurli alla risoluzione del caso: ma l'operazione si rivelerà più complicata e rischiosa del previsto, e ben presto, più che una questione legale, diverrà una battaglia che mescola vendetta e volontà di sopravvivere.






Esistono alcuni film, o registi, ai quali basta un momento per definire il concetto di assoluta potenza.
Michael Mann è uno di questi, e dovevo aspettarmi, nonostante l'accoglienza fin troppo tiepida - per usare un eufemismo - ricevuta da Blackhat oltreoceano, che non sarebbe stato diverso, questa volta.
L'escalation della cattura di Dente di fata in Manhunter, De Niro che abbandona la sua donna in Heat, i due coyotes in Collateral: esempi di una strabordante carica registica quasi senza pari negli States attuali, e non solo.
Avvisaglie di quello che sarebbe accaduto anche affrontando il suo nuovo lavoro.
Per essere onesti e procedere con lo stesso piglio, però, occorre mettere subito le carte in tavola: Blackhat non fa della storia il suo punto di forza.
Certo, si tratta di un solido thriller d'azione di quelli che furoreggiavano negli anni ottanta filtrato attraverso le nuove guerre degli anni zero, ma lo script non regala davvero nulla di innovativo allo spettatore, dalla preparazione dei pezzi sulla scacchiera, all'esplosione - in tutti i sensi - dell'azione vera e propria all'epilogo: eppure si resta come ipnotizzati, quasi atterriti.
Blackhat è come un ottovolante dalla fotografia perfetta - sfido chiunque a non immaginare di trovarsi per le strade di una di quelle metropoli brulicanti di vite e traffici avvolti da colori quasi magici -, una lezione di Cinema che gli aspiranti registi dovrebbero continuare a studiare e ristudiare negli anni a venire, un notturno omaggio alla settima arte figlia di quegli stessi luoghi - ho avuto l'impressione in più di un momento di essere nel pieno di un lavoro di Johnnie To -, una sorta di urbana poesia, un cocktail così forte da risultare indigesto per chi è abituato a considerare Cinema roba infinitamente meno travolgente di questa.
Ma soprattutto, è quella sequenza: ce ne sarebbero altre, dagli inseguimenti tra i containers alle strade di Hong Kong, ma quel passaggio in particolare è uno dei miracoli che mi fa ringraziare esistano uno schermo e storie raccontate attraverso immagini: in quella macchina che esplode, in ogni pallottola di quel turbinio di raffiche e colpi esplosi nel buio della notte, eppure nel pieno dell'abbraccio della luce artificiale, c'è tutta la maestosità della settima arte, dai duelli del Western alla malinconia di chi ha visto cose che noi umani possiamo solo immaginare.
Basterebbero quei cinque minuti, per considerare Blackhat, alla faccia della critica a stelle e strisce, uno dei film più belli visti finora nel duemilaquindici, ma Michael Mann è uno che non scherza.
E dunque rincara la dose sfoderando lo stile di Miami Vice mettendolo al servizio di una vicenda che pare non risparmiare nulla a nessuno, e che nonostante la risoluzione conclusiva - che mi ha ricordato, una volta ancora, Collateral - lascia lo spettatore con l'impressione che non ci sia stato davvero un vincitore, neppure i pochi destinati a sopravvivere.
Michael Mann e questo Blackhat sono stati, per intensità, come una dimostrazione di forza della Natura: Hemsworth e la sua compagna nel mezzo del nulla delle miniere avvolte dalla nebbia, o le riprese dall'alto della baia di Hong Kong, senza contare ogni singolo colpo sparato da una parte all'altra dello schermo appaiono come un'onda anomala che si osserva con gli occhi sgranati prima di essere travolti, uno tsunami di tecnica che non trova definizione migliore se non Cinema allo stato puro.
Questo è Blackhat.
Questo è Michael Mann.




MrFord




"Neon heart, day-glow eyes
the city lit by fireflies
they're advertising in the skies
and people like us."

