martedì 11 gennaio 2011

San Francisco

Trascorsi i fasti dell'indimenticabile stagione del muto il Cinema americano visse, a mio parere, due grandissime epoche di produzioni stupefacenti, la prima simboleggiata dall'apice che fu Via col vento - prima o poi ne scriverò di sicuro, sappiate che lo considero uno dei grandi Capolavori irrinunciabili della settima arte -, la seconda che giunse nel pieno degli anni cinquanta e coinvolse grandi operazioni "commerciali" - Ben Hur docet - ed autori imprescindibili - Billy Wilder, tanto per citarne uno -.
San Francisco, calzante espressione della prima di queste due età dell'oro, è il perfetto esempio di quanto possa significare il termine classico: un intreccio abilmente orchestrato di commedia e dramma, effetti speciali strabilianti - non solo per l'epoca -, grandi temi e forti emozioni, il tutto condito da un finale corale che richiama, pur se, certo, attraverso un linguaggio meno raffinato, la cultura americana del self-made e il dramma umano di Furore - altra opera assolutamente necessaria ad ogni appassionato di Cinema, e non solo -.
Clark Gable, nel ruolo - che gli calza a pennello - del proprietario di locale un pò guascone e un pò farabutto, sguazza nell'intrigo romantico che vede il suo alter ego Blackie innamorarsi progressivamente di Mary, cantante di provincia giunta a San Francisco senza nulla in tasca, eccetto i sogni di gloria, battendosi - seppur solo spiritualmente - con il ricco mecenate Burley, che vorrebbe la ragazza star del teatro dell'opera nonchè sua sposa.
L'intreccio sentimentale funge da cornice a quella che è, a tutti gli effetti, una profonda dichiarazione d'amore ad una delle città più note degli States, complessa e stratificata, sordida e casta, impeccabile come le case in collina dell'aristocrazia ed ammiccante come i locali ribollenti fumo e ballerine della Costa dei barbari: il tutto, fino al tragico evento che distrusse Frisco nel 1906, un terremoto di proporzioni bibliche - giusto per citare i Ghostbusters, anche se non c'entrano nulla in un contesto come questo - che originò un incendio che dovette essere domato demolendo gli edifici più vicini alle fiamme in modo che le esplosioni ne arrestassero l'avanzata, data la carenza d'acqua originata dai danni alle tubature provocati dal sisma stesso.
La sequenza del terremoto, improvvisa e sconvolgente, arricchita da un montaggio vertiginoso, riesce a sconvolgere anche lo spettatore moderno, figlio del 3D e degli effetti digitali: il senso della tragedia e della sua ineluttabilità sono resi con perizia ed abilità incredibili dal regista e dai tecnici, e l'avanzata di Blackie alla ricerca di Mary nel cuore della città straziata è una pagina memorabile del Cinema da grande pubblico dell'epoca.
Peccato per il climax che conduce alla conclusione, viziato dalla conversione alla fede del personaggio interpretato da Gable, grato a Dio per aver ritrovato la sua Mary sana e salva nonostante la tragedia appena avvenuta: Blackie, con la sua sprezzante durezza tutta umana, convinto che i successi e le cadute della vita siano soltanto da imputare a noi stessi, senza un Dio che giustifichi o salvi, risultava essere un personaggio attuale e credibile, reso ancor più interessante dal confronto con Padre Mullin - interpretato da un sempre granitico Spencer Tracy -, amico d'infanzia che abbandonò le strade per farsi prete e che lo sregolato Blackie aiuta economicamente e in termini di mezzi e sacrificio anche fosse solo per dimostrare la differenza fra il contributo di una preghiera e quello di un amico importante e sempre presente.
La stessa conclusione, trionfo, come detto, del made in Usa, a metà fra Il quarto stato, The rising di Bruce Springsteen e - purtroppo - l'atmosfera da boyscout e preghiera, ricorda, visivamente, l'omaggio che Scorsese rese alla grande mela - altra storica città statunitense, come e forse più della stessa San Francisco - con il suo Gangs of New York, non riesce ad essere emozionante come dovrebbe a causa di un'atmosfera quasi propagandistica.
Resta negli occhi la meraviglia di un Cinema come, purtroppo, non si fa quasi più, e nel cuore la certezza che, tra Blackie e Mullin, di sicuro sarò sempre dalla parte di Blackie.
E farò tutto quanto è in mio potere per evitare, nel corso della mia personale pellicola, di chiedere alla religione una risposta per la vita, o un'interpretazione della Fede.
Perchè qui, dalle mie parti, la Fede è Passione.
E non esiste che ti vengano a dire come debba essere tradotta, o vissuta.
Diceva un signore che si chiamava John Milton: "Better to reign in hell, than serve in heaven".
Sottoscrivo in pieno.


MrFord


"All across the nation such a strange vibration,
people in motion
there's a whole generation with a new explanation,
people in motion, people in motion."
Scott McKenzie - "San Francisco" -

4 commenti:

  1. Ma un film più abbordabile no?
    Quanto sei radicalchicchissimo!

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  2. Non è radical chic per niente!
    Se vuoi lo rivediamo insieme! :)

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  3. Devo vederlo! Adoro il cinema di quel tempo!
    The Philadelphia Story, It happened one night e tutti gli altri!

    Ultimamente ho scoperto Max Ophüls (era ora, lo so) e ho aggiunto una perla in più alla collezione. :)

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  4. I Classici sono una mia passione, e l'atmosfera di quei tempi ha sempre una grande presa, su di me.

    Ophuls è un grande, ma ce ne sono tantissimi, sia in Europa che negli States, che tra il '30 e il '60 hanno fatto cose "che noi umani non possiamo neppure immaginare", per usare un espressione dei nostri tempi. :)

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