Visualizzazione post con etichetta James Ellroy. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta James Ellroy. Mostra tutti i post

lunedì 8 aprile 2013

L. A. Confidential

Regia: Curtis Hanson
Origine: USA
Anno: 1997
Durata: 138'




La trama (con parole mie): Los Angeles, primi anni cinquanta. L'impero di Mickey Cohen è crollato lasciando un vuoto di potere che avrebbe condizionato per anni la lotta per il predominio del lato oscuro della Città degli angeli, tra scandali, droga, uccisioni e pornografia di lusso.
In questo contesto dalla doppia faccia - quella pulita e degli spot pubblicitari e delle serie televisive e quella degli affari loschi da seppellire nella notte - si muovono il sergente Jack Vincennes - abituato a ricevere puntualmente mazzette per offrire servizi scandalistici ed arresti "illustri"-, l'agente Budd White - segnato dalle violenze subite ad opera del padre e strenuo difensore delle donne in difficoltà dai modi brutali - e la promessa del corpo di polizia Edmund Exley, preciso e fedele alle regole nonchè abile politico.
A seguito di un vero e proprio massacro commesso in una caffetteria, le vicende professionali e le vite private dei tre si troveranno ad sovrapporre finendo per scatenare un vero e proprio caos all'interno del dipartimento di Hollywood: riusciranno a risolvere lo spinoso caso e mettere fine ad un cancro che si sta propagando in città?




La recente visione del mediocre seppur ben confezionato Gangster squad, ed il fatto che Julez non aveva ancora affrontato quello che è da considerarsi come uno dei cult meglio confezionati del Cinema noir anni novanta, hanno contribuito al concretizzarsi del recupero di L. A. Confidential, titolo che anno dopo anno e visione dopo visione acquista una sempre maggiore credibilità ponendosi come uno dei più solidi e convincenti esempi di Classico moderno - almeno per quanto riguarda gli States - da grande schermo.
Costruito a partire da un romanzo di James Ellroy - uno dei nomi di riferimento del genere - e basato su uno script ad orologeria - firmato anche dal veterano Brian Helgeland -, quello che, ad oggi, è il lavoro migliore dell'artigiano Curtis Hanson è un poliziesco a tinte fosche nella migliore tradizione dei suoi capisaldi - da La fiamma del peccato a Il mistero del falco - orchestrato sfruttando un cast in forma smagliante ed in grado di inchiodare alla poltrona dall'inizio alla fine, riservando ben più di una scena memorabile ed un paio di twist da manuale.
Ai tempi della sua uscita ricordo la fama che conquistò praticamente da subito, riuscendo a mettere d'accordo sia gli spettatori radical chic - e allora, purtroppo, ero anche io nel novero - e quelli di grana grossa, giocando sul fascino di un terzetto di protagonisti a dir poco perfetto - trovo che Budd White sia uno dei personaggi migliori, se non il migliore, che Russell Crowe abbia avuto la fortuna di interpretare - ed una trama avvincente in grado di richiamare sia elementi cardine dell'hard boiled che un pizzico di violenza quasi pulp nel pieno rispetto di quello che era, ai tempi, il nuovo volto della settima arte statunitense sconvolta dalla tempesta tarantiniana.
