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venerdì 26 settembre 2014

Red Cliff - La battaglia dei tre regni

Regia: John Woo
Origine: Cina, Hong Kong, Giappone, Taiwan, Corea del Sud
Anno: 2009
Durata: 146' (parte prima) e 142' (parte seconda)




La trama (con parole mie): siamo attorno al duecento dopo Cristo nell'antica Cina, quando il primo ministro Cao Cao, portata a termine con successo la campagna contro i signori della guerra e divenuto più temuto e rispettato dell'Imperatore, decide di manipolare quest'ultimo in modo che gli permetta di innescare un conflitto contro i due principali regni del Sud, retti da Liu Bei e Sun Quan, il primo di umili origini ed avanti con gli anni, il secondo giunto sul trono quasi per caso, giovane e senza esperienza. Quando la sconfitta pare inevitabile per il primo, lo stratega Zhuge Liang comincia a lavorare ad un'alleanza tra i regni del Sud che possa significare non solo salvezza, ma anche speranza di sconfiggere l'invincibile Cao Cao.
Stretta una forte amicizia con Zhou Yu, vicino a Sun Quan e considerato da quest'ultimo come un fratello, Liang sfrutterà tutte le sue conoscenze ed abilità per preparare il terreno ai suoi compagni in modo che gli stessi possano vincere la battaglia decisiva: ma sarà davvero una vittoria? 
E Cao Cao si limiterà a soccombere, o rivelerà la sua natura di vincente?






Ricordo ancora quando vidi per la prima volta la versione cinematografica di Red Cliff, forse l'opera più ambiziosa, costosa e tecnicamente incredibile di John Woo, Maestro indiscusso del Cinema action d'Oriente e non solo: correva l'anno duemilanove, ed attendevo da tempo la trasposizione cinematografica di una delle epopee di guerra più note dellla Storia cinese, che paradossalmente, invece che a scuola - l'Oriente è purtroppo un snobbato ancora oggi - conobbi grazie alle interminabili partite a Dynasty Warriors, videogioco fracassone e di battaglie da ore passate davanti allo schermo grazie alla Playstation 2 di qualche anno fa.
Purtroppo si trattava della versione cinematografica di questo lavoro, ignobilmente tagliata a metà - in tutti i sensi - e così distribuita in tutto il mondo - per una volta, dunque, non fu colpa solo dei nostri distributori -: il risultato, quindi, fu una sorta di mezza delusione, anche perchè la complessità della trama, la varietà ed il numero dei personaggi nonchè la coesione del plot subirono dei pesanti condizionamenti di un montaggio assolutamente da macellai - destino che accomuna quest'opera enorme ad uno dei grandi Capolavori del Cinema tutto, I sette samurai, che ai tempi fu presentato a Venezia vincendo il Leone d'argento con la metà del minutaggio effettivo, portando lo stesso Kurosawa a dichiarare che la Giuria aveva visto, in realtà, solo tre samurai e mezzo -.
Fortunatamente, con l'uscita per home video è giunta anche dalle nostre parti la versione integrale di quello che è, forse, l'affresco più potente che l'autore di filmoni come The killer abbia mai prodotto in carriera: ed il risultato della visione è decisamente differente.
Red cliff, infatti, gustato nella sua interezza, rappresenta, di fatto, l'equivalente epico ed emozionante di quello che fu, da queste parti, Il ritorno del re, ovvero una grande fiera di emozioni e sentimenti da blockbuster orchestrati con mezzi e tecnica da fantascienza, filtrati però attraverso una sensibilità ed una profondità di temi da pellicola d'autore: per quanto, infatti, si tratti di fatto di un film che racconta una delle epopee belliche più note della sua terra - e quella che, di fatto, è l'Iliade cinese -, La battaglia dei tre regni è un accorato atto d'accusa contro la guerra come concetto, portato avanti principalmente dai personaggi dello stratega Liang - un ottimo Takeshi Kaneshiro - e da Zhou Yu - il mitico e decisamente fordiano Tony Leung - e la sua compagna, charachters dai molteplici interessi messi al servizio del conflitto ma dallo stesso clamorosamente lontani - la musica, la conoscenza del territorio, il rispetto della Natura, la cura della forma come della sostanza - e reso ancora più intenso da passaggi quasi bucolici - i generali di Liu Bei intenti ad insegnare ai bambini o ad intrecciare ciabatte di corda, gli intermezzi ironici legati alla figura di Sun Shangxiang ed il suo rapporto con gli uomini - ed altri profondamente commoventi e drammatici - il confronto nel finale tra la stessa Sun ed il giovane conosciuto durante il suo periodo da infiltrata tra le fila dell'esercito di Cao Cao -, concluso con il monito di Zhou Yu e con quel "nessuno ha vinto, oggi" che pare un macigno sul cuore.
Eppure, nonostante lo spirito profondamente antimilitarista che sostiene questa pellicola - sottolineato dalle continue dichiarazione degli alleati del Sud rispetto ad un futuro che potrebbe vederli, invece, avversari - Woo riesce al contempo a mostrare anche i lati più eroici ed onorevoli del combattimento, attraverso figure come i generali di Liu Bei o di Gan Xing, alimentando il coinvolgimento del pubblico - per quanto possa suonare cinico, infatti, difficilmente a smuoverci sono la tranquillità e la pace, ma la lotta ed il ribollire delle passioni -: Red Cliff, dunque, rappresenta in qualche modo lo Yin e lo Yang dell'Uomo, le sue contraddizioni, i suoi lati profondamente malvagi e quelli assolutamente eroici, le bassezze e i colpi d'ala che tutti noi che calpestiamo questa terra viviamo e facciamo vivere da millenni.
Proprio per questo, prima ancora che per i prodigi tecnici - pazzesca la battaglia della testuggine - e la meraviglia visiva, la capacità di avvincere e di narrare una storia lontana secoli e migliaia di chilometri da noi, Red Cliff è indiscutibilmente un titolo destinato a restare nel cuore e negli occhi di chiunque troverà il tempo e la voglia di approcciare il suo intero affresco: non lasciatevi spaventare, dunque, dalla durata, dai nomi o dalle diversità culturali.
Poco importa che sia il wuxia o qualche effetto mirabolante, a raccontare la passionalità umana ed i suoi eccessi: l'importante è che sia raccontata e trasmessa.
Ed è questo che riesce così bene a questa meraviglia.



