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lunedì 25 maggio 2020

White Russian's Bulletin



Settimana particolare, questa del Saloon, che rappresenta anche quella che, per motivi organizzativi legati ai cambiamenti che hanno travolto il sottoscritto negli ultimi mesi, sarà momentaneamente l'ultima del Bulletin per qualche giorno, o settimana, o il tempo che ci vorrà per arrivare a sistemare parecchie cose: è particolare anche perchè legata principalmente alle visioni delle serate Cinema con i Fordini trasformatesi in pranzi e cene, fatta eccezione per quella che è, senza dubbio, una delle serie più chiacchierate di quest'anno così strano, The Last Dance.
Proprio ad essa devo uno degli entusiasmi da appassionato più forti del VentiVenti, per uno dei titoli che rivedremo, senza dubbio, nelle classifiche di fine anno.


MrFord


THE LAST DANCE (Netflix, USA, 2020)

The Last Dance Poster


L'avrete letto e riletto in tutte le salse, ma quando una verità è sentita e inconfutabile, è impossibile che resti nascosta a lungo: The last dance è una macchina del tempo, per chi ha vissuto di persona l'incredibile periodo che vide quello che probabilmente è il più grande cestista di sempre - l'equivalente di Maradona per il calcio o Alì per il pugilato - regalare ai suoi Bulls il sesto e ultimo titolo NBA. 
Per quanto mi riguarda, dopo aver passato i cinque anni del liceo a detestare il basket, tra il novantasette e il duemila iniziai, spinto dalla lettura dello splendido manga Slam Dunk - il cui autore è un fan accanito dei Bulls di Jordan -, a frequentare quotidianamente il campetto del parco dove, fino a quel momento, avevo dedicato quasi tutte le mie energie al calcio e alle ragazze. 
Furono anni di gran divertimento, grazie ai quali riscoprii la pallacanestro e la sua bellezza da ultimo secondo, considerato che non esiste uno sport in cui il concetto stesso di ultimo secondo valga allo stesso modo.
Personalmente non sono mai stato un fan sfegatato dei Bulls - i Lakers restano i miei favoriti -, ma indubbiamente quella che rese famoso il franchise di Chicago in tutto il mondo - come giustamente viene sottolineato, in un'epoca in cui non esistevano social di nessun genere - fu una delle formazioni più incredibili della Storia degli sport di squadra: attorno al fuoriclasse per eccellenza Jordan si trovarono atleti e giocatori incredibili ma anche gregari che seppero tirare fuori il meglio di loro stimolati, probabilmente, dalla presenza del migliore al loro fianco.
Non farò spoiler perchè questa incredibile miniserie non ne ha bisogno, considerato che, nonostante sapessi già come sarebbe andata a finire, ricordassi le azioni più memorabili ed i tiri più incredibili, ho vissuto l'adrenalina di The last dance dal primo all'ultimo secondo, in quella che è una lezione di passione prima che per lo sport, per la vita: neanche il migliore, se vuole restare il migliore, può sedersi e aspettare, ma deve rimboccarsi le maniche e farsi il culo come e forse anche più degli altri. La differenza, a prescindere dal talento, è tutta lì. Non me ne voglia il Drugo, ma la fatica e l'allenamento e la determinazione faranno sempre la differenza a parità di talento.
Poi, Michael Jordan resterà sempre "Dio travestito da Michael Jordan", e su questo non c'è dubbio.
Ma se lui si fa il culo a strisce, ed è Michael Jordan, per quale motivo non dovremmo farcelo noi?