Occorre ammettere, inoltre, che uno dei grandi pregi di questa pellicola risiede nella sua compattezza, talmente importante da non cedere rispetto alla tensione neppure all'ennesima visione concessa, con il sottoscritto che ancora si emoziona in quello che è il passaggio simbolo della storia, quel "Rollo Tomasi" che dimora nell'Olimpo dei momenti da ricordare di quel decennio cinematografico.
Per il resto, oltre ad una messa in scena rispettosa dell'epoca ed ottimamente realizzata - al timone del comparto tecnico, del resto, troviamo un certo Dante Spinotti, uno dei migliori di tutti i tempi per quanto riguarda la materia del production design -, sono interessanti tutti i temi trattati dentro e fuori la storia principale, dal razzismo - emblematico l'episodio dei tre giovani delinquenti di colore - alla brutalità delle forze dell'ordine, dalla condizione della donna - costretta a sognare un futuro costruito a suon di concessioni al "sesso forte" - all'equilibrio di potere che viene gestito all'interno della polizia così come in una famiglia criminale, con silenzi, spiate, spalle più o meno coperte e crisi di coscienza che si mescolano con il rispetto - oppure no - delle regole.
In questo senso i tre main charachters forniscono ottimi spunti per la riflessione, dal ligio fino al risultare odioso - e tendenzialmente arrivista - Exley al disequilibrato White, semper fidelis nel bene e nel male e mente sottovalutata celata da un braccio troppo spesso in movimento, senza contare il controverso Vincennes, sornione ed abile nel riuscire in qualunque modo a galleggiare in mezzo a tutta la merda che la Los Angeles per bene delle cartoline cerca di nascondere sotto un tappeto troppo corto.
E proprio questo pare il senso dell'intero lavoro: una sorta di Viale del tramonto di una città che è stata ed è il sogno di migliaia di persone a qualsiasi latitudine, una delle capitali del Cinema e delle stelle, e che nel corso dell'ultimo secolo ha segnato la fine di carriere e vite sacrificate sul suo altare di Eldorado di rampe di lancio che spesso e volentieri rivelano dietro il loro sipario un finale tragico.
Dunque occhi aperti e zitti zitti, perchè non si sa mai chi potrebbe pugnalarvi alle spalle, e soprattutto perchè la Città degli angeli è una puledra selvaggia e per nulla disposta ad andare per il sottile: dunque, se vorrete domarla, dovrete essere disposti a qualche sacrificio.
"A qualcuno la gloria, a qualcun'altro una puttana ed un paesino di campagna", sentenzia Lynn.
E nessuna delle due strade si presenterà ai vostri piedi come un tappeto rosso senza chiedere qualcosa in cambio.


