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mercoledì 21 febbraio 2018

Fabrizio De Andrè - Principe libero (Luca Facchini, Italia, 2018, 193')




Personalmente, credo che Fabrizio De Andrè sia il più grande cantautore della Storia della Musica italiana, e senza dubbio tra i migliori in assoluto di tutti i tempi: ho sempre pensato che, se fosse nato in Inghilterra o negli States ed avesse cantato in inglese, avrebbe eclissato gente non proprio poco nota come Bob Dylan.
Dischi come La buona novella o Non al denaro, non all'amore nè al cielo sono e resteranno vere e proprie pietre miliari, senza contare opere come Creuza de ma: il vecchio Faber, figlio della Genova bene pronto a vivere sulla pelle gli umili, i derelitti, i poveri cristi e tutti i loro peccati, dall'animo anarchico e dal carattere difficile, dalla paura del palco al fascino della bottiglia e delle donne, è senza dubbio una figura affascinante a prescindere dal valore artistico della sua opera, di quelle che, da queste parti, troveranno sempre uno sgabello ed un bicchiere pieno.
Principe libero, passato prima in sala e di recente trasmesso in due puntate dalla Rai, mostra uno spicchio del mondo interiore del grande cantautore, dal rapporto profondo seppur conflittuale con il padre - un sempre ottimo Ennio Fantastichini - ed il fratello, all'amicizia fraterna con Paolo Villaggio, dalle simpatie politiche al rapimento, dalle infedeltà e le fughe alla famiglia allargata e l'amore per Dori Ghezzi: grazie ad un sempre ottimo Luca Marinelli - forse il volto più promettente del giovane Cinema italiano - e alle canzoni di De Andrè il viaggio, nonostante qualche taglio di troppo ed un finale forse un pò frettoloso, risulta sentito e coinvolgente, pronto a mostrare un'epoca in cui nel nostro Paese si era pronti a lottare molto più di quanto non si sia ora, e dal Cinema alla Musica il fermento era tale da portare alla ribalta artisti geniali come, per l'appunto, Villaggio e De Andrè, ma anche Tenco, al quale è dedicata una bellissima parentesi.
La parabola di Faber, o Bicio, come lo chiamavano affettuosamente in famiglia, dalle prime notti nelle osterie e nei vicoli genovesi alla ribalta fornita inizialmente da grandi nomi come Mina che cantarono le sue canzoni fino ai successi che lo resero quello che è ora, è simile a quella dei protagonisti delle sue canzoni, costruita e resa forte più dalle cadute che dai successi, ed è raccontata in modo delicato e lirico anche grazie alla scelta di inserire come accompagnamento nei raccordi di narrazione brani tratti da Anime salve, il suo ultimo disco di studio, registrato tre anni prima della morte avvenuta all'inizio del novantanove.
Fabrizio De Andrè, ed è questo il bello delle sue canzoni e anche di questo film verace ed imperfetto, prima ancora che un principe libero era un uomo in tutte le sue contraddizioni, che dalle debolezze e dai peccati ha tratto una forza espressiva unica come una voce che "non è quella di un cantante", e dalla penna di qualcuno pronto a continuare a dubitare di se stesso anche di fronte all'evidenza.
In tutta onestà, le oltre tre ore spezzate in due parti mi sono sembrate addirittura poche, per tentare di raccontare la storia e la poesia di un artista che continua a sorprendermi e rivelarsi ascolto dopo ascolto - la stessa Julez, al momento del passaggio de Il pescatore, ha avuto un'epifania dopo trent'anni di ascolti di quelle che solo il Faber può regalare -, che è riuscito a trasformare in magia le vite sporche, gridate, graffiate, lottate che partono dal basso ed alzano la testa senza più abbassarla.
Fosse anche solo un'ora.
Quell'ora di libertà che non fa distinzioni, perchè come la cattiva strada, ci rende tutti Uomini.
Con i nostri occhi spalancati e i nostri pozzi profondi.




MrFord




 

venerdì 7 febbraio 2014

Michel Petrucciani - Body and soul

Regia: Michael Radford
Origine:
USA
Anno: 2011
Durata: 102'




La trama (con parole mie): un viaggio nell'esistenza di Michel Petrucciani, uno dei più grandi pianisti jazz di tutti i tempi, nato in un piccolo villaggio francese con una malattia genetica che lo rese fragile e quasi fanciullesco nell'aspetto e che non fece che accentuare la grande voglia di vivere e bruciare la candela dai due lati dell'artista.
Dalle prime note suonate in famiglia ai concerti in tutto il mondo, dagli eccessi legati ad alcool e droghe alle avventure sentimentali, Petrucciani è raccontato dalle persone che più l'hanno amato, che gli sono state vicine e che hanno sofferto per lui, che l'hanno visto brillare ogni volta che sedeva ad un pianoforte ed iniziava a suonare ed hanno perso un riferimento quando, a soli trentasei anni, l'artista di è spento a New York, nel 1999.
Una cronaca intensa e non priva di ombre di uno dei grandi volti del jazz, primo non americano a conquistare incondizionatamente musicisti e platee oltreoceano.





