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sabato 8 aprile 2017

Wrestlemania 33




L'appuntamento con Wrestlemania, il Superbowl del wrestling, lo Showcase of the Immortals, The grandest stage of them all, è uno dei più attesi dell'anno da parte del sottoscritto, in barba ai periodi in cui, per mancanza di pathos o scarsa creatività dei booking team, oppure più banalmente per match meno esaltanti, mi ritrovo a rimpiangere i fasti del passato, da quando ero bambino e a darsi battaglia erano Hulk Hogan e Ultimate Warrior al passato recente di CM Punk e Daniel Bryan.
Quest'anno, per l'edizione numero trentatre - se penso che la prima che vidi da spettatore fu la sei mi vengono i brividi -, la WWE ha calcato la mano principalmente su due incontri, quello tra Lesnar e Goldberg e quello tra Undertaker e Roman Reigns, entrambi destinati a far parlare di loro appassionati e non nel bene e nel male: personalmente, ho deciso di godermi questa edizione senza particolari aspettative o pathos, ed il risultato è stato, non me ne vogliano gli "esperti", forse quella che ha finito per darmi più soddisfazioni degli ultimi anni.
Ma andiamo con ordine: archiviato il kickoff - tre match dei quali uno solo davvero degno di nota, quello per il titolo dei pesi leggeri tra Neville e Austin Aries, lottato molto bene e decisamente duro, considerati due o tre bump durissimi presi da Aries con cadute per nulla protette dal suo avversario - si è partiti molto bene con uno degli incontri migliori della serata, quello tra AJ Styles - al momento il mio favorito in assoluto, nonchè probabilmente il miglior wrestler attualmente in attività, nonostante una stazza certo non mastodontica - e Shane MacMahon, che per il secondo anno consecutivo, considerato che parliamo di uno che non è mai stato lottatore per professione e di un uomo di quarantasei anni, ha finito per lasciarmi a bocca aperta grazie ad un paio di spot notevoli nonchè ad una shooting star press eseguita alla grandissima - manovra aerea spettacolare che molti atleti di vent'anni meno non si sognano neppure di tentare -. Bravissimi entrambi.
Il secondo match, uno di quelli costruiti meglio a livello di scrittura, vedeva Kevin Owens fronteggiare l'ex amico Chris Jericho, veterano che ancora oggi regala momenti davvero magici: incontro discreto, anche se da questi due mi sarei aspettato davvero molto di più.
Jericho non era al meglio fisicamente, ma io comincio a pensare che il tanto adorato dai fan radical del wrestling Kevin Owens non sia, in realtà, un fenomeno come molti pensano.
In due anni di WWE, gli ho visto fare incontri ed interpretare un personaggio sempre uguale a se stesso. Staremo a vedere.
Una parziale delusione, considerato il valore delle lottatrici sul ring, è stato il match per il titolo femminile di Raw, che lo scorso anno era stato lo show stealer dell'evento: troppo breve e troppo repentino nella sua evoluzione, ma comunque divertente.
Spazio poi al recap sulla cerimonia dedicata alla Hall of fame della sera precedente, con protagonista Kurt Angle, tornato in casa WWE dopo gli anni della TNA: quella dell'Arca della gloria è una cerimonia sempre mitica e commovente, il momento nostalgia della visione.
Il ladder match per i titoli di coppia di Raw, invece, è stato un momento molto godibile e, seppur non memorabile, sarà ricordato per la sorpresa meglio accolta di Wrestlemania: il ritorno degli Hardy Boyz - con grande giubilo di Julez -, uno dei tag team più importanti di sempre, che senza dubbio potrà ancora emozionare i fan, e non me ne vogliano i miei attuali preferiti Big Cass ed Enzo Amore.