MrFord


"Hush, hush
I thought I heard her calling my name now
hush, hush
she broke my heart but I love her just the same now
hush, hush
thought I heard her calling my name now
hush, hush
I need her loving and I'm not to blame now."
Deep Purple - "Hush" -


mercoledì 16 maggio 2012

Rampart

Regia: Oren Moverman
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 108'



La trama (con parole mie): Dave Brown è poliziotto da ventiquattro anni. E non è mai stato uno che è andato per il sottile. Sul finire degli anni ottanta è stato protagonista di un caso che ha visto l'uccisione di un presunto stupratore proprio per sua mano, e da quel momento in poi la sua carriera è stata segnata dal dubbio che la sua brutalità fosse eccessiva.
A seguito del pestaggio di un sospettato, il suo nome torna alla ribalta mettendolo a confronto anche con gli squilibri della vita privata, fatta di due figlie avute da due sorelle, alcool, una condotta completamente irregolare ed un fascino da maledetto che pare proprio non riuscire a scrollarsi di dosso.
Come se la caverà quando di fronte avrà come potenziali avversari i suoi stessi colleghi e datori di lavoro?




E' davvero un peccato vedere le sale italiane infarcite di prodotti di bassissimo livello mentre all'estero continuano a sbucare come funghi in novembre titoli meravigliosi come Take shelter o interessanti quanto questo Rampart: prodotto dalla stessa squadra che portò sugli schermi l'ottimo Oltre le regole - The messenger e basato su uno script scritto dal regista e dal noto autore James Ellroy, questo film recupera le atmosfere che fecero di The Shield una serie di culto per anni introducendo un personaggio che, pur non avendo nulla di particolarmente distintivo rispetto al già mitico Vic Mackie, esalta una volta ancora le superbe doti di un Woody Harrelson in spolvero incredibile, in grado di trasmettere tutti gli squilibri del protagonista senza che gli stessi possano essere presi come gigionismi da star.
La vicenda di Dave Brown, poliziotto che pare tutto tranne equilibrato ed affidabile ma che, comunque, non da mai l'impressione di essere "assente ingiustificato", pesca a piene mani dal disagio che attanaglia chi è costretto a vivere sulla strada e secondo le sue regole spesso e volentieri obbedendo a direttive create da chi la stessa strada vede soltanto dall'alto di un ufficio con vista panoramica su una Los Angeles che non risparmia niente a nessuno, specialmente nei suoi distretti più borderline: certo, lo scombinato Dave non è certo il prototipo del padre ideale o dell'eroe positivo, ed un collega come lui potrebbe risultare più difficile da gestire che non una sparatoria con un criminale, eppure c'è qualcosa, nella sua poco lucida condotta, in grado di renderlo più affidabile di un qualsiasi burocrate troppo impegnato nella politica - la breve apparizione di Steve Buscemi dice tutto in merito -.
Peccato che, a fronte di un cast in gran forma - Robin Wright soprattutto, spalla perfetta per Harrelson -, la sceneggiatura non risulti espressa in tutte le sue potenzialità, e sottotrame sulla carta interessanti come quella che vede il confronto con la dirigente interpretata da Sigourney Weaver passino in secondo piano rispetto alla parte più "crime" soprattutto nella seconda metà della pellicola, togliendo mordende ad uno script che, considerati i nomi coinvolti nella sua stesura, poteva rivelarsi decisamente più dirompente.
Quello che conta, però, è che nonostante il risultato non sia all'altezza del lavoro precedente di Moverman, Rampart risulti essere un film di genere con due palle d'acciaio, in grado di partire da una cornice ed un contesto assolutamente polizieschi per spostarsi su binari legati alle angosce più profonde dei suoi personaggi, che trovano nell'uccisione che ha segnato la carriera di Dave uno spunto di riflessione di rara intensità: lo stupratore fu ucciso per mettere la pezza su un'indagine svolta male o per giustificare la sete di vendetta del padre di due ragazze? E l'allergia congenita di Brown alla disciplina e alle regole, così come i suoi eccessi, sono davvero messi all'angolo dalla stessa polizia per tutelare il suo buon nome, o tutto è nascosto dietro una questione prevalentemente politica?
Probabilmente la verità non sta da nessuna delle due parti, e i punti da collegare per avere il quadro completo sono da entrambe: in mezzo, però, c'è la vita di Dave, con le persone che ama e quelle che odia.
Primo fra tutti se stesso.
E quando ci si trova nel mezzo, non importa quanto si è duri, o tosti, o pronti a tutto.
Si prendono botte da entrambe le parti.


MrFord


"When I open my eyes
I was blind as can be
and to give a man luck
he must fall in the sea
and she wants you to steal and get caught
for she loves you for all that you are not
when you're falling down
falling down
when you're falling down
falling down falling down."
Tom Waits - "Falling down" -


sabato 12 maggio 2012

La notte non aspetta

Regia: David Ayer
Origine: Usa
Anno: 2008
Durata: 109'



La trama (con parole mie):  Tom Ludlow, un detective dai metodi decisamente sopra le righe della Squadra Speciale della polizia di L. A. protetto dal Comandante Wander, è tallonato dagli Affari Interni a causa delle sue azioni spesso e volentieri ben oltre la legge.
Quando decide di affrontare Washington, suo ex partner che collabora alle indagini che lo vedono come un obiettivo, quest'ultimo viene ucciso da due comuni rapinatori: ma quello che è nascosto sotto il tappeto del Dipartimento è ben più di un fatto di sangue casuale, e Tom scoprirà di dover lottare da solo - o quasi - contro un sistema che ormai appare inesorabilmente corrotto dall'interno.
La strada per la verità sarà dura, terribile e costellata di cadaveri, ma Ludlow non è disposto a venire a compromessi: del resto, la sua vita ed il suo gioco sono sempre stati votati all'estremo.