Nonostante abbia passato gran parte della post adolescenza lavorando in negozi di dischi sfruttando gli stessi per ampliare il più possibile la mia cultura musicale spaziando praticamente in tutti i generi, conoscevo Michel Petrucciani solo di nome, colpevole di averlo clamorosamente snobbato ai tempi di Virgin e dell'apice del mio radicalchicchismo musicale - fortunatamente superato, come quello cinematografico - a causa dell'enorme successo che ebbero i suoi album nel periodo appena successivo alla morte, avvenuta all'inizio del novantanove, che lo resero un fenomeno di massa nonostante si trattasse di un artista assolutamente lontano dalle logiche di mercato - come tutto il jazz, del resto - al quale continuavo a preferire i Classici come Monk, Miles Davis o il mio personale favorito, Charles Mingus.
Grazie, invece, a mio fratello, ho potuto riscoprire la figura certamente leggendaria di questo incredibile musicista, dotato di una tecnica quasi oltre l'umano ed afflitto da una patologia genetica che lo costrinse ad una vita certamente non semplice, seppur lui continuasse a sottolineare il contrario - "Vorrei potervi dire che sto male, che soffro o che la mia esistenza è un inferno, ma non è così: giro il mondo, ho donne e denaro, vivo ogni giorno fino in fondo" -, l'osteogenesi imperfetta, che oltre ad ossa terribilmente fragili porta in dono una statura ben oltre il nanismo e malformazioni dovute alle reiterate fratture.
Il documentario di Michael Radford - noto più per Il postino e Il mercante di Venezia, pellicole di fama internazionale - si concentra sulla figura di Petrucciani filtrata attraverso filmati di repertorio e racconti di amici, compagni di palcoscenico, conoscenti e mogli, regalando al pubblico un ritratto sentito e mai troppo retorico di uno dei più grandi musicisti di fine novecento, nato in un piccolo villaggio della campagna francese e giunto a conquistare il mondo con il suo talento, fiero di aver vissuto più dell'idolo Charlie Parker ed esibitosi accanto ai più grandi che il jazz di quel periodo conoscesse: un uomo avido di vita ed esperienza, che fin dall'adolescenza - a diciotto anni si stabilì in California, a Big Sur, e proprio in quei luoghi leggendari per il surf ebbe le sue prime esperienze lontano da casa e nel mondo della musica "che conta" - mostrò interesse per tutto quello che avrebbe potuto regalargli un'emozione, conscio di un Destino che non avrebbe previsto una vecchiaia.
Dunque, dall'alcool alle droghe, passando per una quantità infinita di concerti ed incisioni, Michel si ciba avidamente della musica e del mondo, spesso e volentieri senza troppo preoccuparsi di chi si lascia alle spalle - il suo rapporto con le mogli, lasciate tutte dall'oggi al domani per la donna successiva, fu sicuramente complesso, ma ugualmente tanto intenso da far trasparire tutto l'amore che le stesse compagne continuano ancora oggi a provare per lui - e preoccupandosi di prendere in misura uguale - se non maggiore - a quanto la sua arte sia riuscita a regalare al pubblico in ogni angolo del pianeta, appassionati e non.
La stessa vicenda del figlio - nato, con grande dispiacere di Petrucciani, anch'egli soffrendo di osteogenesi imperfetta - porta ad una riflessione più profonda: la scelta del pianista e della sua compagna di non interrompere la gravidanza è senz'altro più complessa di quanto non si possa considerare o inevitabilmente giudicare dall'esterno, e ad un tempo potrebbe avere il sapore di grande forza o grande egoismo.
In un certo senso, due caratteristiche fondamentali per chi cerca, con il suo talento, di lasciare nel mondo un segno indelebile del suo passaggio.



MrFord



"You gotta squeeze a little, squeeze a little
tease a little more
easy operator come-a-knockin' on my door
sometime, anytime, sugar me sweet
little miss innocent sugar me, yeah
give a little more."
Def Leppard - "Pour some sugar on me" - 



venerdì 11 ottobre 2013

Hitchcock

Regia: Sacha Gervasi
Origine:
USA
Anno: 2012
Durata:
98'




La trama (con parole mie): Alfred Hitchcock, Maestro indiscusso del Cinema thriller e non solo, ritratto ai tempi della realizzazione del controverso Psyco, che finirà per rivelarsi il suo più straordinario e celebrato successo di pubblico e critica.
Dal rapporto con la moglie ed inseparabile compagna d'arte Alma a quello con le sue attrici, dalle insicurezze nella vita privata alle certezze incrollabili sul set, la figura di uno dei più grandi geni della settima arte rappresentata dai retroscena di quella che è la sua opera più nota, la ciliegina sulla torta di una carriera sfolgorante e clamorosa che ancora oggi riesce a fare invidia non soltanto agli aspiranti registi, ma addirittura agli spettatori.
Uno sguardo rivolto ad Hitch, ma anche e soprattutto ad Alfred Hitchcock.