TESORO, MI SI SONO RISTRETTI I RAGAZZI (Joe Johnston, USA/Messico, 1989, 93')

Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi Poster


Con l'avvento al Saloon di Disney+, ho approfittato per rispolverare un classicone dell'infanzia fordiana - visto, se non ricordo male, addirittura in sala - in una delle serate Cinema con i Fordini, consapevole del fatto che l'avventura dei quattro protagonisti nel giardino di casa divenuto una vera e propria giungla avrebbe colpito nel segno: infatti, paradossalmente, le avventure dei ragazzini rimpiccioliti alle dimensioni di una pulce, hanno finito per conquistare i più piccoli tra i Ford più de La maledizione della prima luna - abbastanza snobbato, a dirla tutta - e della seconda trilogia di Star Wars. Dalla sequenza cult con la morte della formica a causa dell'attacco dello scorpione - presa malissimo dalla Fordina - ai siparietti di Rick Moranis, l'esperimento è risultato decisamente riuscito, e nonostante si tratti solo ed esclusivamente di un giocattolo ad uso e consumo delle visioni per famiglie, devo ammettere che ha resistito bene anche alla prova del Tempo, considerato che dovevano essere più di vent'anni che non lo rivedevo.




LA PRINCIPESSA E IL RANOCCHIO (Ron Clements&John Musker, USA, 2009, 97')

La principessa e il ranocchio Poster


Richiesto a gran voce dalla Fordina - in pieno periodo principesse, con una delle rappresentanti della categoria che ancora le mancava -, La principessa e il ranocchio è tornato sugli schermi del Saloon per la prima volta dai tempi della sua uscita, confermando la solidità della coppia Clements/Musker, un'affascinante ambientazione ed una colonna sonora jazz davvero efficace.
Gli autori di Oceania, La sirenetta e Il pianeta del tesoro confermano la loro ottima alchimia e portano sullo schermo un lavoro solido e piacevole, non clamoroso per originalità ma che conquista e diverte, e regala una delle scene più toste che la Disney abbia mai proposto nei suoi prodotti - la morte della lucciola Ray, forse il charachter più emozionante -: promosso dalla Fordina e anche dal Fordino - che inizialmente aveva protestato -, è stato davvero un piacere rivederlo, conferma della validità della struttura che Mamma Disney mette a disposizione dei suoi utenti.





domenica 21 febbraio 2016

Jumanji

Regia: Joe Johnston
Origine: USA
Anno: 1995
Durata: 104'






La trama (con parole mie): nel millenovecentosessantanove Alan Parrish, un ragazzino emarginato dai coetanei e schiacciato dalla figura paterna e dal suo ingombrante cognome, storico per la piccola cittadina in cui vive, trova per caso un gioco da tavolo dai poteri magici che fu sepolto ai tempi dei suoi antenati, Jumanji. Ignaro dei poteri dello stesso, inizia una partita con un'amica e finisce intrappolato all'interno del gioco stesso.
Quando, ventisei anni più tardi, due ragazzini appena trasferiti in quella che fu la sua casa con la zia dopo la morte dei genitori ritrovano ed utilizzano Jumanji, per Alan si presenta l'occasione di tornare nella sua vecchia realtà e rimettere a posto le cose con il passato ed il futuro.
Tutto questo, se il gioco lo permetterà.









