lunedì 3 gennaio 2011

Uno studio in rosso

Inizio il 2011, curiosamente, con un romanzo, e non con un film.
In un certo senso, l'anno appena trascorso è stato importantissimo, in questo senso, per il sottoscritto, perchè con il trasloco e il conseguente pendolarismo ho riscoperto il piacere della lettura di quantità - oltre che di qualità -, che mancava dai tempi della scuola.
Così inauguro la nuova annata con il primo dei romanzi che Conan Doyle dedicò alla sua creatura più famosa, quello Sherlock Holmes passato dalla pagina scritta al grande schermo ormai decine di volte e in versioni anche molto diverse tra loro - dall'interpretazione di Miyazaki all'incarnazione giovanile di Piramide di paura, per giungere fino a Robert Downey Jr. -: in realtà, è curioso quanto il ruolo di Watson, spesso bistrattato appena messo il naso fuori dai romanzi, sia importante nelle scelte stilistiche e nelle vicende narrate, e non soltanto perchè è proprio il buon dottore a farsi carico di rendere partecipe il lettore delle avventure del suo impareggiabile amico Holmes, ma anche e soprattutto per il ruolo di completamento che, come in tutte le migliori coppie, Watson svolge dando equilibrio alla figura sicuramente meno stabile dell'intuitivo ed umorale Sherlock.
Ricordo che lessi Uno studio in rosso alle medie, tant'è che è stata, questa, un'occasione per riscoprirlo quasi fosse la prima volta, anche perchè non ricordavo pressochè nulla se non il primo omicidio e la scritta con il sangue sulla parete che da ai nostri eroi l'ispirazione di chiamare il caso "Uno studio in rosso", per l'appunto.
In particolare, e molto più dell'indagine e della rappresentazione della brumosa Londra vittoriana, sono rimasto colpito dal lungo racconto nel racconto che segue la cattura dell'omicida, avvenuta - apparentemente assai prematuramente - a metà del romanzo: una divagazione che, pagina dopo pagina, diviene perfettamente funzionale rispetto all'evoluzione della vicenda, capace di dimostrare l'abilità di Conan Doyle di confrontarsi anche con un genere che ricorda quasi più il western che non il giallo d'avventura, e soprattutto in grado di toccare temi universali e sempre coinvolgenti quali amore e vendetta, filtrati da una per nulla velata ostilità nei confronti dell'autorità della Chiesa, di qualunque credo o confessione si tratti.
Il personaggio di Jefferson Hope, inoltre, conquista passo dopo passo il palcoscenico passando da selvaggio e rubizzo omicida a eroe romantico e disperato, divenendo il protagonista assoluto del crescendo di tensione del racconto seguito alla sua cattura e culminato con la fine del suo viaggio, sui segni di un sorriso comparso sul viso segnato da una vita consacrata alla caccia ai responsabili della morte della sua amata.
Una storia che ha poco, dunque, del racconto alla Agata Christie o di genere, ma che si inserisce molto più naturalmente nella grande tradizione della letteratura romantica.
Ci sarà spazio con i romanzi successivi per approfondire il rapporto fra Holmes e Watson e i loro caratteri: nel frattempo, è davvero un piacere godersi quello che, a tutti gli effetti, è un classico per antonomasia.


MrFord


"I want vengeance and I want it now,
I want vengeance, gonna get it somehow."
Dropkick Murphys - "Vengeance" -

2 commenti:

  1. Della saga di Sherlock ti consiglio "Il mastino dei Baskerville",decisamente più "classico" dello studio in rosso che mi ha lasciata un po' perplessa nonostante mi abbia affascinata a tal punto da continuare l'approfondimento di questo incredibile personaggio! Io fortunatamente sono riuscita a procurarmi il mammuth della Newton, "Tutto Sherlock Holmes" in super-offerta.
    P.S. L'interpretazione di Guy Ritchie del personaggio è stata considerata rivoluzionaria ma un lettore attento di Sherlock sa che tutti i tratti dello Sherlock interpretato da Robert Downey Jr. erano già presenti nei romanzi di Doyle ma non filtrati dalla tradizione tramandata nella cultura popolare del personaggio.

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  2. Il mastino è forse il romanzo più intenso e classico del vecchio Conan, lo lessi una vita fa, ma tra non molto ci tornerò sopra.
    Concordo su Guy Ritchie e il suo Sherlock, anche se io sono rimasto profondamente legato alla versione "apocrifa" di Piramide di paura, che da bambino mi inchiodava letteralmente alla poltrona.

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