"Io sono solo quello che sta dietro la macchina da presa, ad osservare", afferma placido Alfred Hitchcock detto Hitch, per tranquillizzare la diva della sua scommessa più grande, quel Psyco che si rivelerà un successo senza precedenti nella sua carriera.
Nessuno saprà mai con certezza se l'apparente sicurezza del Maestro fosse alimentata dalla consapevolezza nei propri mezzi o dalla fiducia in un sogno, o se fosse diretta a Janet Leigh o a lui stesso: stando a quel che propone con piglio maniacale e grande partecipazione Sacha Gervasi, poco importa.
E onestamente, sento di poter stare dalla parte del cineasta inglese.
Hitchcock, grottesca e piacevole chicca a proposito di Cinema e Vita mascherata da biopic di un grandissimo, ne è la prova assoluta ed inconfutabile.
Il piacere che si prova osservando il lato umano di un'epoca magica per la pellicola e la sala, di un regista che è, di fatto, un'icona, di un "grande Uomo alle spalle del quale fu presente una grande Donna", è indescrivibile, e la visione di questo gioiellino che non sarà una pietra miliare ma senza dubbio regala una carica emotiva enorme per ogni amante del grande schermo è una di quelle piccole gioie in grado di far dimenticare le brutture della vita e la magia che, in tempi non sospetti, conquistò questo vecchio cowboy portandolo a diventare una sorta di esigente dipendente di una proiezione al giorno, dovendo fare i conti con tutta una serie di tempistiche legate al resto della vita.
Hitchcock non sarà, dunque, uno dei titoli pronti a fare bella mostra delle proprie qualità nella top ten del meglio dell'anno fordiano, eppure è senza alcun dubbio riuscito non soltanto a mettere addosso al sottoscritto una voglia irrefrenabile di recuperare - e recensire - il già citato Psyco e Gli uccelli - splendida la beffarda chiusura -, ma a trasmettere la passione, la magia e la dimensione che l'indimenticabile autore anglosassone è riuscito a trasmettere al suo pubblico attraverso la quasi totalità delle sue opere.
Quella che, dunque, sulla carta appariva solo ed esclusivamente come un'operazione nostalgica/commerciale atta a fare leva sui fan di nicchia pronti a dare la caccia alla collezione completa di dvd o bluray del mitico Alfredone non appena usciti dalla sala si è rivelata una perfettamente funzionante macchina del tempo in grado di riportare indietro chiunque fosse disposto a tuffarsi in quello che, di fatto, rappresenta un dietro le quinte della vita e della poetica hitchcockiana - meraviglioso l'utilizzo di Ed Gein, terrificante serial killer statunitense che ispirò Robert Bloch ed il Nostro per Norman Bates e dunque Thomas Harris e Jonathan Demme per Il silenzio degli innocenti come "Grillo parlante" del regista, neanche ci trovassimo all'interno di un onirico e strampalato noir -, un the delle cinque con delitto confezionato ad arte per ritrovarsi con il cuore in gola e la convinzione di aver assistito ad una svolta fondamentale non soltanto di un'epoca, ma del vero e proprio big bang di una forma di narrazione destinata a cambiare il mondo della comunicazione e non solo.
Splendido il cast, dagli strepitosi Hopkins e Mirren alle normalmente legnose Johansson e Biel, perfetta la ricostruzione, madmeniana la cornice: ma non è certamente soltanto questo, a rendere straordinariamente piacevole questa visione.
E' lo spirito del rischio che anima chi è genio, e chi no, la voglia di provare sulla pelle il sapore della libertà, creativa, di vita e di idee, che ci permette di indulgere nell'errore per scoprire quanto è importante quello che apparentemente pare non avere importanza, dalla segretaria sempre presente all'eminenza grigia che è tanto di più lontano dall'essere grigia da risultare una stella decisamente più brillante della nostra.
E' il caso di Alfred e Alma.
Del Cinema e di Hitchcock.
Che non avrà voluto il "gallo" a richiamare il suo nome, ma che senza dubbio era quanto di più importante ci fosse nell'aia della settima arte a quei tempi.
E non solo.


MrFord


"We get so far
and then it just starts rewinding
and the same old song
we're playing it again
suspension without suspense."
No Doubt - "Suspension without suspance" - 


domenica 12 febbraio 2012

Whitney Houston (1963 - 2012)

So long, Whit.

MrFord


"Possiamo aspettarci altre cose da Whitney, ma anche se non dovesse regalarci più nulla, rimarrà comunque la voce nera più eccitante e originale della sua generazione."
da un monologo di Patrick Bateman, American Psycho, Bret Easton Ellis


venerdì 20 gennaio 2012

Etta James (1938 - 2012)



So long, Queen of soul.


MrFord


"I want a Sunday kind of love
 a love to last past Saturday night
and I’d like to know
it’s more than love at first sight
and I want a Sunday kind of love
oh yeah, yeah."
Etta James - "Sunday kind of love" -


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