Ormai sapete bene quanto in casa Ford si apprezzino storie noir e torbide con un sacco di morti ammazzati, intrighi e corruzione come se piovessero, sparatorie ed un gusto per l'action spiccato, pur se messo al servizio di uno script che va oltre quello stesso concetto: La notte non aspetta - pessimo adattamento italiano per l'originale Street kings - rispecchia appieno queste caratteristiche.
Scritto da James Ellroy e portato sullo schermo da David Ayer - sceneggiatore di Training day e già regista del solido Harsh times -, interpretato da manuale dalle garanzie Keanu Reeves e Forest Whitaker, questo film avrebbe tutte le carte in regola per sfondare una porta già spalancata ed entrare a testa bassa trovando un posto tra i preferiti del genere del sottoscritto.
Eppure, come avrete già notato dal voto, la visione non porta a nulla più che una striminzita sufficienza ed una visione giusta giusta per riempire una giornata di relax, andando a contraddire di fatto tutto quello che ho scritto in proposito fino ad ora: cosa, dunque, porta un film potenzialmente di culto ad essere soltanto un riempitivo, pur se ben realizzato?
Principalmente il tempismo.
Infatti, questo lavoro di Ayer giunge con colpevole ritardo rispetto ad altri più o meno capisaldi del genere come L. A. Confidential - sempre targato Ellroy -, il sorprendente e misconosciuto Narc, il già citato Training day ed anche il sottovalutato Copland: il tema della corruzione nel corpo di polizia con l'outsider pronto a riscattare il buon nome - più o meno - del Corpo facendo piazza pulita delle mele marce è un concetto ormai ben noto agli amanti di questo filone, che ha già trovato il meglio del suo meglio anche nell'ambito televisivo grazie a quella meraviglia che fu The Shield - che ha molti punti in comune con questa pellicola -, visione peraltro decisamente più pessimista di quelle fornite dai film appena segnalati.
Nonostante, dunque, il grande mestiere messo al servizio di un film che pare non perdere un colpo, dalla prima all'ultima sequenza la sensazione è quella del deja-vù persistente che tende a sminuire il valore finale dell'opera, rendendola niente più di un normale poliziesco a tinte forti a confronto di precendenti pietre miliari della stessa pasta da duri ammazzacristiani.
Un peccato, tutto sommato, perchè le premesse del piccolo "must see" ci sono tutte, soprattutto se non si bazzica molto da queste parti - cinematografiche o letterarie che siano - e non si è abituati ad un certo tipo di evoluzione della trama, che per il sottoscritto è stata una sorta di libro aperto dall'inizio alla fine, se non per qualche dubbio rispetto all'identità dei due killer dell'ex collega del protagonista - interpretato, tra l'altro, da Terry Crews, già visto alla corte di Sly e dei suoi Expendables -, vicenda gestita peraltro in maniera tutt'altro che perfetta: per il resto la fanno da padroni il cast - numerosissimi i volti noti, e oltre a quelli già citati spiccano Hugh Laurie e Chris Evans, tra gli altri - e la stessa L. A., praticamente un protagonista a se stante, rovente anche nella notte più oscura e sempre pronta a celare un segreto dietro ogni svolta di strada.
Resta comunque interessante la parentesi - che pare una neppure troppo ironica denuncia - dedicata alle lamentele della gente di strada rispetto ai maltrattamenti subiti dai poliziotti, rinforzata dal commento di Ludlow che laconico spiega alla sua donna che in quanto tali loro sono autorizzati a fare quello che vogliono, perchè la verità è e sarà sempre quella che sono loro stessi a scrivere sul verbale.
Insomma, se siete veterani di questo tipo di visione, tenetevi La notte non aspetta come riempitivo di lusso in attesa di serate migliori, mentre se normalmente il noir in pieno stile "Dirty Harry" non è il vostro pane quotidiano, potreste addirittura pensare di essere di fronte ad un nuovo termine di paragone per il genere.
Almeno fino a quando non scoprirete quelli che sono venuti prima di lui.


