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lunedì 27 marzo 2017

Victoria (Sebastian Schipper, Germania, 2015, 138')




Se, nel corso della vita, vi siete concessi qualche nottata wild, sarà di sicuro capitato, qualche volta, di trovarsi in situazioni - pur non così estreme, sia chiaro - in pieno stile "Fuori orario" - che non solo è uno dei titoli che preferisco di Scorsese, ma uno dei miei cult assoluti -: personalmente ricordo l'ultimo giorno che passai a Barcellona nel mio viaggio in solitario del luglio duemilasei, nel pieno del mio periodo allo stato brado.
Avevo passato il pomeriggio a tatuarmi - quello che, allora non lo sapevo, sarebbe stato il secondo di una lunga serie - e dopo aver mangiato qualcosa al volo avevo deciso di rivedere l'amica di una tizia con la quale ero uscito a Milano nel corso di giugno che si trovava a nella città catalana per lavoro e che avevo già incontrato un paio di sere prima per andare al Michael Collins, un pub irlandese di fronte alla Sagrada Familia che negli anni è diventato la mia seconda casa ad ogni visita in quello che è uno dei miei posti preferiti al mondo, dove era in programma un concerto acustico di un duo argentino che aveva in scaletta una serie di cover di classici del rock niente male.
Ad una certa ora, l'amica della mia amica decise di prendere un taxi per tornare a casa, e sul punto di rientrare in albergo - in fondo il giorno dopo avevo il volo di ritorno - pensai invece di riprendere posizione al Michael Collins e vedere quantomeno la fine dell'esibizione: quando arrivò, diversi Jameson e Coca dopo, venni fermato da una fanciulla niente male che mi disse "Hola, Working Class Hero!", alludendo alla scritta sulla t-shirt che indossavo.
Venni a sapere che non era spagnola neanche lei, bensì americana, si chiamava Dawn ed insegnava alla scuola americana - per l'appunto - a Barcellona: le cose si fecero quasi subito abbastanza ovvie, ma lei, nel locale con un'amica, mi disse che avremmo dovuto trovare qualcuno anche per la suddetta in modo da poterci divertire come si conveniva senza sensi di colpa da parte sua.
La scelta ricadde su un giovane ben vestito che pareva uscito da Wall Street, inglese, che propose di prendere un taxi a sue spese ed andare a casa sua: ricordo un appartamento esageratamente grande per un single in una città straniera, privo di qualsiasi quadro o immagine alle pareti e di mobili che non fossero la cucina, il divano e i letti delle due camere da letto.
Ci disse di non credere ad altro che al fare soldi, e dunque non gli interessava abbellire casa sua, tanto che televisione e stereo erano bellamente appoggiati sul pavimento: per quello che ne sapevo, poteva essere tranquillamente un serial killer.
Fortunatamente andò bene, sparì in camera sua dicendo che doveva alzarsi presto il giorno seguente, l'amica di Dawn tenne il divano mentre io e lei ci aggiudicammo la camera degli ospiti: la mattina seguente il tizio - non ricordo il suo nome - ci pagò di nuovo il taxi fino alla Sagrada e tanti saluti.
La cosa divertente fu che non sapevo ancora che avrei passato le successive trentasei ore all'aeroporto di Barcellona a causa di uno sciopero del personale di terra, dormendo accanto ad una ragazza olandese conosciuta in coda nell'area del check in sdraiati su scatoloni piegati come senzatetto con i bagagli a mano come cuscini, dimenticando il pin del bancomat e di conseguenza impietosendo la stessa ragazza che finì per offrirmi cena e colazione in aeroporto prima di riuscire entrambi finalmente a ripartire.
Ma tant'è.
Il bello di notti così, è l'improvvisazione totale.
Ed è anche il bello di Victoria, un gioiellino strepitoso girato grazie ad un vertiginoso piano sequenza di quasi due ore e venti che ha tutta l'energia, l'emozione, la paura, la magia di notti come quelle, in cui può andarti bene e regalare aneddoti che racconterai per tutta la vita o male, e portartela via.
Inutile raccontare di più di una vicenda che afferra lo spettatore e non lo lascia neppure al termine della visione, che passa dall'ironia e spontaneità della commedia romantica - quasi fossimo tornati ai tempi di Before sunrise - alla tensione del thriller in cui scappa sempre il morto, dall'intimismo - la parte di scoperta al pianoforte di Victoria e Sonne - all'hard boiled - la rapina e la fuga -, quasi avessero fatto un cocktail con il già citato Fuori orario, Enter the void, Irreversible, L'odio e Linklater, senza sbagliare praticamente nulla.
Sinceramente, se non avete mai avuto, nella vita, qualche nottata totalmente priva del vostro controllo, vi consiglierei di recuperare per evitare di perdervi qualcosa di unico, e se volete sentire quanto il Cinema, a volte, può avvicinarsi alla vita, dovete perdervi dentro un film come questo.
Perchè sarà come il ricordo della gioventù senza freni, il sogno di qualcosa che poi, chissà, forse non si sarà avverata, quella notte che rappresenterà per sempre la notte.
Anche quando non avremo vinto.
Anche quando saremo solo sopravvissuti.
Perchè sarà comunque la nostra notte.
Una volta e per sempre.