Gli anni novanta - o almeno la seconda parte degli stessi - furono un periodo piuttosto delicato, per il sottoscritto, come spettatore e non solo: di fatto, l'ingresso nella fase dell'adolescenza che ti fa pensare di avere qualcosa in più di tutti gli altri, il sorgere della passione per la scrittura ed una vera e propria fame di scoperte in termini musicali, letterari e, per l'appunto, cinematografici, mi fece allontanare e non poco da tutte le proposte "ludiche" che ho recuperato con enorme piacere in anni più recenti.
In particolare, nel novantacinque che vide uscire ed affermarsi da subito come un cult per ragazzi Jumanji, io cominciavo a spostare l'attenzione sul filone gangsteristico che di fatto mi avrebbe accompagnato, qualche anno dopo, alla riscoperta del Cinema d'autore e dei Classici, mentre mio fratello, più giovane di sei anni, impazzì letteralmente consumando la vhs a furia di visioni.
Proprio a seguito di una di queste, e probabilmente mentre ero impegnato a giocare o scrivere al computer, avvenne il mio incontro fortuito con la pellicola di Joe Johnston, che passò senza lasciare il segno e non rividi più per oltre vent'anni: la recente visione del sorprendentemente positivo Piccoli brividi, però, ha finito per stuzzicare la curiosità del sottoscritto rispetto ad un recupero di Jumanji, che si è rivelato piacevolissimo e divertente, alimentando addirittura la sensazione di quasi malinconia legata al fatto che probabilmente, se l'avessi visto come si deve all'epoca e me lo fossi goduto quanto mio fratello, a quest'ora probabilmente sarebbe un mio cult dell'infanzia al pari di cose come Labyrinth o La storia infinita.
Certo, rispetto ai supercult appena citati appare invecchiato peggio - un pò come la maggior parte delle produzioni figlie degli anni novanta, oserei dire -, ma resta una pellicola dallo spirito che ricorda quello di pietre miliari come Ritorno al futuro mescolandolo a Hook anche grazie alla presenza dell'indimenticato Robin Williams, che è sempre un piacere enorme rivedere sullo schermo: considerata, poi, la passione sempre crescente del Fordino per gli animali, nel corso di tutta l'entusiasmante partita dei protagonisti a Jumanji ho finito per immaginare cosa accadrebbe se a prendere i dadi in mano per tentare l'impresa fossimo noi abitanti del Saloon.
Senza dubbio, tra scimmie, rinoceronti e chi più ne ha, più ne metta, il più piccolo della tribù finirebbe per avere quasi voglia di rimanere imprigionato in un mondo pericoloso eppure affascinante come il buon Alan, con la differenza che, da questa parte, avrebbe un padre che è più un complice ed un compagno di giochi, che non un severo e quadrato capitano d'industria.
E mentre i tamburi di Jumanji suonano, e nel cuore ho già il terrore per il remake annunciato per il prossimo anno - che rischia di suscitare le ire dei fan almeno quanto quello recente di Point Break -, sono contento di poter tornare indietro nel tempo e recuperare un'avventura che l'adolescenza con tutte le sue contraddizioni mi aveva tolto: in un certo senso, ho rimesso piede anch'io nel mondo dopo tanti anni da un esilio, e senza dubbio meno riluttante di Alan riprendo in mano i dadi e mi lancio senza neppure guardarmi troppo indietro in una nuova, entusiasmante partita.
Del resto, questo è lo spirito che ci mantiene vivi, eterni Peter Pan oppure no. 





MrFord





"Look over your shoulder, ready to run.
Like a good little bitch, from a smoking gun.
I am the game and I make the rules.
So move on out here and die like a fool.
Try to figure out what my moods gonna be.
Come on over sucker, why don't you ask me?
Don't you forget that the price you can pay
cause I am the game and I want to play...."
Motorhead - "The game" - 






martedì 2 agosto 2011

Captain America: il primo Vendicatore

Regia: Joe Johnston
Produzione: Usa
Anno: 2011
Durata: 124'

La trama (con parole mie): siamo nel pieno del secondo conflitto mondiale, e Steve Rogers è un ragazzo gracile e di costituzione debole nato e cresciuto per le strade di Brooklyn, pronto a fare carte false per arruolarsi e poter dare il suo contributo alla sconfitta del Reich. Purtroppo per lui ogni strada sembra chiudersi, fino a quando il suo coraggio ed il senso della giustizia non sono notati da uno scienziato tedesco rifugiatosi negli States e responsabile della creazione del siero del supersoldato, una mistura in grado di portare al massimo tutte le capacità di chi sopravvive alla sua iniezione.
Il giovane si offre di sperimentare il trattamento, divenendo il primo - ed unico - Capitan America: dapprima sfruttato per la campagna di reclutamento, il giovane Rogers imparerà a farsi valere sul campo fino a divenire l'unico baluardo contro l'avanzata delle forze di Johann "Teschio rosso" Schmidt, capo dell'Hydra, sezione segreta delle forze naziste.
Ma salvare il mondo avrà un prezzo alto, per lui: rimasto ibernato nei ghiacci, verrà ritrovato quasi settantanni dopo dalle forze del Colonnello Nick Fury.