Archiviato il grande ritorno, è arrivato al volo un altro memorabile Wrestlemania moment in coda ad un incontro che era solo figurativo, quello tra John Cena e Nikki Bella e The Miz e Maryse: il lottatore bostoniano, figura cardine del wrestling del Nuovo Millennio, ormai più un part timer che non l'uomo di punta della federazione, ha chiesto in diretta televisiva alla sua compagna di sposarlo in una cornice che, preparata oppure no, è stata senza dubbio emozionante.
E senza dubbio più importante di qualsiasi incontro.
Triple H ha invece pagato dazio al suo ex pupillo Seth Rollins in un faccia a faccia che, come quello tra Kevin Owens e Chris Jericho, poteva essere molto di più, ma quantomeno segna la fine - forse - di una rivalità che avrebbe bisogno di lanciare uno degli atleti più importanti che la WWE abbia in questo momento ed indicare a Triple H la direzione di una nuova carriera dirigenziale, che, tra l'altro, l'ex membro della DX sta conducendo egregiamente.
Lo scontro tra Randy Orton e Bray Wyatt potrebbe essere associato a quest'ultimo, e forse è stato quello che ha deluso più le aspettative della vigilia del sottoscritto: Wyatt è bravissimo al microfono, ha un personaggio che funziona, eppure manca ancora, nonostante il titolo vinto e qui perso, della scintilla che potrà davvero lanciarlo in prospettiva futura.
Orton, come Cena, dovrà cominciare, invece, più che a raccogliere titoli ad occuparsi di lanciare la generazione destinata a sostituirlo.
Alle spalle questa cavalcata, e congedati i miei ospiti ormai troppo stanchi - cinque ore di evento a suon di cocktails by Ford sono difficili da gestire - ho affrontato uno dei due incontri più importanti della serata, quello tra la leggenda Goldberg ed il mostro Lesnar, che in barba ai limiti tecnici ed all'età - soprattutto il primo - hanno regalato ai fan un match da fumettone, in pieno spirito anni ottanta, in cui due charachters praticamente invincibili per qualsiasi altro lottatore - o quasi - si sono dati battaglia in una contesa veloce ma decisamente divertente ed emozionante.
A prevalere, finalmente - nella loro rivalità aveva sempre patito la sconfitta - è stato Lesnar, che ora, da campione, dovrà probabilmente sacrificarsi a qualcuno destinato, zoccolo duro dei fan o no, a raccogliere il testimone di Cena.
Il match dedicato al titolo femminile di Smackdown, purtroppo più che altro un riempitivo - troppo veloce e con troppe concorrenti -, ha fatto da filler in vista del main event, che ha visto opposti The Undertaker, vera e propria leggenda del ring, e Roman Reigns, il prescelto dai MacMahon per raccogliere il testimone di Cena, come appena citato, e come il buon John ai tempi d'oro fischiato, insultato e criticato dai fan hardcore perchè troppo buono, troppo forte, troppo vincente.
Personalmente, ho apprezzato la scelta della WWE di chiudere una carriera incredibile come quella di Undertaker - che spesso e volentieri ho detestato, lo ammetto - per mezzo di Reigns, il Khal Drogo del wrestling, il giovane assetato di gloria che irrita il pubblico maschile per invidia, al massimo della sua forma contro un uomo che ha dato tutto per lo sport entertainment, che probabilmente nessun altro riuscirà ad eguagliare in "miticità" - per dirla come Po - ma che, oggettivamente, non aveva - e non ha - più i mezzi fisici per poter garantire prestazioni importanti come quelle che hanno costituito l'ossatura della sua carriera.
Il momento dell'abbandono di guanti, cappotto e cappello al centro del ring ha avuto il sapore della consapevolezza che il tempo passa per tutti, e che un'epoca è finita, ma anche della liberazione da un peso, quello di intepretare un charachter dai poteri quasi soprannaturali, e che il bacio dato alla compagna Michelle McCool a bordo ring allontanano definitivamente da un uomo che è, probabilmente, stato il più grande personaggio che questa disciplina abbia mai conosciuto.
E lo dico da suo non tifoso.
Rest in peace, Undertaker.
Noi appassionati di questo spettacolo non possiamo fare altro che esserti eternamente grati.



