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sabato 28 dicembre 2019

Ford Awards 2019: quello che non vedrete nelle sale italiane



Il terzo appuntamento con i Ford Awards è quello che, forse, è più cambiato nel corso degli anni: ai tempi in cui aprì il Saloon, questa classifica era dedicata a ciò che la scellerata distribuzione italiana ignorava, a tutto quello che noi della blogosfera sognavamo di vedere in sala e che, al contrario, finiva per dover essere recuperato per altre vie: ad oggi, invece, a fare la parte del leone in questa top ten sono le produzioni legate ai grandi network come Prime e Netflix, che negli ultimi anni hanno imposto una nuova realtà e un nuovo modo di concepire il Cinema lontano dalle poltroncine e dal buio in sala.


MrFord



N°10: TRIPLE FRONTIER di J.C. CHANDOR

Triple Frontier Poster

Apre la classifica, per l'appunto, un prodotto targato Netflix, firmato da un regista noto ai cinefili come Chandor e portato sullo schermo da un cast d'eccezione e dal grande richiamo sia per il pubblico maschile che femminile: un action thriller di stampo militare che riprende alcune atmosfere delle grandi serie sempre della scuderia Netflix - Narcos su tutte - e le mescola al tipico prodotto da adrenalina e amicizia virile che tanto funziona. 
In realtà non funziona proprio tutto, ma come prodotto d'intrattenimento fa decisamente il suo sporco lavoro.


N°9: LA NOTTE SU DI NOI di TIMO TJAHJANTO

La notte su di noi Poster

Altro giro, altra produzione Netflix. 
Il mitico Iko Uwais, nuovo volto del Cinema di botte orientale, è tra i protagonisti di una pellicola tosta e violenta che idealmente rientra nella grande tradizione che dall'Hard Boiled di John Woo ci ha portati ai due The Raid. 
Gli spunti buoni non mancano, le parti coreografate alla grande anche, forse si pecca un pò troppo in materia di aspettative - anche e soprattutto da parte degli autori - e manca la mano di qualcuno davvero in grado di fare la differenza - mi viene da chiedermi cosa sarebbe stato questo film in mano a gente come Jonnie To -: ad ogni modo, per chi ama il genere, un prodotto solido e affidabile.



N°8: HIGHWAYMEN - L'ULTIMA IMBOSCATA di JOHN LEE HANCOCK

Highwaymen - L'ultima imboscata Poster 

Altro prodotto di genere ed altro prodotto solido targato Netflix, che sfrutta due volti noti e amati dal pubblico come Harrelson e Costner per raccontare la storia di Bonnie e Clyde da un punto di vista mai portato sullo schermo prima, quello dei tutori dell'ordine.
Forse non un film per tutti, troppo classico per i radical e troppo lento per il pubblico occasionale, ma davvero una chicca per chi, come questo vecchio cowboy, si ricorda e molto bene di un certo Cinema made in USA, spigoloso e tosto ma dal respiro sconfinato come il territorio dove da sempre guardie e ladri, esercito e nativi, tutori dell'ordine e fuorilegge si combattono.


N°7: ANDRE THE GIANT di JASON HEHIR

Andre the Giant Poster

Per un appassionato di wrestling come il sottoscritto, un documentario incentrato su una delle prime figure che resero mitica questa disciplina agli occhi del Ford bambino è praticamente un rigore a porta vuota, specie se targato HBO e realizzato con criterio, voglia di raccontare ed una partecipazione emotivamente potente.
Se, poi, a tutto questo, si aggiunge lo spessore di un personaggio strabordante non solo per la stazza, un uomo che amava la vita ed amato da colleghi ed amici, il gioco è fatto: Andre, nato sulle montagne francesi e vittima del suo gigantismo, era un compagno solare e vitale, un bevitore da record - pare superò le cento birre una notte in Francia dopo un grande evento di wrestling - ed uno di quegli uomini che fino all'ultimo secondo afferra la vita a piene mani.
E questa passione si sente tutta.


N°6: DRAGGED ACROSS CONCRETE di S. CRAIG ZAHLER

Dragged Across Concrete Poster

Zahler, regista molto pulp e pure troppo clamorosamente ignorato dalla distribuzione italiana già noto a questa classifica - Bone tomahawk resta uno dei cult nascosti che ho più adorato negli ultimi anni -, torna alla carica con un poliziesco violento e pessimista, che sfrutta l'ormai attore feticcio del regista Vince Vaughn ed un sempre folle al punto giusto Mel Gibson, dal ritmo rarefatto e dall'escalation senza freni nel finale.
L'unica vera pecca di questo lavoro sta nel ricalcare in modo decisamente netto lo schema già usato da Zahler nel già citato Bone tomahawk e nel successivo Cell Block 99, finendo dunque, agli occhi dei fan più hardcore, per risultare un pò ripetitivo.


