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mercoledì 5 aprile 2017

Life - Non oltrepassare il limite (Daniel Espinosa, USA, 2017, 104')





La fantascienza "di sopravvivenza", con i suoi mostri che paiono predatori inarrestabili, gli ambienti claustrofobici ed ostili e la grande atmosfera è nel mio cuore di spettatore fin dai tempi di Predator ed Alien, due supercult responsabili di una passione che non si è mai sopita negli anni, e che accanto ad alcune delusioni ha finito per portare in dono anche piccole chicche come Europa Report o Sunshine.
All'uscita di questo Life, che pareva la versione horror del recente dramma romantico siderale Passengers, ho finito per storcere il naso all'idea dell'ennesima produzione che vedeva un gruppo di astronauti di diverse nazionalità - in stile barzelletta - affrontare l'ennesimo alieno pronto a fare polpette di tutti quanti, specie considerata la presenza nel cast di Ryan Reynolds - il re delle pippe - e di Daniel Espinosa in regia, che certo negli anni non ha stupito con i suoi precedenti Safe house e Child 44.
Ed in effetti, Life risulta assolutamente derivativo, poco originale, vicino al deragliamento amoroso e patetico - fortunatamente evitato - prima della lotta finale, prevedibile e purtroppo segnato da un finale aperto, eppure, in qualche modo, ho trovato che abbia fatto il suo onesto lavoro, intrattenendo e tenendo la tensione alta per tutta la durata grazie al tentacolare Calvin ed ai malcapitati - ed in un paio di casi decisamente coglioni per essere scienziati - astronauti, stimolando la classica riflessione legata al rischioso osare della scienza e regalando almeno un paio di sequenze davvero tirate ed un piano sequenza in apertura molto interessante, considerata la "gravità zero".
Il rischio, da appassionati di questo genere, è che il lavoro di Espinosa risulti fastidioso proprio per la sua banalità, ma ammetto che, scendendo senza problemi e con la benedizione del pane e salame dal piedistallo, Life saprà tenervi attaccati alla poltrona - e vi assicuro, ho affrontato la visione al termine di una giornata di quelle in cui i Fordini finiscono per ridurmi ai minimi termini aumentando esponenzialmente le possibilità di crollo verticale tra le braccia di Morfeo del sottoscritto - dall'inizio alla fine, riuscendo in un'impresa che di recente è difficile vedere anche solo parzialmente portata a casa dai survival horror.
Peccato, a prescindere dalla fantascienza, per l'interpretazione forse meno sentita ed incisiva di sempre di Jake Gyllenhaal, uno dei giovani attori più promettenti del momento.
Nel caso in cui, al contrario, appassionati di mostri spaziali ed affini non siate, il tutto potrebbe invece addirittura apparirvi decisamente interessante, a prescindere dal fatto che basterebbe tornare indietro di una trentina d'anni perchè Ridley Scott e John McTiernan possano dare lezioni ad Espinosa ad occhi chiusi: a volte, comunque, il Cinema è anche questo.
L'originalità è una meraviglia, ed è il pepe della vita da appassionato - che si parli di settima arte, oppure no -, ma di tanto in tanto basta rilassarsi e salire sulla giostra senza pretese che ci ritroviamo di fronte, pronti ad un viaggio che potrà non essere memorabile, ma che senza dubbio risulterà divertente.
E tanto basta.
Se, poi, dovessi un giorno incontrare un alieno predatore senza alcun freno come Calvin, beh, potrò dirmi fortunato: aver visto questi film così simili tra loro qualche vantaggio me lo dovrà pur dare.




MrFord





martedì 18 marzo 2014

47 ronin

Regia: Carl Rinsch
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 118'





La trama (con parole mie): Kai, un mezzosangue in fuga sbucato dal nulla, è accolto da Lord Asano, un signore del Giappone feudale, e cresciuto da quest'ultimo come un figlio accanto alla sua stessa erede Mika. Anni dopo, divenuto uomo, Kai assiste alla caduta del suo signore, ingannato dal senza scrupoli Kira, che ha al suo servizio una strega ed un soldato di enormi e terrificanti dimensioni. Divenuto un ronin, "senza padrone", Kai si rifugerà nella parte oscura della sua Natura fino a quando Oishi, comandante dei samurai di Asano, non radunerà i suoi vecchi compagni e si prodigherà per cercarlo in modo da soddisfare la sete di vendetta dei quarantasette guerrieri figli dei territori occupati nel frattempo da Kira.
La lotta dei ronin contro l'usurpatore metterà sul piatto non solo la salvezza e la libertà delle terre contese, ma anche la vita dei suoi stessi protagonisti, che pur di fronte al successo potrebbero essere giustiziati dallo Shogun per aver infranto la legge.