MrFord


"It's a house arrest - everybody run
I gotta plead guilty havin' - too much fun
this is a house arrest - up against the wall
we can't stop rockin' justa havin' a ball - one and all."
Bryan Adams - "House arrest" -


 

venerdì 5 agosto 2011

KO Tecnico: la letteratura secondo Bens&Ford


La trama (con parole mie): così come i round in un incontro tosto che più tosto non si può, si susseguono le collaborazioni tra il vecchio cowboy ed altri viaggiatori incontrati al saloon. Questa volta tocca a Bens lettrice accanita e ruvida cantrice dei postumi da romanzo.
Per iniziare a scaldarci prima di continuare la collaborazione dedicandoci a qualche lista come le Blog Wars insegnano, abbiamo deciso di fare una corposa chiacchierata a proposito di un genere che riesce sempre a colpire entrambi come il colpo del KO: l'hard boiled.


Non è questione di gusti. È questione di scelte. Umane, non letterarie. Quindi siete liberissimi di andare via, di vendervi l’anima al perbenismo calvinista, di fottervi il cervello in concettualismi puritani. Questa è roba per chi ha scelto la disfatta al trionfo napoleonico, il ferro al cioccolato, il rum allo Chardonnay, la rumorosa solitudine di Settembre al muto caos di Maggio; è roba per chi offre il viso ad una sberla piuttosto che ad un cinico ammiccamento. Quindi, se non ve la sentite di perdere un po’ di sangue dal naso e farvela sotto, non c’è problema. È una questione di scelte, no?!

Bens

Fatevi sotto, dunque, se avete coraggio: questo è l'hard boiled.

Ford

Il vecchio Bunk: detenuto, romanziere, sceneggiatore, attore e chi più ne ha più ne metta.
Bens Io a Eddie Bunker devo tutto. La maggior parte delle mie letture successive è dipeso, e in un certo senso dipende ancora, da quel primo incontro con “Educazione di una canaglia”. È stato il mio 9 Termidoro: sanguinario, arterioso, implacabile, inarrestabile. Bunker mi ha teso la mano offrendomi il suo stomaco maciullato, le sue ossa spezzate, i calci in pieno volto, la terra imprigionata tra ciglia raggrumate da sangue secco che disegna profili deformi di zigomi putrefatti. Bunker mi ha regalato questo, una maschera di sangue che urla oscenità, un naso incollato al pavimento umido di una cella mesta guarnita dal nauseabondo fetore di piscio asciutto.
E poi mi ha teso l’altra mano: espiazione. Più animalesca di una sodomizzazione non autorizzata, primitiva come un morso che affonda nella carne viva, intensa come la follia dell’incomprensibile. Ecco, Bunker scriveva di uomini mentre il resto del mondo raccontava storie.

Ford Il vecchio, cagnesco, redento Eddie: anch’io devo molto ad un autore che è stato in grado di mostrare quanto, in letteratura – ma cazzo, anche nella vita – sia importante conoscere ed avere esperienza di tutto quello che si sceglie di raccontare. Più che una questione di utilità stilistica, parliamo di sincerità, di onestà verso il lettore.
La prima volta che assaggiai le sue pagine disperate, eppure sempre ribollenti passione e speranza, fu con “Little boy blue”, legato a doppio filo con “Educazione di una canaglia”, nonché versione romanzata di quella che è, a tutti gli effetti, l’autobiografia dell’autore.
Ma fu “Come una bestia feroce” a fare la differenza. Max Dembo, con il suo sforzo di rientrare in una società che, a ben guardare, non l’ha mai davvero voluto, la sua faccia da schiaffi ed i suoi “fanculo” alle regole del mondo, ha scassinato tutte le mie cassaforti interne divenendo il capostipite dei “maledetti” che tanto mi conquistano tra le pagine dei libri così come sul grande o piccolo schermo. Max Dembo è stato lo spartiacque tra il giovane Ford frenato da un carattere sempre un pelo troppo chiuso e quello dalla parolaccia facile e l’alcool deciso della “maturità”, il primo tra i tanti Sawyer amati per le loro imperfezioni, i disequilibri, gli slanci di umana passione e la ferocia degli altrettanto umani egoismi. Sincerità, si diceva.
Forse sono solo uno stronzo, proprio come Max Dembo. E l’ho scoperto grazie a Bunk.
 