U2 - "City of blinding lights" -





giovedì 12 marzo 2015

Thursday's child

La trama (con parole mie): archiviata una settimana decisamente moscia rispetto alle uscite in sala, torniamo ad agitare le acque con un weekend che, al contrario, si prospetta decisamente interessante, non fosse altro che per far litigare una volta ancora il sottoscritto e quel pusillanime del co-conduttore di questa rubrica, Cannibal Kid.
E se Michael Mann può quantomeno regalare la speranza ai lettori di un qualche conflitto tra i due bloggers cinefili più nemici per antonomasia che si possano immaginare, Bennett Miller costituirà praticamente una certezza.
Preparatevi, dunque, ad una nuova settimana ricca di botta e risposta, tradotti come botte in testa al Cucciolo Eroico a seguito delle inconsulte sue risposte al Cinema stesso.

"Vai tranquillo: con quel Peppa Kid potresti combattere anche con un braccio legato dietro la schiena."

Cenerentola
 
Katniss Kid è pronta per la sua consueta uscita del sabato sera.

Cannibal dice: Dopo avervi raccontato la fiaba di Forderentolo nella intro del post, passiamo a occuparci della nuova Cenerentola firmata Kenneth Branagh. Le premesse per una pellicola da detestare ci sono tutte: non mi piace Kenneth Branagh, ritengo parecchio sopravvalutata Cate Blanchett che qui interpreta la regina cattivona di turno e la tipa che fa Cenerentola, tale Lily James, non mi pare troppo entusiasmante. Inoltre tutto questo revival fiabesco che scopiazza Once Upon a Time ha stufato. Quasi quanto Ford e i filmacci di Clint Eastwood.
Ford dice: quel damerino di Branagh azzecca un film su cinque da regista, e sinceramente sono stufo delle favolette da pusillanimi in pieno stile Once upon a time che probabilmente Cannibal adora gli siano lette prima di dormire.
Salto a piè pari, e senza patemi.



Blackhat
 
"Merda, sono finito in mezzo al raduno dei cannibalisti!"

Cannibal dice: Michael Mann è un regista apprezzato sia da me che da Ford e ciò non va bene. Il suo nuovo film potrebbe riaggiustare le cose e tornare a dividerci. Blackhat negli USA si è rivelato un floppone clamoroso a livello di pubblico ed è stato fatto a pezzi pure dalla critica. Ma, si sa, mai fidarsi troppo dei critici, soprattutto quelli che prendono sempre tutto troppo sul serio come Mr. Ford. Nonostante la scelta di Chris Hemsworth come protagonista non mi convinca troppo, questo Blackhat a me ispira parecchio. Magari non sarà il nuovo Collateral, però potrebbe rivelarsi un buon cyber-thrillerone.
Ford dice: Michael Mann è uno dei quasi intoccabili del Saloon, e stranamente, di norma, riesce a piacere addirittura a Peppa Kid. Questo Blackhat, sulla carta, non mi entusiasma particolarmente, ma non sia mai che neghi la fiducia ad uno dei registi statunitensi più tosti ed importanti per un qualche pregiudizio neanche fossi l'ultimo dei cannibali. Dunque, film da vedere a mani basse.


Foxcatcher
 
"Che depressione! Il mio stato di forma è peggiore perfino di quello di Marco Goi!"
Cannibal dice: Fordcatcher, una pellicola che parla di... wrestling. Naturalmente.
Nonostante sentissi puzza di fordianata da lontano mille miglia, l'ho guardato e...
A breve la mia recensione.
Ford dice: sono proprio felice.
Per prima cosa, perchè Bennett Miller è un regista con i controcazzi, e firmato da lui avevo già adorato Moneyball.
Per seconda, perchè gli argomenti principali di Foxcatcher sono il wrestling e il disagio sociale, una sorta di cocktail tra Win win e The wrestler.
Terza, e più importante, perchè probabilmente sarà fonte di litigio sicuro tra il sottoscritto ed il suo antagonista, senza dubbio su due fronti opposti rispetto alla valutazione del film.
Praticamente imperdibile.