N°5: EL CAMINO di VINCE GILLIGAN

El Camino: Il film di Breaking Bad Poster

Per chi non lo sapesse, o fosse tanto scellerato da ignorarlo, Breaking Bad è stata una delle serie più importanti mai trasmesse sul piccolo schermo, e ancora oggi una delle tre che chiunque dovrebbe vedere almeno una volta nella vita.
A distanza di qualche anno dallo splendido finale con il quale si congedarono dal pubblico Walter White e Jesse Pinkman il creatore della serie Vince Gilligan ci mostra cosa accadde a seguito di quei fatti al più giovane della coppia di cuochi di metanfetamina più noti della tv: un thriller crepuscolare e malinconico ma non privo di speranza, arricchito da un paio di sequenze da antologia - il duello in stile western è una perla - e da una tensione ben tenuta, che ha il suo limite solo nell'apparire come merce esclusiva dei fan hardcore della serie.


N°4: THE DIRT di JEFF TREMAINE

The Dirt Poster

E a cavallo tra il Freddy Mercury di Bohemian Rhapsody e l'Elton John di Rocketman, a sorpresa giungono a divertire, sorprendere e colpire, pur se con una pellicola sopra le righe ed imperfetta come loro, i Motley Crue, band tra le più importanti dell'hair rock tamarro anni ottanta figlio degli eccessi e del larger than life senza limiti.
Una produzione alla quale non avrei dato due lire che, al contrario, si è rivelata genuina ed a suo modo magica nonostante si sia decisamente lontani dal Cinema d'autore e dalle produzioni che fanno gridare al miracolo gli appassionati ed i critici: una cosa pane e salame e molto rock come quelle che piacciono a me.


N°3: THE IRISHMAN di MARTIN SCORSESE

Risultati immagini per the irishman

E alla fine, anche un Maestro come Martin Scorsese è approdato alla corte di Netflix. Segno, probabilmente, che il Cinema inteso come grande distribuzione in sala sta cambiando, e che prima o poi dovremo tutti abituarci anche a queste nuove strade.
Il buon Marty, però, dal canto suo arriva a questo cambiamento portando sugli schermi una pellicola profondamente classica, non facilmente affrontabile per minutaggio e densità, che parte molto in sordina - io per primo ammetto di aver più volte pensato come mai ci fosse bisogno di una nuova versione di Quei bravi ragazzi e Casinò trent'anni dopo - ma che nel finale mostra tutta la grandezza del Cinema di Scorsese.
Certo, acclamarlo come fosse un miracolo come molti critici hanno fatto mi pare eccessivo, ma la potenza c'è ancora tutta.


N°2: CLIMAX di GASPAR NOE'

Climax Poster

Ho sempre avuto un debole per le sfide lanciate ad ogni pellicola di Gaspar Noè. 
Un autore molto di nicchia, molto radical, eppure passionale e "carnivoro" come solo qualcuno che adora vivere e raccontare può essere.
E Climax è un'espressione perfetta del suo Cinema estremamente tecnico eppure carnale, fisico, quasi porno, per certi versi, siano essi mentali o pratici: un lavoro ipnotico e caldo, che prosegue nella ricerca compiuta dall'autore nel corso della sua carriera, ennesima conferma del suo talento.


N°1: LORDS OF CHAOS di JONAS AKERLUND

Lords of Chaos Poster

Probabilmente da queste parti la vicenda che coinvolse e sconvolse la Norvegia per bene ai tempi di Euronymous e Burzum non è così nota, fatta eccezione per i fan più accaniti di un certo tipo di metal: una storia sanguinosa e decisamente agghiacciante, emblema di un disagio sociale cresciuto in seno ad una delle società più avanzate che si possano trovare ora sul pianeta.
Jonas Akerlund, regista nato con i videoclip ed appassionato di musica, porta in scena la versione "dall'esterno" della storia regalando momenti di critica sociale asprissima, grottesco tarantiniano, orrore puro, passaggi che hanno riportato alla mente del vecchio cowboy cose grosse come Henry pioggia di sangue.
Una pellicola da noi neppure distribuita e tremendamente sottovalutata, di una potenza davvero enorme. 


