venerdì 10 giugno 2016

The art of rap

Regia: Ice-T, Andy Baybutt
Origine: UK, USA
Anno: 2012
Durata: 106'







La trama (con parole mie): dalle strade di New York alle nuove frontiere della West Coast, il fenomeno del rap analizzato da uno dei suoi più importanti esponenti, Ice-T, pronto a ripercorrere le tappe fondamentali di un'arte divenuta iconica attraverso le rime e le voci dei suoi interpreti più importanti di allora e di oggi, in un viaggio che possa mostrare le radici non tanto sociali, quanto musicali e "magiche" di una realtà nata come espressione di una rivolta furiosa e cresciuta come una sorta di nuova interpretazione della cultura popolare.
Nessun secondo fine, dunque, nessuna ricerca di risposte, solo tanti grandi artisti e tonnellate di talento buttate in rima a seconda dello stile, del passato, delle esperienze e del background dei singoli esponenti di una corrente che ha soltanto iniziato a manifestare il suo enorme potenziale.












Fin dagli anni della scoperta del mondo musicale a trecentosessanta gradi - coincidenti con il periodo mitico tra i banchi del Virgin Megastore a Milano - la cultura hip hop, per quanto distante per molti versi dalla mia anima molto rock e molto cowboy, ha sempre solleticato curiosità ed interesse nel sottoscritto principalmente per la sua natura di espressione urbana e musicale della Poesia nel senso paradossalmente più classico in cui la si possa intendere: con ogni probabilità, e citando Lou Reed, probabilmente se Rimbaud fosse nato e cresciuto oggi, sarebbe stato un artista hip hop, una specie di novello Eminem francese pronto a sputare una parola dietro l'altra al microfono, sfidando il sistema e, chissà, forse anche i colleghi.
Ed è proprio la sfida - in termini positivi e di rime, Ice-T sta bene attento a non scivolare negli stilemi classici dei gangsta rapper pronti a regolare i conti a suon di pistolettate - ed il confronto con Maestri, compagni ed avversari - nelle classifiche da milioni di copie o nelle battle agli angoli delle strade - a buttare benzina nel motore di questa grande macchina, che spesso e volentieri dal desiderio di emergere, di essere il primo o uno dei primi o dalla rabbia del riscatto porta illustri sconosciuti alla ribalta internazionale, che si tratti di New York - patria dei primi, grandi maestri dell'hip hop - o Los Angeles, mostrando una carrellata che gli appassionati non potranno non gustarsi dalla prima all'ultima linea - dai Run DMC a Eminem, passando per Kanye West, Dre, Snoop Dogg, i Cypress Hill, il Wu Tang e tutti i più grandi che possiate ricordare, conoscere o voler conoscere dopo aver visto questo documentario -: di contro, è quasi doveroso affermare che questo The art of rap rischia di rimanere, purtroppo, un lavoro ad uso e consumo degli appassionati del genere, e forse ancora troppo lontano dal pubblico occasionale per poter davvero rompere qualche muro sia in termini di pregiudizi in merito sia rispetto alla parte più autoriale e tosta dell'hip hop, negli ultimi anni forse fin troppo commercializzato anche in Italia.
Ad ogni modo, superata qualche difficoltà iniziale, qualunque appassionato di Musica anche non abituato al ritmo forsennato che questi ragazzi - o ex ragazzi, quando parliamo dei mostri sacri che hanno dato origine al fenomeno - non potrà che rimanere affascinato, stupito e stimolato dagli esperimenti vocali, grammaticali e di velocità d'esecuzione portati avanti di continuo dagli artisti hip hop, a prescindere dal fatto che con le loro parole cantino la rivolta popolare, i problemi razziali, le pose da macho o le follie della rockstar, che scrivano in compagnia di qualche donzella - Snoop Dogg su tutti - o chiusi nei loro studi senza interferenze esterne, allietandosi soltanto con dosi massicce di marijuana.
Per chi, invece, non vede i ruoli dell'MC o del producer come qualcosa di alieno e strambo, The art of rap rappresenta un'occasione per osservare i propri idoli alle prese con qualche rima che vada oltre il loro repertorio classico, rinforzare la stima per alcuni di loro o stimolare la curiosità per scoprirne o riscoprirne altri: in fondo, nella Musica come nel Cinema non si finisce mai di imparare, ed il bacino della cultura hip hop è solo al principio del suo fermento.
Con ogni probabilità, infatti, questo genere così giovane - benchè le sue radici peschino a fondo nel blues, nel jazz o nel soul - diverrà un riferimento sempre più importante nei prossimi decenni, raccogliendo, chissà, un giorno, il testimone proprio dal rock che ha cresciuto il sottoscritto: e se l'omaggio a tutti i "caduti" del rap sui titoli di coda ha il sapore amaro di tutte le pagine più oscure della storia di quest'arte, l'energia che sprizza ed esplode letteralmente in ogni rima pronunciata nel corso del documentario fa associare l'hip hop a qualcosa di estremamente stimolante, vivo e ribollente.
Una di quelle energie che, se giustamente incanalata, rischia davvero di cambiare il mondo.
Anche se a modo suo.






MrFord






"Ticket to ride, white line highway
tell all your friends, they can go my way
pay your toll, sell your soul
pound for pound costs more than gold
the longer you stay, the more you pay
my white lines go a long way
either up your nose or through your vein
with nothin to gain except killin' your brain."
Grandmaster Flash - "White lines" -






6 commenti:

  1. Oh, finalmente su WhiteRussian si parla di qualcosa di non strettamente vecchio e fordiano! ;)

    Quasi quasi lo recupero, anche se, essendo un lavoro del 2012, ormai rischia anch'esso di essere vecchio e fordiano.
    Ahahah :D

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    1. Ahahahah qui si parla di tutto, al contrario che dalle tue parti, dove se non è teen o radical non lo vogliamo! ;)

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  2. Rap e rapper... me ne tengo lontano ;)

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    1. Eppure il rap sarà una delle colonne culturali delle prossime generazioni: andrebbe seguito! ;)

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  3. Yeah sembra una figata, lo recupero! L'importante è che si parli anche di Notorius BIG ;)

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    1. Si parla di tutti i grandi, Fratello. Tranquillo. ;)

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