MrFord



"Dark is the light,
the man you fight,
with all your prayers, incantations,
running away, a trivial day,
of judgement and deliverance,
to whom was sold, this bounty soul,
a gentile or a priest?"
System of a down - "War?" -




martedì 11 febbraio 2014

Hercules - La leggenda ha inizio

Regia: Renny Harlin
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 99'




La trama (con parole mie): Boyka, ormai dominatore incontrastato di tutta la Grecia e non solo, sfida e sconfigge un re dopo l'altro quasi annoiato per le poche difficoltà che gli si presentano. Quando la moglie riceve un'offerta che non può rifiutare da Zeus in persona e concepisce Hercules, che in realtà è un vampiro del clan dei Cullen, il re si infuria e finisce per ostacolare la vita del "suo" secondogenito in favore del sangue del suo sangue, il piuttosto codardo ed infido Ificle.
Mandato Hercules il vampiro a morire in un'imboscata spalla a spalla con Spartacus, Boyka si sente le spalle coperte: peccato che, quando si sottovalutano due eroi per antonomasia come loro, i nodi finiscono per venire presto al pettine, e nel giro di quattro lune l'insolita coppia di ribelli riesce non soltanto a scampare all'agguato letale, ma a fare carriera nel giro gladiatorio, tornare in Grecia ed organizzare un vero e proprio esercito per affrontare il re.





