giovedì 17 febbraio 2011

Rabbit hole

La trama (con parole mie): Howie e Becca sono una coppia perfetta. O almeno, lo sono stati fino a quando, otto mesi prima delle vicende narrate, loro figlio Danny è morto investito. Lui cerca conforto nei gruppi di sostegno, e nel rientro alla normalità. Lei, chiusa in un mondo in cui progressivamente i ricordi scompaiono, e restano dubbi e rabbia. Fino all'incontro casuale con Jason, l'adolescente alla guida della macchina che investì il bambino.

Ho sempre trovato molto interessante il lavoro di John Cameron Mitchell, prima con Hedwig e poi con Shortbus - che continuo a trovare uno dei migliori film sul sesso del passato recente del Cinema -: in effetti, è stata la sua presenza dietro la macchina da presa a spingermi definitivamente alla visione di Rabbit hole, sorta di romanzo di formazione sulla perdita tratto da una piece teatrale di David Lindsay-Abaire.
Il risultato è ancora in fondo al cuore, da metabolizzare.
Di certo, parlando di perdita, non siamo di fronte all'impatto devastante eppure leggero di Hereafter, o alla soave poesia di Departures, quanto ad un'analisi lucida ed intelligente di uno dei drammi più grandi che possano colpire noi esseri umani: la scomparsa di un figlio.
Molti di noi - me compreso - non sono ancora stati genitori, ed altrettanti, per scelta o destino, non lo saranno mai, ma credo sia opinione comune che un episodio di questo genere sia in grado di segnare nel profondo anche la più forte delle anime, mettendo alla prova e in discussione tutta la vita di un individuo, ed ancor più di una coppia.
In questo senso, Rabbit hole non sbaglia un colpo, dal non cercare la lacrima facile al fotografare con chirurgica precisione l'incedere del dolore e la potenza dirompente dei ricordi, così come i differenti punti di vista nell'affrontare una ferita che - come giustamente sottolinea una grandissima Dianne West - non è destinata in alcun modo a rimarginarsi: ed il confronto con Jason, il giovane responsabile della morte del piccolo Danny, lascia spesso e volentieri a bocca aperta per l'incredibile potenza che la sceneggiatura sprigiona nel rapporto del ragazzo con Becca e, di conseguenza, Howie.
Ma in tutto questo essere perfetti, c'è qualcosa che, inevitabilmente, stona, e che rende Rabbit hole un film incapace di superare la sottile linea che separa le buone pellicole da quelle emotivamente memorabili.
Perchè il lavoro di Mitchell è figlio di un'autorialità sopraffina, ma risulta troppo freddo e calcolato per raggiungere i brividi lasciati da Winter's bone.
Perchè Becca e Howie sono perfetti anche negli errori, e ripensando alla Kidman - tornata, finalmente, ai livelli dei suoi tempi d'oro - non si può non tornare, con la mente, al lento sprofondare nelle ferite di una coppia di Eyes wide shut.
Perchè Jason non è davvero responsabile della morte di Danny. Non era ubriaco, drogato, un tamarro che correva per vincere una gara, un delinquente in fuga. E' solo un ragazzo spaventato, ferito, alla ricerca di una spiegazione attraverso un fumetto e le teorie di un universo infinito, e non uno dei sadici assassini di Elephant.
Perchè se l'autore propende per l'approccio ateo e tutto umano che tende al guardare progressivamente sempre più avanti - approccio, peraltro, a mente fredda pienamente condiviso dal sottoscritto -, non dovrebbe trovare necessario propinarcelo come fosse necessariamente il più giusto, e per di più in silenzio, facendo finta di nulla.
E' come chiedere di piangere per mostrare che proviamo qualcosa.
O meglio - o peggio, a seconda di come la si guardi - di non piangere, perchè liberare le lacrime è quello che farebbero tutti.
Ma chi sono tutti? Abitanti di altri universi?
Dovessi perdere un figlio non so cosa farei.
Ma di certo non resterei su una panchina con chi guidava la macchina che l'ha ucciso pensando che, da qualche parte, in un universo parallelo, c'è un altro me stesso felice, ancora al suo fianco.
Dovessi perdere un figlio, non ci sarebbero scienza, o dio, a propinarmi una soluzione ai miei problemi.
Perchè non c'è soluzione, è vero.
Ma non c'è bisogno che qualcuno venga a suggerircelo.
Neppure se lo fa con grande stile.


MrFord


"I must be strong, and carry on  
cause I know I don't belong  
here in heaven."
Eric Clapton - "Tears in heaven" - 

8 commenti:

  1. mi è piaciuto molto. il ragazzo del fumetto sembra il cugino di Michael Cera:)

    ti riporto quello che ne ho scritto qualche giorno fa - ciao

    Davvero un bel film, non retorico, grandi attori, sceneggiatura impeccabile, regista in gamba.
    Come non restare imprigionati dal dolore, senza cercare un senso che non esiste.
    Associazioni: mi vengono in mente, mutatis mutandis, "Revolutionary road", magari "Misterious skin", di Gregg Araki, e una frase di Pavese: "Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola".

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  2. film ben fatto, ma non mi ha convinto in pieno
    sull'argomento è stato fatto di molto meglio:
    vedi amabili resti :)

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  3. Ismaele, davvero un ottimo prodotto, peccato sia un pò troppo studiato, a mio parere.
    Le associazioni le trovo azzeccatissime, anche se Revolutionary road mi ha colpito molto di più.

    Cannibale, concordo sul fatto che l'argomento sia stato trattato in altre occasioni molto meglio, ma non in Amabili resti ;)

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  4. Ne ho sentito parlare in un canale digitale e mi aveva colpito quando un'attrice che era lì a commentare disse che c'erano scene che ti potevano strappare una risata e alla fine si sentiva in colpa per questa risatina visto il tema del film. Aggiunse che la risata non era frutto di una mancanza nel film e non era neanche volutamente provocata.
    Credo sia uno di quei momenti in cui ti viene da ridere, ma non perché fa ridere bensì per esorcizzare il dolore e a tensione.
    Non so se a chi ha visto il film ha fatto lo stesso effetto.

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  5. Alma, è vero che in alcune scene è possibile lasciarsi trascinare da una risata, come può capitare anche a volte, nella vita, soprattutto nei momenti in cui la tristezza e il silenzio attanagliano tutti i presenti.
    E' capitato anche a me, di dover trattenere una risata in un momento così.
    Il dolore muove reazioni, dentro di noi, che spesso non sono affatto prevedibili.

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  6. Bene, avevo idea di vederlo ma grazie alla tua (precisissima ed efficacissima) recensione mi risparmierò per altro...
    Però sono contenta che Nicole Kidman sia tornata quella di una volta, con qualche protesi in più ma sostanzialmente sempre la stessa.

    E mi è piaciuto tantissimo il rimando musicale finale...

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  7. totalmente d'accordo su "Revolutionary road"

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  8. Kali, la Kidman è senz'altro tornata quella di una volta, fortunatamente, per quanto riguarda il film merita comunque una visione, a mio parere.
    Forse è un pò troppo costruito, ma questo non significa che non possa emozionare, o almeno farsi guardare molto meglio di tanti altri.
    Il rimando musicale finale, lo ammetto, è stato un pò un colpo basso! ;)

    Ismaele, Revolutionary road è davvero una bomba. Ricordo che fu come essere preso a sonori schiaffi in faccia. E la coppia DiCaprio/Winslet funzionò alla grande.

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