L'antico Giappone, con i suoi spiriti, le leggende ed i reali accadimenti legati all'affascinante epoca feudale, ha da sempre esercitato un fascino notevole sull'Occidente fin dai tempi della sua riscoperta, e per il Cinema - nipponico e non - ha rappresentato una miniera d'oro di idee e rappresentazioni seconda, forse, soltanto a quella della Frontiera del West.
Dai Classici "di casa" firmati Kurosawa fino alle strizzate d'occhio hollywoodiane - L'ultimo samurai, su tutte -, senza dimenticare le perle d'animazione dello Studio Ghibli e tutto l'immaginario legato al Fumetto, il mondo dei samurai ha aperto le sue porte al pubblico senza, di fatto, passare mai di moda, finendo per essere addirittura contaminato da generi paralleli come il pulp - ci riuscì con risultati più che discreti RZA lo scorso anno, con L'uomo dai pugni di ferro -: la storia dei quarantasette ronin, una vera e propria istituzione della Storia giapponese - che ammetto di aver riscoperto giusto in occasione di questa visione -, si inserisce perfettamente in questo contesto, e seppur rivisitata con un gusto, un piglio ed inserimenti - la figura del mezzosangue interpretato da Keanu Reeves - tipicamente a stelle e strisce continua a mantenere intatto il fascino che stregò perfino un Maestro come Kenji Mizoguchi, che nel millenovecentoquarantuno regalò al Cinema la sua interpretazione della vicenda, anticipando di fatto quelli che sarebbero stati I sette samurai firmati dal già citato Kurosawa.
Ora, rispetto ai lavori di questi grossi calibri della settima arte, 47 ronin risulta poco più di una robetta fantasy dal gusto esotico pronta a lasciare in bocca il sapore del dubbio rispetto ad un esperimento "fusion" nello stile di quei ristoranti jappo soltanto per insegna e design: eppure il lavoro dell'onesto mestierante Carl Rinsch, praticamente uno sconosciuto, non sfigura troppo, e per essere un fumettone dalle aspirazioni mangiasoldi figlio della grande industria hollywoodiana evita con discreta perizia almeno le trappole più grosse celate da queste occasioni.
Nonostante, infatti, la tipica aura da "onore o morte" figlia dei dettami del Bushido - un pò troppo spesso, nel corso del tempo e dalle culture lontane dall'Oriente, presa alla lettera o deformata -, la retorica è tenuta a bada da uno script tutto sommato sotto le righe, che trasforma esempi splendidi come quelli forniti dai due ottimi lavori di Miike 13 assassini e Death of a samurai in un giocattolo senza pretese ma con una discreta onestà di fondo, che ricorda un certo tipo di manga figli degli anni novanta - o al massimo dell'inizio del Nuovo Millennio - ed unisce questi ultimi proprio al gusto sopra le righe che soltanto i nipotini di Zio Sam conoscono così bene, trasformando una storia di vendetta low profile nella consueta battaglia che mescola amore - fortunatamente non coronato, e scusate lo spoiler -, ribellione rispetto al potere costituito ed una volontà ferrea annunciata a gran voce in uno scontro finale che è tipico dei film fracassoni, e che di fatto rappresenta la parte meno riuscita della pellicola - insieme alla parentesi dedicata ai Tengu, creature magiche figlie della mitologia locale, a mio parere mal rappresentate in termini di effetti e trucco -, più interessante nei momenti legati alla fratellanza tra compagni di lotta e all'evoluzione del rapporto tra Kai, di fatto un reietto della società, ed il resto dei ronin, divenuti reietti a seguito del tradimento subito dal loro Signore, che a sua volta fu disposto ad accettare un destino avverso.
In questo senso risultano interessanti le riflessioni nate a proposito delle scelte di questi guerrieri unici, che ancora oggi riescono ad affascinare platee di tutto il mondo e figlie di culture anche diametralmente opposte alla loro - americani in primis -, così come il modo in cui il pubblico giapponese potrebbe guardare ad un prodotto di questo tipo, figlio di una storia profondamente radicata nel suo Paese eppure interamente prodotto e recitato - perfino dagli attori nipponici - come un titolo made in USA a tutti gli effetti.
Ma non vorrei dare una profondità eccessiva a quello che, di fatto, resta un divertissement senza pretese: godetevelo senza troppi pensieri, perchè in fondo non tradisce troppo la sua Natura e riesce a rendere il genere perfino più sopportabile di quanto non si possa credere anche rispetto a chi non ne è di certo avvezzo.
Un pò come trasformare un gruppo di disprezzati "senza terra" in nobili esempi cui viene reso omaggio ancora oggi ogni anno.




MrFord




"You'll die as you lived
in a flash of the blade,
in a corner forgotten by no one
you lived for the touch
for the feel of the steel
one man, and his honor."
Iron Maiden - "Flash of the blade" - 




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