I PREMI

 
Miglior regia: Gaspar Noe per Climax
Miglior attore: Emory Cohen per Lords of Chaos
Miglior attrice: Sophia Boutella per Climax
Scena cult: l'omicidio di Euronymous, Lords of Chaos
Fotografia: Climax
Miglior protagonista: Jesse Pinkman, El Camino
Premio "lo famo strano": il cast di Climax
Premio "ammazza la vecchia (e non solo)": Burzum, Lords of Chaos
Migliori effetti: Dragged across concrete
Premio "profezia del futuro": Climax

lunedì 13 febbraio 2017

The founder (John Lee Hancock, USA, 2016, 115')




Ho l'impressione che tutti, quantomeno nei Paesi in cui è presente ed almeno una volta nella vita - compresi i radical che continuano a mostrare repulsione in confronto, quasi fosse una sorta di versione fastfoodiana di Trump -, abbiano mangiato da McDonald's.
Prima o dopo la serata Cinema, a tarda notte di ritorno da una bella sbronza, in vacanza perchè a corto di soldi, in compagnia quando si è ragazzi e non si hanno ancora l'età o i fondi per girare per locali, e così via.
Personalmente, pur adorando il mangiare sano e completo - di norma i miei pasti vanno dal primo al dolce, senza alcuna portata "saltata", adoro mangiare lentamente e mi godo gli alimenti di prima qualità, quando ci sono -, trovo il fast food e McDonald's - il suo simbolo - assolutamente utili e goduriosi, l'equivalente culinario di quelli che sono i film action tamarri, o le trashate che esaltano senza ritegno: di tanto in tanto, la voglia di schiaffarsi un bel menù come si deve con l'aggiunta di qualche extra mi prende alla gola, specie ora che, lontano dal lavoro e dalla grande città, sto perdendo i ritmi della pausa pranzo.
Nonostante questa mia "debolezza", non conoscevo la storia dietro una delle imprese commerciali di maggior successo al mondo, ovvero l'intuizione che portò, negli anni cinquanta dei grandi sogni e delle grandi opportunità made in USA, il venditore Ray Kroc a creare dalle fondamenta quello che, ad oggi, è un vero e proprio impero multimilionario.
Il lavoro di John Lee Hankcock, già noto per i più che discreti The blind side e Saving Mr. Banks, incensato da buona parte della critica e perfetto ritratto del lato oscuro dell'American Dream, affronta principalmente il tema del confronto tra l'arrivismo grintoso dei perseveranti e la dimessa genialità degli outsiders di talento, che per quanto depositari di idee e, per l'appunto, talento, non giungeranno mai al successo, e saranno dunque destinati a fare da cibo per i veri squali dell'oceano, i loro colleghi e competitors meno dotati ma più decisi.
Un ritratto senza dubbio ben congegnato e critico delle grandi speranze a stelle e strisce, che dietro alle possibilità ed ai sogni celano senza dubbio un sottobosco smisurato di disillusione ed impossibilità di emergere: la storia di McDonald's e di Ray Kroc, in un certo senso, mostra proprio questo. Il percorso di un predatore che non si fermerà di fronte a nulla e quello di due sognatori che hanno avuto la sola colpa di avere un'intuizione clamorosa senza saperla sfruttare, o quantomeno non farlo a scapito di determinati valori.
Avendo avuto esperienza di vendita, probabilmente potrei pensare di essere più simile a Kroc che non ai due fratelli McDonald, eppure comprendo bene - pur se rispetto ad altri ambiti - quanto scomoda sia la verità che dietro un sogno ci sia il fatto incontestabile che spesso e volentieri non abbia l'ultima parola il più talentuoso o chi si merita un successo, quanto chi ha inseguito lo stesso con la determinazione più ferrea e la capacità di osare anche quando si rischia, o si mette a rischio quello che di norma viene considerato, per l'appunto, un valore.
Un film onesto, dritto, importante per certi versi, che ha come unico difetto il fatto di essere uguale a molti altri che toccano le stesse tematiche, e senza dubbio proiettato - malgrado le mancate nominations - alla "zona Oscar": un film da artigiani con le contropalle, ma un film che resta espressione di determinazione e non di talento, supportato per gran parte da un Michael Keaton che pare vivere una seconda giovinezza dopo essere stato sottovalutato per troppi anni.
Curioso che sia proprio lui ad interpretare Ray Kroc.
Perchè uno come Keaton rappresenta alla perfezione quell'immensa categoria di geni votati all'insuccesso.




