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domenica 28 giugno 2015

Miami Vice

Regia: Michael Mann
Origine: USA
Anno: 2006
Durata: 131'




La trama (con parole mie): Sonny Crockett e Ricardo Tubbs sono due detectives della polizia di Miami legati a doppio filo alle operazioni sotto copertura volte a portare allo scoperto traffici illeciti, dalle armi alla droga. Quando un loro agente viene compromesso a causa dell'intrusione dell'FBI i due vengono reclutati dall'agenzia affinchè si infiltrino spacciandosi per corrieri in un'organizzazione che fa capo ad un colombiano di nome Yero, che pare sia uno dei pesci più grossi del continente.
Una volta entrati nel giro, però, Crockett e Tubbs vengono a conoscenza di un livello ancora superiore a quello portato appena sotto la superficie dallo stesso Yero, ed entrati in contatto con Isabella e Montoya, vertici dell'organizzazione, tenteranno di smantellare la stessa dall'interno: il legame sempre più stretto tra Sonny e Isabella e l'odio di Yero per l'infiltrato, però, finiranno per complicare le cose.








Se dovessi pensare ad un'ipotetica classifica dei miei registi americani - viventi, sia chiaro - favoriti, Michael Mann si giocherebbe senza dubbio le prime posizioni con Maestri del calibro di Eastwood, Scorsese e Cimino: eppure, riflettendo proprio in merito ai nomi che abiterebbero i piani alti dell'ipotetica lista, forse il suo è quello che finirebbe per doversi sudare più degli altri non tanto il fatto di essere dove si trova, quando di essere amato in termini cinefili.
Ho impiegato anni - e visioni -, infatti, per riuscire a comprendere appieno la grandezza di Mann e del suo Cinema: ricordo quanta fatica feci la prima volta che affrontai Heat - La sfida, o con quanta diffidenza approcciai più di recente Collateral e questo stesso Miami Vice, salvo poi ricredermi ed aumentare non solo la percezione delle pellicole stesse, ma il loro valore passaggio dopo passaggio su questi schermi.
Proprio Miami Vice, nato dall'idea che fu alla base della nota serie tv - firmata dallo stesso Mann nei primi anni della sua carriera ed ormai cult imprescindibile legato agli anni ottanta -, mi lasciò abbastanza freddo ai tempi della prima visione in sala, quasi come fosse una sorta di fratello minore del già citato Collateral, tutto fotografia, riprese pazzesche e colonna sonora perfetta: valutazione clamorosamente sbagliata.
Perchè Miami Vice è un trionfo non solo di tecnica e stile, ma un omaggio strepitoso ad un genere purtroppo ormai relegato a tentativi isolati, un hard boiled d'altri tempi in grado di regalare passaggi action mozzafiato, caratterizzazioni immediate - come già avvenne per Heat - ed atmosfere uniche: in questo senso, da Miami alle cascate di Iguazu, passando per il bacino centro americano, questa pellicola è assolutamente perfetta sotto ogni punto di vista.
Se, poi, alla cornice vengono associati scambi come quello tra il Sonny di Colin Farrell e la Isabella di Gong Li prima del viaggio in motoscafo verso L'Havana pare quasi di deporre le armi senza neppure lottare rispetto alla potenza di un prodotto che racconta la durezza della strada e del confronto tra poliziotti e criminali - da entrambe le parti dipinti come uomini, con i loro difetti ed i talenti a fare da contrappeso - sfruttando una partenza a razzo ed una chiusura assolutamente perfetta nel suo essere aperta, quasi incompiuta, nella scelta di Crockett di rimanere accanto a quella che è la sua famiglia a scapito di quello che potrebbe essere l'amore.
Da questo punto di vista, Miami Vice - come il recente Blackhat - ricorda da vicino il melò dell'action di Hong Kong e dei grandi registi orientali, che ai proiettili non dimentica mai di associare struggenti legami dal sapore di Classico e sesso così vero da farlo sentire sulla pelle - Tubbs e la compagna sotto la doccia e a letto, Crockett e Isabella all'interno della macchina -, un marchio di fabbrica da passato remoto portato sullo schermo sfruttando mezzi e tecniche assolutamente all'avanguardia.
Senza dubbio a Mann non interessa piacere, così come ai suoi protagonisti: eppure Miami Vice entra sottopelle, da qualsiasi angolazione lo si guardi o lo si viva, che ci si senta più vicini alla razionale struttura di Tubbs o all'improvvisato charme di Sonny, che si preferiscano i proiettili e la mano pesante dei neonazisti o gli intrighi quasi politici dei grandi trafficanti internazionali.
E' prendersi il tempo di un mojito alla Bodeguita prima di buttarsi in un conflitto a fuoco che potrebbe significare morte certa.
E' il ruggito di un fucile d'assalto, o quello di cascate che mostrano la potenza di chi vive al di sopra di tutto. Ordine o Caos che siano.
E Michael Mann è così.
Ordine e Caos.
Tecnica e istinto.
Fortunatamente, il risultato è lo stesso: grande Cinema.



MrFord



"So come pull the sheet over my eyes
so I can sleep tonight
despite what I've seen today.
I found you guilty of a crime, of sleeping at a time
when you should have been wide awake."

