Visualizzazione post con etichetta Uli Edel. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Uli Edel. Mostra tutti i post

venerdì 16 giugno 2017

Houdini (History Channel, USA/Canada, 2014)






Una delle figure senza dubbio più affascinanti e mitiche del primo Novecento, quantomeno secondo il sottoscritto, è quella di Harry Houdini, padre di tutti gli illusionisti ed esperti della fuga nonché fonte d’ispirazione per alcune pellicole che adoro alla follia come The Prestige.
Ebreo ungherese d’origine ed americano d’adozione, Harry Houdini lavorò prima ancora che sui trucchi sulla sua prestanza fisica, allenando duramente i muscoli in tutto il corpo ed in particolare nella fascia addominale, avvalendosi poi del contributo della moglie nonché assistente e di un tecnico in grado di fornire alcuni tra i numeri più incredibili del tempo – e non solo – come quello della tortura cinese dell’acqua o della scomparsa di un elefante.
Qualche anno fa, History Channel – e in Italia DMAX – portarono sul piccolo schermo un prodotto decisamente interessante con protagonista il notissimo Adrien Brody che raccontasse non solo l'esistenza – e la morte – di Houdini, ma anche e soprattutto la tentazione che il rischio della propria vita rappresentava per il popolarissimo artista, che passò dal vaudeville al Cinema, pilotò aerei e si gettò dai ponti dentro fiumi ghiacciati incatenato per apparire, ogni volta, miracolosamente, salvo di fronte al suo pubblico.
Curioso che, tra una grande impresa e l’altra, correndo sul filo per tutti i cinquantadue anni che visse, Houdini trovò la morte proprio a causa dei suoi leggendari addominali, quando un colpo dato di sorpresa – e dunque impossibile da affrontare preparato come spesso faceva, spavaldamente, l’illusionista, che invitava il suo pubblico a colpirlo con un pugno proprio sulla fascia muscolare tanto celebrata per provarne la forza – gli ruppe l’appendice causando un’infezione della quale ci si accorse troppo tardi proprio a causa della resistenza al dolore dell’illusionista, che non si rivolse immediatamente ad un medico finendo per aggravare oltre misura la sua condizione.
Ma prima che si giunga a questo, il lavoro di Uli Edel e di History Channel si concentra sul legame tra il grande artista e sua moglie, quello ancora più forte con la madre e soprattutto la necessità che lo stesso aveva di sfidare la morte, sia sul palcoscenico che nei panni di persecutore di medium e spiritisti – dopo la morte della genitrice, Houdini fu attivissimo nello smascherare quelli che lui considerava avvoltoi pronti a sfamarsi del dolore della gente -, descrivendo nel frattempo un uomo appassionato, un personaggio romanzesco che – e non ero al corrente di questo suo lato, benchè fan dell’Houdini illusionista – si cimentò anche nello spionaggio internazionale grazie proprio alla sua fama ed agli spettacoli che lo portarono a viaggiare in tutto il mondo.
Una produzione televisiva, dunque, perfetta per i fan del mago ma comunque di qualità più che discreta, in grado di ricordare produzioni ben più grandi come La vera storia di Jack lo Squartatore o lo Sherlock Holmes di Guy Ritchie e, nonostante la presenza costante della voce
off del protagonista e narratore, scorrevole ed avvincente, pronta a mostrare uno spicchio di un’epoca a tratti oscura eppure ricca di fermenti e cambiamenti che furono nel bene e nel male mitici.
Interessante anche l’interpretazione di Brody, sorprendentemente simile – naso a parte – all’Houdini originale, così come la rivelazione di alcuni trucchi utilizzati dall’illusionista per compiere le sue straordinarie evasioni: l’utilizzo, in questo senso, della stessa tecnica di “vedo non vedo” sfruttata da Nolan nel già citato The Prestige, rende ancora più interessante un’arte ormai passata inevitabilmente di moda rispetto al Cinema ed alle nuove tecnologie ma straordinariamente affascinante, anche perché “quello che l’occhio crede, crede anche la mente”.
Se, a questo, si aggiunge la ricerca dell'evasione di Houdini, e la consapevolezza del fatto che, tentativi e bravura a parte, nessuno di noi sfuggirà mai alla prigione definitiva, il gioco è fatto.
In un certo senso, l’importante è che chi ci ama finisca per non liberarsi di noi neppure di fronte a quello.
Trucco oppure no.