MrFord




venerdì 8 aprile 2016

Wrestlemania 32

La trama (con parole mie): non può mancare, al Saloon, l'appuntamento annuale con il Superbowl del wrestling, una delle passioni più grandi del sottoscritto fin dall'infanzia. Quest'anno, come poche altre volte, mi sono accostato all'evento più importante dell'anno dello sport entertainment in modo piuttosto distaccato, considerato che tra infortuni, abbandoni e nostalgia dei vecchi tempi ormai non sia rimasto nessuno ad emozionarmi come vorrei.
Eppure, nonostante le delusioni del durante e soprattutto del dopo, questo evento non riuscirà mai davvero a non coinvolgermi.









Quando penso al wrestling ed al fascino che ha da sempre esercitato sul sottoscritto, finisco per riflettere a proposito dall'incontro tra fiction e realtà, fumettone e sport, apparenza e tecnica che di fatto rappresenta: ricordo benissimo i tempi in cui con mio nonno vidi i primi incontri con protagonisti Tiger Mask o Antonio Inoki, l'ascesa di Hulk Hogan e di uno dei miei favoriti di tutti i tempi, Ultimate Warrior, gli anni in cui, con l'adolescenza e la "scomparsa" del wrestling stesso dalla televisione italiana, mi allontanai perdendomi, di fatto, il meglio dell'Attitude Era, il riavvicinamento ed il recupero di incontri che non avevo avuto la fortuna di vedere "in diretta", l'esplosione di Brock Lesnar, la ribalta dei tragici outsiders Eddie Guerrero e Chris Benoit, l'affermazione dei nuovi fenomeni CM Punk e Daniel Bryan, fino ad oggi.
Negli ultimi anni, devo ammetterlo, il mio cuore di fan del wrestling mainstream - non ho abbastanza tempo da dedicare alle proposte indipendenti, dunque, di fatto, limito le mie visioni all'offerta WWE o quasi - si è raffreddato molto, complici i ritiri per questioni fisiche di Edge e del già citato Daniel Bryan - avvenuto proprio un mese prima di Wrestlemania - e l'abbandono di CM Punk, in rotta con la federazione ed ormai deciso ad intraprendere una carriera in UFC - sbagliando, a mio parere, ma questa è un'altra storia -: dunque, l'approccio ad una delle Wrestlemania meno attese dal sottoscritto di sempre è stato piuttosto freddo, nonostante nei giorni prima della visione l'elettricità si sia comunque fatta sentire nell'aria - complice anche un antipasto targato NXT, il brand di sviluppo WWE, davvero ottimo, testimonianza del lavoro egregio fatto in quest'ambito nel corso degli ultimi due anni -.
Ma cos'è accaduto, dunque, all'evento di wrestling più importante dell'anno?
E soprattutto, quali sono state le reazioni in casa Ford?
Personalmente, la trentaduesima edizione dello Showcase of the Immortals difficilmente entrerà non solo tra le migliori, ma anche tra le buone o le discrete: uno show troppo lungo - due ore di Kickoff con tre incontri non particolarmente brillanti - e quasi cinque di pay per view sono decisamente parecchie, specie se non si brilla per qualità o emozione.
Considerato, infatti, che a parte un paio di spot nel ladder match d'apertura, la tecnica di Chris Jericho ed AJ Styles nel secondo incontro - dal quale comunque mi aspettavo qualcosa in più - i momenti migliori sono stati regalati da Shane McMahon - figlio del patron della WWE, e di fatto un ex non wrestler - con il suo salto dalla gabbia dell'Hell in a cell contro Undertaker che ha fatto tornare alla mente il volo di Mick Foley del novantotto - roba da brividi a vent'anni, un tuffo da sette metri e passa su un tavolo da commento, figuriamoci, come nel caso del buon Shane, a quasi cinquanta -, la comparsata del meraviglioso trio composto, per l'appunto, da Mick Foley, Shawn Michaels e Stone Cold Steve Austin per spazzare via l'inutile League of Nations nel più classico dei Wrestlemania moments e l'incontro a tre per decretare la campionessa femminile tra Charlotte - figlia della Leggenda Ric Flair -, Becky Lynch e Sasha Banks, tutte formate proprio ad NXT, il bottino di questa edizione è davvero scarno, specie considerato lo scempio che i writers WWE hanno compiuto la notte successiva nella settimanale edizione di Raw, che ha ribaltato come se non fossero mai esistiti quasi tutti i verdetti dei match.