Audioslave - "Wide awake" - 





martedì 27 agosto 2013

Mad Men - Stagione 3

Produzione: AMC
Origine: USA
Anno: 2009
Episodi: 12




La trama (con parole mie): la Sterling Cooper attraversa una nuova fase della sua esistenza legata alla partnership istituita con i soci inglesi entrati a far parte dell'esecutivo, pronti a far ridurre i costi ed inserire figure e competenze nuove in modo da snellire l'agenzia e riproporla in una nuova e più allettante forma per la vendita all'insaputa dei suoi stessi dirigenti. Nel frattempo gli account vivono momenti di grande competizione - come Pete Campbell e Ken Cosgrove - per un posto in primo piano ed altri di affermazione più privata che lavorativa - l'ex segretaria Peggy Olson -, e Don Draper si trova a dover fronteggiare non soltanto la nuova dimensione lavorativa ed il rapporto con l'eccentrico milionario Hilton, ma anche due crisi in famiglia legate l'una all'arrivo in casa sua del suocero e l'altra alla scoperta della moglie Betty del suo vero nome e del passato che l'uomo tiene tanto a lasciare nascosto.
Il tutto mentre un cambiamento a dir poco epocale sta per avvenire a seguito di uno degli eventi più traumatici della Storia degli USA: l'assassinio di Kennedy.





Nel panorama delle serie televisive degli ultimi quindici anni, senza dubbio Mad Men figura come uno dei nomi di spicco per quanto riguarda la qualità e lo stile della proposta, l'eleganza e la ricchezza della messa in scena e della narrazione, il fascino della cornice e la quantità quasi incredibile di premi raccolti. Eppure Mad Men è anche una visione decisamente poco simpatica, empaticamente lontana anni luce dai suoi spettatori almeno quanto il suo indiscusso protagonista, Don Draper.
Enigmatico e distante, l'impeccabile Draper - che unisce allo charme da 007 la sicurezza dello squalo della finanza - è il simbolo perfetto di un serial apparentemente senz'anima eppure in grado di stregare neanche ci si trovasse nel pieno di una seduta d'ipnosi a seguire le vicissitudini dei suoi protagonisti, alla scoperta di un'epoca ormai lontana e legata ad un passato quasi remoto per le nostre generazioni eppure rappresentata con una tale profonda modernità da far quasi pensare al futuro.
Con questa terza annata si può pensare che le vicende degli account e dei dirigenti della Sterling Cooper abbiano raggiunto la maturità della struttura, consegnando al proprio pubblico, di fatto, la stagione più completa fino a questo momento passata sugli schermi di casa Ford, in grado di unire l'indagine interiore del protagonista come fu per la prima ed alcuni viaggi nel tempo nella New York di allora - e non solo - come per la seconda: in particolare, il rapporto con il suocero e lo scontro con la moglie Betty a seguito della scoperta della "doppia identità" di Don di quest'ultima rappresentano senza dubbio i momenti più forti mostrati nei dodici episodi, mentre dall'altra parte si passa dalle "vacanze romane" in pieno stile Hilton alla grottesca ed esilarante festa in onore dei soci inglesi finita nel sangue grazie ad un trattore imbizzarrito, senza contare la splendida chiusura di annata legata a doppio filo all'attentato che costò la vita a JFK, uno degli avvenimenti più funesti e sconvolgenti della Storia degli States, giustamente considerato "la fine di un'era" e trampolino per una quarta stagione che, nonostante l'odio e l'antipatia di Julez per questo titolo, aumenta l'hype in attesa del suo passaggio dalle parti del Saloon.
La cosa più interessante di questo terzo giro di giostra per i nostri pubblicitari rampanti è stata senza dubbio l'apparente frammentarietà della narrazione - al contrario soprattutto della prima stagione, nel corso di questi dodici episodi è raro assistere ad una riunione creativa in cui siano presenti tutti i nomi di spicco del cast - rivelatasi, di fatto, un perfetto mosaico di caratteri, storie ed identità alla ricerca di una strada che porti nel futuro, una sorta di confronto tra la realtà ed i sogni in grado di smussare gli angoli perfino di charachters non proprio positivi come Pete Campbell o mostrare tutti gli attributi di altri, come la dirompente - in tutti i sensi - Joan di Christina Hendricks, che personalmente non vedo l'ora di rivedere tra le scrivanie della Sterling Cooper.
Personalmente credo che non amerò mai alla follia questo titolo, e che lo stesso non riuscirà neppure nelle sue annate migliori a conquistarmi il cuore quanto Breaking bad, Lost o Six feet under, eppure tra le righe della sua perfetta composizione mi pare di rivedere la perfezione che fu il tratto distintivo de I Soprano, nonchè la capacità di riuscire ad ammaliare pur essendo decisamente lontano dal vero coinvolgimento emotivo: in un certo senso, Mad Men è come una modella da copertina.
Non potresti mai uscirci perchè potrebbe rivelarsi un'agghiacciante figa di legno, eppure non riesci a fare a meno di fare fantasie su di lei ad ogni occhiata.


MrFord


"I've got you under my skin.
I've got you deep in the heart of me.
So deep in my heart that you're really a part of me.
I've got you under my skin.
I'd tried so not to give in."
Frank Sinatra - "I've got you under my skin" - 



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