MrFord



 

martedì 1 novembre 2016

Pay the ghost (Uli Edel, Canada, 2015, 94')






Non troppo tempo fa, quando ho scoperto che l'improbabile coppia Uli Edel - regista del cult generazionale Christiane F. - e Nicholas Cage si era unita per generare un'apparentemente agghiacciante e trash ghost story halloweeniana distribuita in Italia proprio in vista della festività autunnale, ammetto di aver esultato, pur se solo dentro di me.
L'idea di potermi confrontare con un involontario equivalente di uno Sharknado versione tutta zucche e fantasmi esaltava non poco, e le prime recensioni agghiacciate avevano lasciato sperare per il meglio: peccato che, pronti via con la visione, non solo ho finito per scoprire che, almeno per tutta la prima metà, a parte la ricostruzione da studio e gli effetti speciali da discount il prodotto non risultava poi così male, quantomeno rispetto alla media delle produzioni horror scarse degli ultimi anni, ma che i suoi punti a (s)favore più grandi risiedevano nella totale mancanza di originalità della trama e nelle corse dello stesso Cage, che probabilmente appesantito dal casco che porta in testa per ricordarsi di quando ancora aveva i capelli riesce a mostrare una mobilità che pare un ibrido del Dolph Lundgren di Battle of the damned e del Liam Neeson di Taken, non proprio due Usain Bolt per velocità ed eleganza.
La visione, in questo senso, è risultata talmente standard e tranquilla che, se non fosse stato per un paio di jump scare che hanno fatto saltare Julez sul divano mi sarei fatto travolgere dalla stanchezza di una giornata con entrambi i Fordini a casa - essendo un sabato diviso tra piscina, pranzo dalla nonna e pomeriggio di giochi le cui fondamenta si sono basate su una sveglia alle sei e mezza del Fordino che non ha più voluto saperne di tornare a letto - e avrei liberato una bella e vigorosa pennica pre-nanna.
Fortunatamente per me e le mie aspettative l'ultimo terzo della pellicola - come spesso accade con le proposte del genere, del resto - è risultato davvero brutto, pur se lontano dalle vette che speravo il buon Nicola Gabbia mi aiutasse ad esplorare una volta ancora grazie a quella sua espressione spiritata da cocaina secca ed il tono sempre un paio di livelli oltre quello di guardia del sopra le righe: a conti fatti, comunque, Pay the ghost altro non risulta se non l'ennesima ghost - per l'appunto - story senza infamia e senza lode in cui lo spirito cattivo reso tale da un "hybris" per nulla morta e sepolta se la prende come di consueto con i bambini rendendoli ad un tempo vittime e strumenti inquietanti della sua vendetta fino a quando lo stesso spirito non finisce per incrociare il cammino di una famiglia in cui il padre, la madre o se ha sfortuna entrambi finiscono per essere spaccaculi di professione o pronti a scoprirsi tali, e finiscono per suonargliele e cantargliele di santa ragione.
Una quasi delusione, dunque, che sfata il possibile mito di una proposta "di paura" resa mitica dal buon Cage e dal suo parrucchino selvaggio alle prese con uno spirito maligno e trasforma il tutto in una visione assonnata e tranquilla come se si trattasse di un horror qualsiasi: fortunatamente, se ripenso a quei geniali, incredibili momenti in cui il protagonista corre disperato alla ricerca del figlio scomparso - va detto, la sequenza della sparizione del bimbo è riuscita addirittura a ricordarmi quella della ben più drammatica The Missing - con la mobilità di un trattore con le gomme sgonfie, tutto sembra d'improvviso migliore.
E non c'è fantasma che possa risultare più agghiacciante.




MrFord




Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...