Poi, certo, mi sono comunque divertito nel corso del siparietto The Rock e John Cena contro la Wyatt Family, l'atmosfera dell'AT&T Stadium di Dallas è stata pazzesca - una struttura del genere in Italia appare letteralmente da fantascienza, ed il colpo d'occhio dei più di centomila spettatori davvero da urlo -, continuo a pensare che, pur non essendo particolarmente dotato, Roman Reigns sia una scommessa potenzialmente vincente e le lamentele di molti fan hardcore nascano dall'invidia per il Khal Drogo del ring e non per il suo ruolo imposto di "nuovo Cena", il wrestling è sempre il wrestling, ma ancora una volta, il brivido è mancato: sul quadrato, incontri molto al di sotto delle aspettative come quello tra Dean Ambrose - che pare una versione al contrario di Reigns, carisma a mille e poca incisività nelle botte - e Brock Lesnar, e a livello di atmosfera, con il fiato sospeso dei grandi match che ci si aspetterebbe da occasioni come questa.
Certo, gli infortuni di John Cena, Seth Rollins, Randy Orton e Cesaro hanno pesato sulla card almeno quanto l'abbandono di Daniel Bryan, gli "sceneggiatori" WWE paiono presi dal peggio di Hollywood, il momento in termini di impatto - non economico, considerato che, probabilmente, la federazione principe dello sport entertainment vive attualmente il suo periodo più florido - è lontano dai fasti dell'epoca della Monday Night War, eppure pare essersi persa non tanto la tecnica, quanto il "romanticismo" del wrestling: incontri come la sfida tra Hogan e Warrior a Wrestlemania 6 o tra Warrior e Macho Man a Wrestlemania 7, la sfida tra Shawn Michaels e Bret Hart, i grandi ladder match per i titoli di coppia tra gli Hardy Boys, i Dudleys ed Edge e Christian, ma anche soltanto le sfide tra Shawn Michaels ed Undertaker, Kurt Angle, Ric Flair del passato recente erano davvero tutta un'altra storia.
Purtroppo, se non sperare in un favoloso e quasi impossibile ritorno di CM Punk - negli ultimi anni, nessun match è riuscito a regalare l'ebbrezza di tornare bambino al sottoscritto come la sfida tra lui e Cena a Money in the bank nel luglio del duemilaundici -, al momento dovrò fare buon viso a cattivo gioco e confidare nella maturazione dei ragazzi di NXT, da Kevin Owens a Sami Zayn, passando per le tre fanciulle che, credo per la prima volta nella storia di Wrestlemania, hanno rubato di gran lunga la scena ai loro colleghi dell'altra metà del cielo: e se il salto di Shane dalla gabbia è stato a suo modo epocale, il moonsault eseguito alla perfezione di Charlotte non è stato assolutamente da meno.
Segno di una nuova speranza in generazioni future?
Voglio pensare di sì.
Anche perchè il sogno di festeggiare l'anno del mio quarantesimo compleanno regalandomi un viaggio a bordo ring per Wrestlemania è ancora e più che mai vivo.






MrFord







domenica 5 aprile 2015

Wrestlemania 31

La trama (con parole mie): il periodo di pasqua, in casa Ford, è vissuto con grande trepidazione non per questioni religiose, quanto perchè, di fatto, segna l'appuntamento con il Superbowl del wrestling professionistico, Wrestlemania.
L'edizione numero 31 dello storico franchise, la prima priva del numero - i capoccioni della WWE pensano che ormai l'età segnalata invecchi la manifestazione - rappresenta anche il nuovo passo della federazione per eccellenza dello sport entertainment nel futuro, considerato il network che ormai gestisce ogni trasmissione del panorama WWE bypassando le televisioni free e a pagamento - almeno, per ora, negli States e nel Regno Unito -.
Come sempre è un'emozione, anche quando, di fatto, è proprio l'emozione a mancare.