Ma che bella sorpresa

"Hey Claudio, dobbiamo girare un film insieme!" "Questa non è affatto una bella sorpresa!"
Cannibal dice: Una bella sorpresa sarebbe vedere questa rubrica commentata unicamente dal saggio Cannibal Kid. Invece vi tocca sciropparvi pure Mr. Ford. Così come vi tocca sciropparvi un altro film con Claudio Bisio, un non-attore che qui fa coppia con un altro non-attore, Frank Matano lanciato dall'orripilante compagnia di Paolo Ruffini e della sua gang di non-comici di Colorado.
Ford dice: il Cinema italiano sta male. Molto male. Quasi peggio di Cannibal Kid. E probabilmente, non sta benissimo neppure chi sceglie di vedere un film come questo.



Suite francese
 
"Mi dispiace, ma per la merendina con il the di oggi ho già promesso la mia presenza a Cannibal."
Cannibal dice: Ennesima pellicola ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale. Un genere inflazionato quasi quanto quello delle pellicole favolistiche. Però c'è quell'attrice da favola di Michelle Williams e quindi non mi sento di escludere una visione a priori. Al contrario di un film consigliato da Ford.
Ford dice: quest'anno, oltre ai biopic, anche i film legati alla Seconda Guerra Mondiale paiono farla da padroni. Sinceramente, Suite francese non è quello che metterei in cima alla lista in una settimana in cui escono Michael Mann e Bennett Miller.



Io sono Mateusz
 
"Quel Peppa si è nascosto bene pur di non battersi con Ford: non riesco a vederlo neppure con il telescopio puntato su Casale!"
Cannibal dice: Pellicola polacca impegnata e melodrammatica. Una fordianata? Forse. O forse no. Il tema della disabilità potrebbe essere raccontato in maniera originale come in Quasi amici e quindi una quasi visione ci potrebbe stare. Sottolineo il quasi.

Ford dice: quando si parla di disabilità, sono sempre scettico. I Quasi amici non capitano tutti i giorni. Un po' come i commenti sensati del mio rivale.
Potrebbe essere interessante, questo Io sono Mateusz, ma con molte, molte riserve.



Cloro
 
"Finalmente un posto senza internet: così non dovrò sentire le fregnacce di quei due bloggers!"
Cannibal dice: Cloro al clero. Cloro a Ford. E, già che ci siamo, pure a questo film?
No dai, questo film italiano passato persino dalle parti del Sundance non sembra affatto male. Cosa che però non significa nemmeno che correrò a vederlo.
Ford dice: come scrivevo poco sopra, il Cinema italiano sta male. Ma proprio male. E neppure una proposta da Sundance mi convincerà del contrario. O a correre in sala.
Un po' come neppure una rivalutazione di American Sniper potrebbe far rivalutare, ai miei occhi, l'operato critico di Peppa.


venerdì 4 luglio 2014

Collateral

Regia: Michael Mann
Origine: USA
Anno: 2004
Durata: 120'





La trama (con parole mie): Max, un meticoloso e sognatore tassista notturno di Los Angeles, all'inizio del suo turno di lavoro carica per caso Vincent, misterioso individuo che, in cambio di un cospicuo pagamento, richiede il suo servizio per tutta la notte, in modo che possa scarrozzarlo attraverso cinque fermate di lavoro prima del ritorno in aeroporto.
Max, seppur riluttante, accetta, salvo poi scoprire sulla sua pelle che l'uomo che ha preso a bordo è in realtà un sicario assoldato dai cartelli della droga per eliminare una serie di bersagli che potrebbero danneggiare uno dei boss incontrastati del narcotraffico in un imminente processo: il confronto tra i due, ed il loro viaggio attraverso la notte di L. A., diviene una metafora del rapporto che entrambi hanno con la vita, il passato, il presente ed il futuro, così come sul lato "collaterale" del Destino.