Uno dei romanzi più importanti della letteratura americana contemporanea
Bens Sai qual è l’ultimo libro che per intensità umana, a tratti prevaricando quella letteraria, mi ha ricordato Bunker? “Il potere del cane” di D. Winslow.
Ovviamente Bunker sfiorava dei picchi di intimismo degni del più travagliato Van Gogh, mentre Winslow al massimo raggiunge la minuzia di Seurat. Ma prima di far conoscenza con la simpatica famiglia Barrera non avevo mai letto nulla di tanto malvagio. Il male assoluto, forse un po’ troppo stereotipato, a volte ipocrita. Un male che previene la nascita del più timido germoglio, che inaridisce e ti mastica per poi risputarti a terra, madido di bava e ciancicato, come un pezzo di tabacco della più infima qualità.
“Il potere del cane” è un libro cattivo, la violenza si lascia alle spalle ettari ed ettari di speranze bruciate, carcasse di vite spezzate, pietismi calpestati; e non importa a nessuno quanto bene tu possa fare, le cicatrici dell’orrore rimangono visibili sulla pelle martoriata.
Questo libro ha avuto su di me lo stesso impatto, fastidioso e magnetico che esercitò “Il Conte di Montecristo”, proprio come Bunker rispolverò gli amplessi emotivi della giovane e ruvida lettura di “Delitto e Castigo”.

Ford Il potere del cane. Il potere del cane. Il potere del cane.
Devo continuare a ripetermelo come se dovessi risvegliarmi da un sogno, un brutto sogno.
Uno dei libri più sconvolgenti che abbia letto negli ultimi dieci anni, una meraviglia per il cuore, per quanto crudele la stessa sia. 
Ho ancora impressa a fuoco quella volta in cui, salendo le scale della metropolitana, dovetti interrompere la lettura per non "vedere" Parada morire, o quando rimasi sconvolto dall'intensità della notte d'amore di Sean e Nora. Roba da essere lì, come se fosse un ricordo.
Quante volte noi possiamo dire di aver vissuto così intensamente qualcuno, in un letto? Winslow deve aver scavato in se stesso, per trovare pagine e personaggi così incredibilmente vivi, pieni, traboccanti quella cazzo di passione che ti sfonda a calci o apre il suo cuore solo per te, perchè tu sei l'unico per lei.
Il potere del cane, però, non è solo uno dei più grandi romanzi che la letteratura americana contemporanea abbia regalato a noi poveri stronzi, ma anche un monito: perchè quelle sono pagine, un intrigo legato al traffico di droga e alla politica, qualcosa di così grande da essere inseguito da Art Keller per una vita intera, eppure il potere del cane è lì, in agguato, che latra in ognuno di noi. Il tuo dove si nasconde?

Bens Il mio si nasconde dove nessuno lo può vedere: in superficie. E comunque, caro Ford, sei proprio un romanticone! Sai cosa mi ricordo bene di questo libro? Bambini che volano giù da un ponte, la testa mozzata di una donna con gli occhi increduli di chi si stupisce del labile confine che, a volte, separa il sesso dalla violenza, stragi gratuite in bische clandestine e la solitudine di Art Keller che combatte una guerra, da solo, più per orgoglio che per senso della giustizia.
Ma tu, giustamente, da lettore navigato ti chiedi dove Winslow abbia preso tutto quell’amore e appagamento, mentre dettagliatamente descrive rocambolesche acrobazie pubiche. Secondo me, il caro Don, questa scena l’ha tirata fuori dallo stesso posto in cui Meg Ryan tirò fuori quell’orgasmo in “Harry ti presento Sally”.