I primi ricordi consapevoli - c'erano stati Tiger Mask e Antonio Inoki, certo, ma ero troppo piccolo perchè rimanessero così impressi nella memoria - delle emozioni che poteva regalarmi il wrestling risalgono ormai a venticinque anni fa, quando, a seguito di un'annata strepitosa, il mio favorito di allora Ultimate Warrior sfidò, allo Skydome di Toronto, Hulk Hogan, forse il supereroe per eccellenza del quadrato, che al grande appuntamento di Wrestlemania non era mai stato sconfitto: un match epico, ancora oggi uno dei più belli della Storia del wrestling americano, che terminò proprio con la vittoria del mio preferito ed il passaggio di consegne tra i due volti della compagnia.
Le cose, poi, non andarono come previsto, e Warrior finì per essere protagonista di una carriera altalenante e scombinata chiusa proprio lo scorso anno con l'ingresso nella Hall of fame, avvenuta solo pochi giorni prima della morte, mentre Hogan rimase un'icona tra le più importanti dello sport entertainment.
Ma le emozioni non finirono in quell'ormai lontano millenovecentonovanta, ed il wrestling e Wrestlemania, edizione dopo edizione, hanno continuato a regalarmi momenti memorabili, vissuti da solo, con gli amici, con mio fratello, con Julez o il Fordino, che spero possa essere sempre più partecipe ed accompagnare i suoi vecchi in quello che sogno come festeggiamento ideale per quando compirò quarant'anni: acquistare il pacchetto completo per presenziare al weekend di Wrestlemania, e godere dalle prime file di quello che è stato uno dei giocattoloni più irresistibili che mi ha tenuto compagnia fin da bambino.
Peccato che, quest'anno, il prodotto WWE abbia patito di un raffreddamento del sottoscritto iniziato con l'abbandono della federazione da parte di CM Punk, convertitosi alle MMA e probabilmente mio numero due di tutti i tempi giunto ad un paio d'anni di distanza dal ritiro del numero uno, Shawn Michaels, che contro Undertaker aveva regalato due dei migliori incontri della Storia di Wrestlemania - se non i migliori - qualche anno fa, aggravato dalla gestione scellerata di alcuni giovani lottatori potenzialmente molto interessanti come quello che avrebbe dovuto essere il protagonista di questa 'Mania, Roman Reigns, che ricorda Khal Drogo, ha legami di parentela con The Rock e fino a qualche mese fa pareva destinato a raccogliere il testimone di John Cena, l'Hogan degli Anni Zero.
Peccato che rendere Reigns "imposto" come ai tempi fu Cena ha remato contro al ragazzo, fischiatissimo alla Rumble e letteralmente asfaltato da Brock Lesnar nel corso del main event, con quel "Welcome to suplex city, bitch!" che è immediatamente diventato un cult per gli appassionati di lungo corso come il sottoscritto: peccato che la frase di Lesnar - sicuramente uno dei più impressionanti interpreti di questa disciplina - sia stato uno dei pochi picchi di emozione di un'edizione discreta nel lottato ma davvero troppo piatta per essere Wrestlemania.
Certo, il colpo d'occhio del Levis Stadium ha del clamoroso, il bump preso da Dean Ambrose - lanciato da dentro a fuori ring su una scala colpita in pieno con il collo - spaventoso - incredibile sia uscito illeso -, l'incontro tra Sting e Triple H storico, la forma fisica di Undertaker tornata accettabile dopo lo scempio dell'anno passato, la sorpresa di Seth Rollins importante per preservare sia Lesnar che Reigns, eppure il brivido vero è mancato.
E non perchè il sottoscritto sia invecchiato, sia chiaro.
La speranza, dunque, è che il Superbowl del wrestling possa tornare a  stupirmi come fece in quella primavera di venticinque anni fa, e se proprio dovrò scontare qualche edizione "minore", spero che si conservino le cartucce migliori per quando sarò lì, tra le prime file, a vivere sulla pelle la magia di una disciplina che è stata, è e resterà uno spettacolo unico.
Suplex o no.



MrFord




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