MrFord



 

lunedì 10 agosto 2015

Youth - La giovinezza

Regia: Paolo Sorrentino
Origine: Italia, Francia, Svizzera, UK
Anno:
2015
Durata:
118'





La trama (con parole mie): Fred Ballinger e Mick Boyle, il primo ex direttore d'orchestra in pensione, il secondo regista pronto ad affrontare il suo film testamento, vecchi amici con ricordi ed esperienze condivise e due figli sposati tra loro, si ritrovano come di consueto tra le Alpi svizzere per una vacanza in un prestigioso albergo che ospita celebrità di tutti i campi.
Proprio entro i confini della località di villeggiatura si incrociano storie che riguardano il presente ed il passato di ognuno dei protagonisti e delle persone che vi si avvicinano nel corso del soggiorno, siano esse artistiche, professionali, emotive, riguardanti il tempo che fu o quello a venire: da Lena, figlia di Fred, lasciata di colpo da Julian, figlio di Mick, pronta a ricominciare a sentire la libertà, passando per il giovane attore Jimmy, fino ai bambini e a Diego Armando Maradona, si osservano le cadute e le ascese di individui che, pur protagonisti, finiscono per essere comparse della grande commedia umana, proprio come Fred e Mick.
Come si approcceranno, i due vecchi compari, all'idea della fine che si avvicina sempre di più?








In condizioni normali, da gestore del Saloon e portatore sanissimo di un certo tipo di approccio alla vita ed al Cinema, dovrei detestare profondamente un regista come Paolo Sorrentino.
Colto, vagamente snob ma ugualmente autoironico, membro di un'elite della settima arte invisa al grande pubblico così come ai critici più radical - gli stessi che, probabilmente, ai tempi de Le conseguenze dell'amore si facevano le seghe sui suoi movimenti di macchina salvo poi voltare le spalle all'autore non appena il successo e l'Academy giunsero a benedire il regista partenopeo -, capace, erede di una tradizione nata prendendo a piene mani dall'immaginario di un signore chiamato Federico Fellini, probabilmente il più grande cineasta che l'Italia abbia mai conosciuto.
Dovrei proprio detestarlo, questo talentuoso figlioccio non autorizzato del Maestro riminese.
Eppure, fatta eccezione per il mezzo scivolone di This must be the place, non ce la faccio proprio.
Ed ogni volta che approccio un suo lavoro, finisco come ipnotizzato e stimolato alla riflessione benchè parta con tutte le riserve ed i dubbi del caso: era accaduto anche con La grande bellezza, e si è ripetuto, inesorabilmente, con questo Youth, che probabilmente in molti speravano di vedere premiato all'ultimo Festival di Cannes.
Le vicende parallele di Fred e Mick, il primo ex direttore d'orchestra burbero ed apatico - almeno a suo dire - ed il secondo regista ancora smanioso di dimostrare il suo valore al mondo, incrociate a quelle degli ospiti di un albergo d'elite nel cuore delle Alpi svizzere, pur concedendo tutto il possibile al Cinema d'essai che spesso e volentieri tanto detesto sono riuscite a colpirmi al cuore per la loro disarmante semplicità, unita alla voglia di raccontarle ed un desiderio di confronto con l'ignoto rappresentato dal passato e dal futuro - bellissima la scena del cannocchiale tra Mick e Lena - cui nessuno di noi - almeno tra quelli che davvero vogliono vivere a fondo - riesce a resistere.
Senza dubbio, prima di apprezzare tutti questi aspetti mi sono trovato a dover superare anche passaggi nati ad uso e consumo di un certo tipo di pubblico intellettualoide e poco sopportabile - la "direzione d'orchestra" della Natura di Fred, su tutti - ed una confezione impeccabile e patinatissima che pare distante anni luce dagli standard che trovano i posti migliori qui al Saloon, eppure dal bellissimo confronto padre/figlia di Fred e Lena a proposito del perchè Julian abbia deciso di lasciarla ad uno straordinario Paul Dano - che non solo non sfigura davanti a due mostri sacri come Caine e Keitel, ma finisce quasi per superarli -, passando per i punti focali di vecchiaia e giovinezza - tematiche in grado di toccare qualsiasi pubblico, in quanto fasi della vita che siamo tutti destinati a sentire sulla pelle, scandite da "un'ultima illuminazione" come potrebbe essere Miss Universo ed il numero di pisciate giornaliere - ed una sequenza che non solo finisce per essere grande, grande Cinema, ma anche per dare un senso all'intero lavoro di Sorrentino, legato a doppio filo agli interrogativi sospesi tra passione e talento: Maradona, el pibe de oro, forse il più grande giocatore di calcio di tutti i tempi, sformato da una quasi obesità e provato dal fiato corto, che palleggia in modo praticamente fantascientifico con una pallina da tennis.
Basterebbe quel momento, per vedere tutta la grandezza di Youth e del suo regista.
Un passaggio in grado di far passare quella che pare una marchetta da tifoso nostalgico del suo idolo di gioventù una metafora di quello che è il passaggio dalla giovinezza in cui tutto è vicino, conquistabile, divorabile, alla vecchiaia che trova anche nell'impresa più facile difficoltà enormi: eppure, dietro tutto questo, ci sono voglia, desiderio - e di nuovo torna a galla l'inserimento di Dano -, libertà, genio.
Quello che ci aspetta nel mondo, è sempre la giovinezza.
Basta saperla accettare, cogliere, vedere dalla giusta prospettiva.
La stessa che porta Fred e Mick, in due modi diversi, con due percorsi quasi opposti, a mettersi in gioco ancora una volta.
Non si finisce mai di imparare, del resto.
E non si finisce mai di crescere.
E' questo il bello della vita.
E della giovinezza.




MrFord




"May you grow up to be righteous
may you grow up to be true
may you always know the truth
and see the lights surrounding you
may you always be courageous
stand upright and be strong
may you stay forever young
forever young, forever young
may you stay forever young."
Bob Dylan - "Forever young" - 




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