MrFord




 

mercoledì 23 aprile 2014

Saving Mr. Banks

Regia: John Lee Hancock
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 125'




La trama (con parole mie): P. L. Travers, zitella acida di mezza età ed autrice del best seller per ragazzi Mary Poppins, incontra più per necessità che per desiderio Walt Disney, che dopo vent'anni di corteggiamento pare finalmente essere ad un passo dalla realizzazione di un film dedicato proprio all'eroina creata dalla donna.
Il passato della stessa, legato al primo novecento in Australia e alla figura del padre, si mescola al presente ed alla realizzazione di alcune delle sequenze che, nel millenovecentosessantaquattro, resero celebre la versione cinematografica di Mary Poppins, frutto di una vera e propria battaglia tra il padre di Topolino e soci ed una scrittrice alla ricerca di se stessa.










Di recente - forse a causa dell'amore per la settima arte, che continua a portarmi, se possibile ogni giorno, davanti ad un nuovo film - mi capita spesso di apprezzare operazioni che rievochino, in qualche modo, il passato di questo mezzo meraviglioso e della sua magia: non troppi mesi or sono era capitato con Hitchcock, dedicato alla genesi di uno dei grandi Capolavori del Maestro inglese, ed una volta ancora avviene grazie a John Lee Hancock, che mi sorprese - in positivo - qualche anno fa con The blind side e che torna a portare a casa la pagnotta con un lavoro onesto e più che discreto dedicato a Mary Poppins ed alla sua costruzione, legata a doppio filo ad una vera e propria contrattazione sentimentale ed intellettuale tra Walt Disney e P. L. Travers, autrice del romanzo che per un ventennio circa negò i diritti cinematografici della sua più fortunata creatura onde evitare una snaturazione della stessa.
Dunque, dopo essere stato sorpreso dalla prima visione dedicata alla pellicola di Robert Stevenson che rappresentò uno dei più grandi successi di Walt Disney, nonostante la presenza di Tom Hanks e di un'atmosfera assolutamente patinata ho finito per ritrovarmi piacevolmente coinvolto anche da quest'opera di amarcord pronta a narrare, prima ancora del confronto tra il signor D. e la Travers il passato di quest'ultima e quanto lo stesso abbia significato rispetto alla creazione dei personaggi che sono stati il cuore e l'anima di Mary Poppins, a partire dalla bambinaia stessa.
Alternando passato e presente di narrazione, Hancock trascina il pubblico con il fare sapiente di chi è in grado di gestire l'emotività del blockbuster ed il mestiere del vero e proprio professionista, ricostruendo grazie a pochissimi accorgimenti la magia di un'epoca - i favolosi anni sessanta prima che giungessero il Vietnam e le prime ombre del dubbio a sfatare i miti - che ancora oggi riesce a regalare in chi la ritrova in un film il brivido dell'occasione pronta prima o poi ad arrivare, dei grandi sogni e del qualcosa che si avvererà, se si è disposti a credere nello stesso.
Coinvolgente e ben scritto, Saving Mr. Banks permette di assaporare, però, non soltanto un periodo unico della Storia della settima arte, ma anche l'entusiasmo, la fatica ed i dubbi che nascono e si sviluppano dietro il lavoro che noi, da pubblico, osserviamo meravigliati in un paio d'ore seduti comodamente su una poltrona in sala, ma che, di fatto, hanno significato mesi - e a volte anni - di confronti, sacrifici, risate e lacrime di talmente tante persone da non riuscire quasi a contarle, titoli di coda oppure no.
Qualcosina finisce per perdersi nel racconto dedicato al passato della Travers - che pare una versione in minore di Neverland -, ma il risultato finale convince e raccoglie bene il testimone dello stesso Mary Poppins, sfruttando i sentimenti e la propensione al lieto fine come stimoli per rendere il cocktail servito non zuccheroso o retorico, quanto, paradossalmente, molto reale nel suo essere debitore alle speranze e ai sogni.
Con tutti i loro difetti - veri o presunti che siano - il marchio e la filosofia Disney hanno contribuito a rendere il Cinema quello che è oggi e che noi tutti che ne scriviamo ed usufruiamo finiamo per amare, e perdendosi in questa visione come in una visita ad un parco giochi in grado di farci tornare bambini l'impressione che si riceve è quella che Hancock abbia reso onore al suo mestiere alla grande, e seppur non portando sullo schermo un titolo memorabile o destinato a restare nella Storia come quello che l'ha ispirato abbia saputo interpretare la stessa magia che ha reso possibile la creazione di molte delle pellicole ora considerate cult, o qualcosa in più.
Per quanto mi riguarda, questo significa amare davvero il Cinema.
E da Saving Mr. Banks traspare principalmente questo.




MrFord



"E' supercalifragilistichespiralidoso 
anche se ti sembra che abbia un suono spaventoso 
se lo dici forte avrai un successo strepitoso 
supercalifragilistichespiralidoso."
Robert Sherman - "Supercalifragilistichespiralidoso" -
 
 
 
 
  

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