- Non è facile, per i serial di successo, riuscire a mantenere uno standard qualitativo medio/alto senza avere cali fisiologici di qualità, soprattutto nel corso di cavalcate che superano le quattro stagioni. Ed è ancora meno semplice riprendersi dopo uno di questi cali. Orange is the new black, produzione Netflix dedicata alla popolazione carceraria femminile di un carcere di minima sicurezza del Jersey pareva essere giunta proprio al punto del non ritorno: perchè se la quarta era stata una stagione notevole, la quinta aveva presentato il conto.
- Nonostante le premesse certo non buone che lasciavano presagire il lento spegnimento di uno dei titoli più amati negli ultimi anni dal popolo del piccolo schermo, Piper e compagne sono tornate in piedi e molto bene, regalando tredici episodi che cambiano molte carte in tavola rispetto alla geografia carceraria di Litchfield, presentano nuovi e riuscitissimi charachters - da Baddison alle sue sorelle folli - e ne ridefiniscono di vecchi - Daja, per citarne una -.
- Nonostante una partenza surreale con tanto di intro di Suzanne - che fatico sempre a reggere per lunghi periodi - il racconto corale funziona, e pur perdendosi di tanto in tanto le sfumature riesce a fotografare benissimo le ansie, i disagi, le lotte, le speranze e tutto quello che possiamo buttarci nel mezzo da umani attraverso i volti e le vicende di queste donne, diventando potenziale simbolo di un periodo in cui un passo dopo l'altro anche l'altra metà del cielo pare conquistare lo spazio che avrebbe sempre meritato nella società e non solo.
- Taystee, simbolo della "parte pulita" della rivolta della stagione precedente e ricordo vivente dell'indimenticabile Pussey, regala i momenti più toccanti e alti della stagione insieme al tesissimo season finale ed all'ennesima conferma della validità del personaggio di Joe Caputo, una sorta di Sam Sylvia di Glow in versione Goonie.
- Sempre nell'ottica della scrittura dei personaggi, interessanti, oltre all'evoluzione di Daja, quelle di Nichols e Pennsatucky: non è semplice riuscire a gestire, in spazi anche ridotti - del resto è giusto che tutte abbiano la loro vetrina - cambiamenti più o meno importanti, e rendere vivi charachters anche marginali. In questo senso, gli sceneggiatori hanno lavorato molto bene dal punto di vista empatico ed umano.
- Orange is the new black, che ha ridefinito il concetto di Cinema carcerario non solo riportandolo al piccolo schermo, ma consegnandolo anche alle mani dell'universo femminile, si conferma dunque uno dei più solidi attualmente prodotti da Netflix, in grado di emozionare, coinvolgere, fare incazzare e via discorrendo, ma soprattutto riprendersi da un piccolo passo falso per tornare a sorprendere fino all'ultimo episodio. Resta solo da sperare che la nuova libertà non dia troppo alla testa.
MrFord