Rivedendo Collateral per l'ennesima volta - di fatto, si tratta di uno dei miei film cult legati all'estate -, oltre ad ammirare la tecnica pazzesca di Michael Mann, la fotografia da urlo, i momenti che rimarranno impressi nella Storia del Cinema recente, ho pensato a quanto sarà bello poter raccontare al Fordino, tra quindici o vent'anni, guardando questo film insieme, che ai tempi lo vidi in sala, insieme a suo zio, entrambi esaltatissimi per il ritorno sul grande schermo di uno dei registi action più importanti dell'Occidente cinematografico, vero erede della tradizione di pietre miliari come Vivere e morire a Los Angeles ed unico a raccogliere il testimone di gente come Melville per rispondere ai Maestri d'Oriente come Johnnie To.
Questo cult magistrale - tecnicamente ed emotivamente parlando - presterebbe il fianco ad analisi infinite e critiche dettagliatissime, legate al montaggio, alle riprese di una Città degli angeli mai così viva, ad un crescendo che riesce nell'impresa di trovare un punto d'incontro praticamente perfetto tra il Cinema d'autore e quello mainstream, alla tensione, ad una delle migliori interpretazioni della carriera di Tom Cruise, e chi più ne ha, più ne metta.
Ma non voglio svilire Collateral in questo modo.
Sarebbe come cercare di catalogare il jazz, e le meraviglie di Miles Davis, o Charles Mingus.
O tentare di decifrare i significati delle esistenze che viviamo, così piccole ed insignificanti al cospetto del disegno dello spazio infinito eppure clamorosamente importanti nel microcosmo che affrontiamo un giorno dopo l'altro, fosse anche l'ultimo.
Collateral, per me, è quel giorno con mio fratello, seduti ammirando il nuovo lavoro di quel vecchio figlio di puttana che ci lasciò - e lascia - a bocca aperta con The Heat - che vedrò di recuperare presto, magari entro la fine dell'estate -, lui con l'occhio ancora pesto per l'incidente in motorino ed io alla ricerca del perchè quel cineasta così legato all'azione - che allora non aveva la stessa importanza di oggi, per il sottoscritto - riuscisse a trasformare la materia grezza del genere in qualcosa che andava oltre perfino alla filosofia.
Oppure, tre anni dopo, nella casa gigantesca da studentessa di Julez, la visione del dvd in cucina, con lei che quasi crollava dal sonno, il Jameson ed uno dei pompini da urlo che resero ancora più da urlo quel periodo.
Ed ogni visione da quel momento in avanti, fino a questa sera - che non so quando sarà, rispetto alla pubblicazione del post -, con la stessa Julez a dormire il sonno dei giusti - meritatissimo - e Ale nella sua cameretta, ed io di fronte alla tv ancora con gli occhi spalancati, patatine, whisky e coca.
Gli occhi. Specchio dell'anima oppure no, sono la chiave di volta di questo film.
Sono quelli scuri ed appassionati di Max, che come la maggior parte di noi, tira avanti aggrappandosi ad un sogno che sa già in partenza non riuscirà a realizzare, finendo per svegliarsi, un giorno, vecchio e malinconico, parlando dei tempi andati.
Quelli di Vincent, che si specchiano nella sua stessa espressione predatoria, capaci di rassegnarsi e salvare una vita, provare l'invincibilità del caso e la meraviglia della passione, l'ironia nera delle esecuzioni nel vicolo e la forza dirompente di un animale senza perdono - per dirla alla Clint - nel cuore di una discoteca.
Sono quelli di due coyotes che vagano, neanche fossero fantasmi, per le strade deserte - o quasi - della notte losangelina: i riflessi brillanti lasciano un segno, si specchiano nei nostri pronti a guardarli come l'abisso di Nietzsche, o la macchia solare del pezzo degli Audioslave in sottofondo.
Dove stiamo andando, tutti quanti?
Dove corriamo?
Quale significato avranno i nostri progetti nell'arco di uno, cinque, dieci, vent'anni, quando non sappiamo neppure dove saremo domani?
Lottiamo davvero per nulla come il Detective Fanning, o per essere dimenticati a bordo di una vettura della metropolitana come Vincent?
La notte che ci porta al confronto con il lato oscuro della Natura e del Destino, con il "collaterale" di noi stessi, è davvero l'antefatto di un'alba di speranza?
O i sogni rimarranno una cartolina buona giusto per un pò di nostalgia in ritardo?
Nessuno può saperlo.
Max o Vincent che sia.
E' questo l'aspetto collaterale della vita.
E a noi non resta che viverlo, per scoprire, se non domani, almeno cosa ci riserva l'oggi.



MrFord



"When the hills of los angeles are burning
palm trees are candles in the murder wind
so many lives are on the breeze
even the stars are ill at ease
and Los Angeles is burning."
Bad Religion - "Los Angeles is burning" - 




Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...