Ford Tu dici, Bens!? Io invece sostendo l'ipotesi del bunkerismo, e credo che le cose migliori vengano fuori dall'esperienza di uno scrittore, per quanto filtrata ed abbellita possa essere dalla prosa. 
Per la simpatica Meg non c'è posto nell'affresco terribile de Il potere del cane.
Mi dai del romanticone? Allora vuoi proprio che ti riveli un segreto: il potere del cane vive attraverso le gesta del personaggio con l'anima più oscura di tutta la storia, quel Tiburon che non guarda in faccia nessuno, perchè è l'unico che ha accettato davvero quel compromesso.
Neanche i Barrera si spingono tanto oltre.
El Tiburon ha capito che il potere del cane è parte di noi.
E non fa nulla per tenerlo a cuccia.

Bens El Tiburon. Avrebbe fatto rabbrividire anche Stavrogin. Tuttavia i miei precedenti riferimenti al male stereotipato, non ti nascondo mirassero, per buona parte, a lui.
Io ne ho odiati di personaggi, da Sorel a Javert, da Cathrine Earnshaw ad Emma Bovary e li ho odiati per quei fallimenti umani che si trascinavano dietro, patetici riflessi delle nostre comuni debolezze, emarginati custodi di vizi ed invidie, divinità greche ferite. El Tiburon è troppo cattivo, rasenta la banalità caricaturale, quindi come si fa ad odiarlo? Secondo me, era solo matto.

 Ford Una caricatura che non vorrei mai trovarmi a disegnare, quella del Tiburon. Un male così terribile, meschino e selvaggio da riportarmi alla mente Grenouille, in assoluto il personaggio che più ho detestato nel mio percorso di lettore.
Anche El Tiburon non emana alcun odore. Il suo è un destino nato, cresciuto e finito sotto il potere del cane nella sua forma più pura. Così terribile che neppure le peggiori e più oscure pagine del Lansdale de Il mambo degli orsi o Il valzer dell'orrore, o la violenza sotterranea del cinico Mickey Spillane possono pensare di poter sostenere. Il male oscuro del noir più nero.


Il buon vecchio Joe Lansdale, uno degli idoli di casa Ford, nonchè creatore della coppia più incredibile di investigatori della letteratura: Hap Collins e Leonard Pine.
Bens Io, con tuo grande disappunto, ho letto solo “Rumble Tumble”, più che altro per avere un’idea, generale sì, ma sufficiente, circoscritta tuttavia alla coppia Hap&Leonard. Mi aspettavo i fuochi d’artificio ed invece sono stata indisposta da bambineschi petardi che non farebbero saltare in aria nemmeno una fabbrica cinese costruita con il cartongesso.
Hap e Leonard sono simpatici come il compagno di corso che ti fa copiare l’esonero di Politica Economica. Grazie per il 26 e arrivederci: limitiamo però i contatti ad un puro gioco di benefici contrattuali.
Poi invece c’è l’amico genuinamente travolgente, senza nessun tipo di sforzo, come il Doc Sportello di Pynchon, per il quale ti faresti anche cacciare dall’aula il giorno della discussione della tua tesi. Quanto sei disposto a perdere? È una questione di sacrifici, anche con i libri. Ora ti dico una cosa che non c’entra nulla con quello di cui stiamo discorrendo, ma qualche giorno fa si ruppe una zampa del mio letto e per compensare l’altezza delle tre rimaste intatte, mia madre mi obbligò, letteralmente, ad usare alcuni dei miei libri. Ho salvato solo Pynchon, Moresco ed “Educazione di una canaglia”. Mentre Ellroy, Winslow, Chandler , hanno combattuto per 8 ore sotto il mio peso. Avrei dormito per terra, altrimenti.

Ford Il peso della cultura e quello della vita. Una bella metafora davvero. Ti sei salvata in corner, perchè nessuno parla male di Hap e Leonard – e cazzo, nessuno legge "Rumble tumble" prima di "Una stagione selvaggia" – e la passa liscia, dalle mie parti.
Inoltre, che ci vuoi fare!? Sarà che sono uno di quelli “che tengono i cavalli” - e prendo in prestito Peckinpah, McQueen e il Cinema, per stavolta – ma io preferisco stare con le spalle larghe a reggere peso che menarmela bello tranquillo sul comodino. 
E ti dico un'altra cosa: il vecchio Bunk, questo sgarro, non lo apprezzerà di certo.
Perchè lui sarebbe stato là in basso con me, Chandler, Winslow e, senza dubbio, i signori Collins e Pine.

