Steven Spielberg è uno dei registi cui ho più voluto bene nel corso degli anni della mia formazione da cinefilo: emblema del Cinema americano nel senso più pieno e "meraviglioso" del termine, dalla fantascienza all'avventura, dalla malinconia alle risate, dal dramma alla commedia, il papà di E.T. è stato una delle certezze sulle quali ho costruito l'amore per la settima arte a stelle e strisce, in barba a tutti i radical che per partito preso ancora oggi la osteggiano.
Peccato che, nel corso degli anni, complici forse il compiacimento ed alcune scelte discutibili, anche lui sia incappato in una serie di pellicole davvero difficili da giudicare per chi l'ha amato: il primo passo lungo questo funesto cammino fu compiuto, per quanto mi riguarda, dal terribile La guerra dei mondi, girato al servizio del divismo di Cruise - che pur è uno dei miei favoriti - nella sua accezione peggiore, per continuare con produzioni di una retorica vomitevole - War Horse -, di una noia mortale - Lincoln - o, più semplicemente, brutte - Il GGG -.
Alle spalle la discreta prova de Il ponte delle spie e con all'orizzonte il potenziale cult che potrebbe essere Ready Player One, lo Stefanone porta in sala una pellicola dal sapore New Hollywood accolta molto bene in patria e pronta a dare battaglia su più di un fronte alla prossima Notte degli Oscar, contando su una solida base tecnica ed un gruppo di veterani decisamente nei favori dell'Academy, da Tom Hanks a Meryl Streep.
Come se non bastasse, sulla carta The Post tocca tematiche molto stimolanti per il sottoscritto, dall'indagine giornalistica alla storia vera, passando per la lotta per la libertà di stampa, uno dei diritti fondamentali della società civile: eppure, lo ammetto, sono uscito dalla visione, purtroppo, frastornato da una freddezza e da una noia di fondo decisamente troppo pesanti per poter considerare questo lavoro come una prosecuzione del cammino del già citato Il ponte delle spie.
Rispetto, infatti, ad un'opera come L'ora più buia - ascrivibile alla stessa tipologia di prodotti quasi pensati per l'Academy -, l'apporto emozionale di The Post è paragonabile a quello di una lastra di ghiaccio sulla quale organizzare un bel giaciglio di fortuna in una serata d'inverno, non proprio il luogo più piacevole in cui si desidererebbe trascorrere una notte in questo periodo dell'anno: senza, dunque, mettere in discussione l'impianto tecnico e scenico, ho finito per considerare The Post come una sorta di versione molto in minore di pellicole di riferimento come Tutti gli uomini del Presidente, un tentativo fuori tempo massimo di presentare un Cinema "di denuncia" che risulta, però, anacronistico rispetto ai tempi e poco simpatico rispetto a tutto il pubblico nato dopo l'epoca in cui si sono svolti i fatti narrati, e forse perfino a quelli che l'hanno vissuta.
Certo, il cast pare un ingranaggio oliato in tutte le sue parti, montaggio, fotografia e ricostruzione sono impeccabili, la forma confezionata nel miglior modo possibile, eppure non solo manca una vera e propria escalation, o una scena madre che rappresenti l'apice della pellicola, ma il tutto assume i connotati della mera operazione stilistica priva di qualsiasi necessità di raccontare una storia che, anche a fronte di spunti interessanti, finisce per ammazzare la storia stessa.
Per essere, dunque, un racconto - o un resoconto, considerato che parliamo di reali accadimenti - costruito per esaltare la libertà di espressione, opinione, stampa e pensiero, l'impressione che ho avuto è stata quella di un esercizio di stile controllato e precisino - non nel senso buono -, di quelli che i secchioni della classe portano a termine per compiacere il professore di turno.
E questo non è certo combattere il Potere come fecero gli uomini e le donne mostrati in questo film.
MrFord