Fin da quando sono fortunatamente riuscito ad uscire dal pericolosissimo tunnel del radicalchicchismo cinematografico che colpisce, di solito, tutti gli aspiranti cinefili alle prime armi, i film clamorosamente trash ed altrettanto clamorosamente tamarri sono diventati uno dei guilty pleasures cui più difficilmente riesco a rinunciare, specie nei giorni in cui la stanchezza prende il sopravvento e la voglia di affrontare visioni impegnate ed impegnative latita.
Ho approcciato questo Hercules - La leggenda ha inizio con più di una perplessità, convinto principalmente da Julez - che pensava si trattasse dell'imminente Hercules: the Thracian Wars con protagonista The Rock, programmato per passare sugli schermi la prossima estate - poi addormentatasi attorno al trentesimo minuto, ed ho finito per godermi selvaggiamente uno dei titoli più terribili ed involontariamente divertenti passati al Saloon dai tempi dell'indimenticabile Sharknado.
Del resto, non avrei dovuto sottovalutare il veterano del trash dietro la macchina da presa Renny Harlin, già autore di chicche assolute come Cliffhanger, Driven, The covenant e Nightmare 4, così come un cast che, tolto l'assolutamente inespressivo Kellan Lutz - che le fan di Twilight ricorderanno piuttosto bene, dato che era l'unico ad apparire umanamente simpatico tra le fila del frigido clan Cullen - vede tra i protagonisti il vero erede di Van Damme - se solo lo sfruttassero un pò di più per qualche sano film di botte - Scott Adkins, il sempre presente, fordiano e mitico Rade Serbedzjia - che è passato da Kubrick a The Snatch, senza dimenticare Io sono Li e robaccia come questa, giusto per mostrare la sua anima vagabonda - nonchè l'indimenticato Spartacus Liam McEntyre, trovatosi anche in questo caso a recitare la parte del ribelle.
E devo ammetterlo: ho voluto bene, in qualche modo, a Hercules - La leggenda ha inizio.
Perchè se è vero che si sta parlando di un'assoluta vergogna cinematografica che pare la versione di serie b di un cocktail che mescola Braveheart, Il gladiatore e 300, che il mito di Eracle appare più semplificato e tagliato con l'accetta che nella serie che vide protagonista Kevin Sorbo all'inizio degli anni novanta, che le scene d'azione - pezzi forti di titoli non particolarmente "alti" come questo - sono girate ad uso e consumo del tanto odiato 3D e che negli States - e non solo - pare sia stato un floppone da record al botteghino - che esclude quasi categoricamente un ipotetico sequel -, il lavoro del buon Renny è onesto e senza davvero alcuna pretesa se non il becero ed ignorantissimo intrattenimento di grana grossa.
Niente a che vedere con Troy, dunque, tanto per citare un film che ho detestato con tutte le forze, pronto a riscrivere l'epica e la mitologia come se fossero robetta al servizio di una discutibile operazione commerciale, quanto più una cosa equiparabile al kebab o al panino con la salamella preso nel pieno della notte per esorcizzare i demoni della sbornia lungo la strada del ritorno a casa: una piacevole scoperta per questo vecchio cowboy, che di tanto in tanto sente davvero il bisogno di lasciare che sia solo la pancia - per non dire altro - a parlare, e che i bisogni primari ed i bassi istinti escano fuori a prendere una sana boccata d'aria.
Del resto, appena svegli o dopo un allenamento, di ritorno dal lavoro o a seguito di una prepotente mangiata, un giro in bagno risulta per essere un piacere che forse in molti giudicheranno più consono tenere sotterraneo - per l'appunto - ma senza dubbio godurioso: Hercules - La leggenda ha inizio è proprio così.
Un'onesta, consistente, rumorosa cagata.
Di quelle, però, capaci di farti tornare nel mondo con un'espressione più felice stampata in volto.



MrFord



"Cause I'm strong enough to live without you
strong enough and I quit crying
long enough, now I'm strong enough
to know you gotta go
there's no more to say
so save your breath and walk away
no matter what I hear you say
I'm strong enough to know you gotta go."
Cher - "Strong enough" - 



sabato 21 dicembre 2013

Lo Hobbit - La desolazione di Smaug

Regia: Peter Jackson
Origine: USA, Nuova Zelanda
Anno: 2013
Durata: 161'




La trama (con parole mie): le peripezie di Bilbo Baggins e la compagnia guidata da Thorin Scudo di quercia proseguono attraverso le terre selvagge mentre nell'ombra il potere di Sauron monta spingendo sempre più per un ritorno del Signore Oscuro ed una nuova guerra.
Tallonati dagli orchi guidati da Azog, gli improvvisati avventurieri guidati da Gandalf il grigio giungono ai confini dei territori degli elfi delle foreste, più refrattari al contatto e governati da Thranduil, padre di Legolas: quando lo stregone si separerà da loro per indagare sul ritorno delle forze del male, i piccoli uomini dovranno dare fondo a tutte le loro forze per poter raggiungere Erebor superando insidie e lavorando duramente per mantenere alleanze decisamente instabili, affinchè la missione che si sono prefissati trovi la sua naturale conclusione nell'incontro tra Bilbo ed il drago Smaug, responsabile della rovina dei loro destini.
Riuscirà Bilbo a resistere agli impulsi dell'anello e sopravvivere al confronto con un essere leggendario, crudele e letale?