Bens Ok, colpita ed affondata. Ma la mia era solo compassione femminile. Bunker in quel libro viaggia sui livello del più accorato Hugo, ecco perché mi ha fatto rabbia leggere Ellroy subito dopo. È stato come venir spinta giù dal carro dei vincitori, come un attacco di diarrea in un sconquassato bagno della metropolitana di Brooklyn (ogni riferimento a cose e persone è puramente casuale, ovviamente) o come pezzi di spinaci che, impavidi, si ancorano tra denti e gengive, durante la cena di un primo appuntamento.
Ellroy è il manifesto della geometria, è la quintessenza del radicalismo manicheo e la sua gamma di colori non va oltre un indisponente grigio topo. Ellroy è inodore, non c’è lo sbattimento genitale ed emotivo che converrebbe ad ogni libro “serio”: niente sudore, storia, passato, personalità. Vuoto, come il mio pacchetto di sigarette.

James Ellroy, il fighetto dell'hard boiled
Ford Questo te lo concedo, del resto si sa che l’esperienza – come Bunker insegna e Lansdale e Winslow tentano ostinatamente di trasmettere – e la passione per la vita – qualsiasi vita, a qualsiasi livello – siano determinanti per definire lo spessore emotivo di un romanzo, così come la sua capacità di reggere anche il peso di un letto, qualsiasi uso se ne faccia quando ci si sta sopra.
Spillane e Chandler, invece, stanno nel mezzo, quasi fossero degli ottimi incassatori che paiono farsi piccoli piccoli all’angolo per poi sfoderare l’uno due al corpo che ti piega togliendoti il fiato per finirti senza troppi patemi con un gancio dritto alla mascella. Ma qui si finisce in territori addirittura nordici, e prima che venga rapito dall’alcool facile e dalla mascella rotta di Harry Hole, direi che è il caso di battere cassa per questa dissertazione, e prepararsi a sparare le prossime cartucce.

Bens Alla mia età è difficile dividere la propria vita in capitoli: è tutta una somma di anni scolastici sfangati, passaggi in motorino rubati, coprifuochi violati, punizioni scontate. Ma se c’è un momento che non si è perso nella confusione dei miei vent’anni è stato quel primo Bunker letto.
Il giro di boa. Ci siamo guardati, studiati, annusati. Con diffidenza prima per poi scivolare in conturbanti amplessi di pagine sfogliate: come due adolescenti che si scoprono attraverso il sesso. Poi sono arrivati Winslow, Chadler, Ellroy, Lansdale, il Pynchon di Vizio di Forma, tutti accolti con la stessa voluttuosità di una notte d’amore, più o meno soddisfacente.
Vorrei solo che si apprezzasse l’hard boiled per i denti rotti, il sangue incrostato, i cazzotti sulla bocca dello stomaco, la rassegnazione, la paura di scoprirsi migliori, il compromesso, la perdita, l’umanità, lasciando ai poveri di cuore le scornate rifilate dalla purezza di ben altre letture.

Ford Dici giusto. In fondo, l’hard boiled è il balsamo per le ferite dei passionali, di quelli che scrivono e vivono con la pancia, prima che con la testa, e trovano il loro stile nel non averlo.
Quelli che si svegliano senza ricordarsi dove si sono addormentati, e spesso e volentieri passano dei guai, per questo. E quelli che lo facevano alla tua età, e poi, un passo dopo l’altro, un’esperienza dopo l’altra, finiscono per gustarsi un passo felpato e tranquillo, come vecchi gatti imbolsiti dalle ferite che cominciano a sparire sotto il pelo.
Che, come si dice in giro, si può anche perdere senza dover rinunciare al vizio.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...