Devo ammettere, da appassionato di fumetti - anche se, negli ultimi anni, mi sono allontanato del tutto da mamma Marvel -, di non aver mai digerito troppo il personaggio di Capitan America: troppo perfettino, il buon Steve Rogers, per un vecchio cowboy come il sottoscritto, decisamente più legato ai "supereroi con superproblemi" come Devil e Spider man, o a personaggi oscuri in stile Batman.
Eppure, qualche anno fa, quando l'editrice di fumetti più potente del mondo decise di svecchiare i suoi eroi principali attraverso il progetto Ultimate - ovvero prendere i propri migliori autori e permettere loro di realizzare una sorta di reboot in chiave moderna delle saghe che avevano reso quegli stessi eroi delle vere e proprie icone -, rimasi folgorato dall'interpretazione che Mark Millar, sceneggiatore della nuova versione dei Vendicatori - chiamati per l'occasione Ultimates -, diede del buon Capitano.
Un uomo spaesato e tutto d'un pezzo che pareva uscito da Mad men ed era pronto a risolvere le questioni più spinose a suon di calci nel culo, neanche fosse il Walt Kowalski di Gran Torino.
Capirete dunque che il mio scetticismo rispetto al blockbusterone firmato nientepopodimeno che da quel fenomeno al contrario di Joe Johnston era quantomeno pronunciato: il rischio che si trattasse di una cagata galattica dei livelli di Wolverine origins c'era tutto, e la conseguente dose di bottigliate pesanti era già pronta pronta per regista e sceneggiatori.
Al contrario di quanto prevedessi, però, devo ammettere che il lavoro svolto da Johston e soci, per quanto ovviamente non memorabile, è stato onesto e decisamente ben gestito, in equilibrio tra l'azione sfrenata con strizzate d'occhio continue al film d'avventura anni settanta/ottanta - da Guerre stellari a Indiana Jones - e una discreta dose di divertita autoironia, in grado di permettere allo spettatore di associare la pellicola dedicata al futuro leader dei Vendicatori ai decisamente riusciti Iron man - il primo, s'intenda - e Thor.
Certo, non siamo qui a parlare di chissà quale filmone del secolo - si tratta sempre e comunque di solo intrattenimento -, eppure sequenze come quella dedicata al ruolo del Capitano e al suo sfruttamento nel corso della campagna di reclutamento - la più creativa e sorprendente della pellicola - unite alla consueta e robusta dose di esplosioni e scazzottate come ogni blockbusterone con la b maiuscola richiede permettono di passare un paio d'ore in assoluta spensieratezza godendosi la parte più giovanile e pura di un personaggio che, se gestito bene, potrebbe diventare il punto di forza del progetto Vendicatori, attesissimo dai fan per il prossimo anno e diretto da Joss Whedon, ed il tutto nonostante la statica ed inespressiva presenza del pur statuario Chris Evans.
Fortunatamente, dall'altra parte, troviamo un Hugo Weaving in ottima forma nel ruolo del Teschio rosso, nemesi storica di Steve Rogers cui è affidato, di fatto, il compito di traghettare il Capitano nell'epoca moderna, permettendo l'ormai consueta comparsata del Colonnello Fury/Samuel Jackson sempre in vista del film che vedrà riuniti lo stesso capitano, Iron man, Thor, Hulk ed i meno pubblicizzati Hawkeye, Wasp e Vedova nera.
Dunque, se volete una pellicola adatta alla spensieratezza della stagione, poco impegnativa ma ugualmente soddisfacente nel suo genere, potete andare abbastanza tranquilli seguendo le gesta del neppure troppo irritante e "gli Usa sono il meglio del mondo" Capitan America, mettendo in conto, nel caso non siate mai stati lettori di fumetti - o "veri credenti", come ama definirli Stan Lee, che come di consueto si concede una comparsata -, di perdere qualche passaggio o citazione in più rispetto alla maggior parte dei nerd fumettofili che troverete in sala.
Poco male, comunque: in fondo, qualche bella esplosione e tutto sarà passato.
L'azione è anche - e soprattutto - capace di questo.

MrFord

"Hey, Uncle Sam put your name at the top of his list,
and the Statue of Liberty started shaking her fist.
and the eagle will fly and it's gonna be hell,
when you hear Mother Freedom start ringing her bell.
and it'll feel like the whole wide world is raining down on you.
ah, brought to you, courtesy of the red, white and blue."
Toby Keith - "Courtesy of red, white and blue." -


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