Passano gli anni, e la mia stima per il lavoro straordinario svolto da Peter Jackson rispetto al mondo tolkeniano de Il signore degli anelli - del quale non sono mai stato un fan letterario, lo ammetto - continua inesorabilmente ad aumentare, parallelamente al divertimento che l'autore neozelandese riesce a garantire con ogni suo lavoro, centrando il bersaglio dell'intrattenimento d'autore con una facilità estrema, a prescindere dai fotogrammi al secondo e dagli effetti speciali - sempre incredibili -, riportando di fatto in sala l'emozione che solo negli anni ottanta si aveva la possibilità di vivere attraverso un'incredibile avventura fatta di pellicola.
Già lo scorso anno, con Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato, Jackson era riuscito a lasciare a bocca aperta il sottoscritto confezionando una piccola perla di nostalgia, emozione e meraviglia, e nonostante - come fu, del resto, anche per Il signore degli anelli - con questo secondo capitolo si paghi, di fatto, la sensazione di trovarsi di fronte ad un unica, grande, sequenza di raccordo - pur se ottimamente realizzata - il risultato è una vera goduria per gli occhi, la testa ed il cuore, un viaggio senza respiro, piacevolmente imperfetto e divertente in grado di far passare in un lampo quasi tre ore, costruito prendendosi tutto il tempo necessario per chiudere lasciando di fatto deflagrare - in tutti i sensi - un climax da season finale di serie tv, nel pieno rispetto del meccanismo del "fiato sospeso" che i fan delle trilogie di vecchia data ricorderanno dai tempi de L'impero colpisce ancora.
E proprio a Star Wars si lega sempre più l'ex sovrappeso Jackson, che con il binomio Il signore degli anelli/Lo hobbit ha di fatto definito una volta per tutte il suo ruolo di George Lucas della settima arte contemporanea, in termini di impatto, qualità e trilogie, per l'appunto.
La cosa curiosa, di questo La desolazione di Smaug, è che si potrebbe parlare del confronto - con ovvie e sacrosante variazioni, in termini di esigenze di spettacolo - e delle variazioni rispetto all'opera letteraria originale, del comparto tecnico come sempre pazzesco, di Orlando Bloom ed Evangeline Lilly clamorosamente invecchiati - pur se truccati in modo da apparire come gli eternamente giovani elfi -, del già citato crescendo che chiude la pellicola lasciando a bocca aperta e completamente sconcertata l'audience, eppure la chiave è tutta ed assolutamente proprio nel drago che battezza l'opera: la creatura appena accennata nel primo capitolo diviene qui una presenza potente e carismatica, resa alla grande da un'animazione che la rende praticamente viva e perfetta interprete del Male rappresentato dall'anello, progressivamente sempre più importante - da qualsiasi punto di vista lo si guardi - per Bilbo, veicolo attraverso il quale si materializzano paure e sconforto di nani ed umani - dunque l'elemento drammatico della storia -, il sopraggiungere di Sauron e, non ultimo in termini d'importanza, lo straordinario lavoro al limite del comico realizzato da Martin Freeman con la sua interpretazione perfettamente hobbit, già cult per quanto riguarda i minuti iniziali del confronto con l'immenso essere sputafuoco.
Il coraggio dei mezzuomini tanto decantato nel corso dei tre film de Il signore degli anelli e ripreso in questa nuova trilogia assume, grazie a Bilbo, una dimensione più sfaccettata e complessa, che trova nell'interesse manifestato da Smaug la conferma di quanto possa provare lo stesso pubblico: senza dubbio la materia originale prevede un approccio meno epico e decisamente più fiabesco, eppure non mancano sentimenti, ombre, charachters per nulla positivi divenuti tali quasi più per dovere, che per indole.
E poi, l'anello.
I suoi semi ed il suo potere sono tutti qui, e più che nel primo confronto tra Gandalf e gli eserciti di Sauron si trovano nell'accettazione della sua presenza da parte degli elfi "neutrali" e pronti a difendere solo loro stessi così come nello stesso Smaug, così potente eppure così solo, distruttore eppure esiliato in un eremo d'oro che lui stesso ha creato.
Non svegliare il can che dorme, recita un vecchio detto.
Ma non è detto che il drago - ed il Male - abbiano bisogno di essere destati.
In fondo albergano già ampiamente dentro di noi.
Piccoli o grandi uomini.



MrFord



"If this is to end in fire
then we should burn together
watch the flames climb high into the night
calling out for the rope, stand by and we will
watch the flames burn over and oh
the mountains sigh."
Ed Sheeran - "I see fire" - 



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