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mercoledì 26 agosto 2015

Joker - Wild card

Regia: Simon West
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 92'






La trama (con parole mie): Nick Wild è un tuttofare nell’ambito della sicurezza anglosassone trapiantato malvolentieri a Las Vegas che sogna di mollare tutto per cinque anni, comprare una barca e navigare dalla Corsica in tutto il Mediterraneo.
Quando una giovane prostituta d’alto bordo sua amica finisce per chiedergli aiuto dopo essere stata violentemente percossa dal figlio di un boss locale, e Nick, da buon cavaliere, accetta di sistemare le cose per lei, le carte sul tavolo della guardia del corpo cambiano: ritrovatosi con nuovi nemici, uno strano cliente e venticinquemila dollari, con una notte ancora da trascorrere nella Città del Peccato, decide di giocarsi il tutto per tutto al tavolo di Blackjack.
Riuscirà a guadagnare abbastanza da abbracciare il suo sogno lontano dagli States?
O l’alcool, la predisposizione alla sconfitta e la minaccia del padre del rampollo che ha contribuito a sbatacchiare intralceranno i suoi piani?








Tendenzialmente, la mia inguaribile nostalgia per il Cinema action anni ottanta rispetto alla penuria di proposte in grado di reggere il confronto attuale mi porta a considerare assolutamente imperdibile ogni proposta che garantisca la presenza nel cast di Jason Statham.
Se, poi, dietro la macchina da presa si trova Simon West, parte integrante della figata estrema che è stata la saga degli Expendables, i dubbi finiscono per scendere sotto zero: Wild Card, gioco di parole legato alle carte ed al cognome del suo protagonista, è un prodotto atipico, rispetto a quello che ci si aspetterebbe considerate le premesse, ovvero una sequela infinita di botte rifilate dal nostro inglese spaccaculi preferito ai suoi rivali di turno.
La vicenda di Nick Wild, infatti, è più una sorta di nostalgica riflessione sulla natura di outsiders che non il classico prodotto tamarro e sopra le righe che ci si aspetterebbe considerati i nomi sul cartellone, e che, paradossalmente, proprio in questa sua diversità mostra un fascino perso, ancor più paradossalmente, proprio nelle sequenze action a tutti gli effetti, appesantite da ralenti stile Matrix decisamente superati ed evidentemente accessorie rispetto alla vicenda principale narrata dagli autori.
La posizione del protagonista, loser nonostante le potenzialità, e perfino nella vittoria – si veda il suo ruolo nel confronto tra il boss e la sua amica, o la sequenza d’apertura, prevedibile eppure inaspettata, quantomeno rispetto ai fan di Statham – destinato alla polvere, rappresenta lo spunto più interessante di un action assolutamente atipico, non nuovo all’attore – era già capitato con il sottovalutato Homefront, che spiazzò anche questo vecchio cowboy, scritto, tra l’altro, da Sly in persona – e decisamente più legato all’aspetto crepuscolare di un certo tipo di eroe che non al suo essere un “buono”, o un “vincente”.
La parte di pellicola ambientata nel casinò, con Nick intento a giocarsi tutte le sue carte, i soldi ed i sogni sul tavolo verde alzando sempre di più la posta, infatti, è indicativa rispetto a quello che, probabilmente, West e soci vanno ricercando fin dai tempi dell’operazione Expendables già citata: purtroppo, una certa epoca è inevitabilmente tramontata, e per quanto noi si possa sognare e sperare di no, dobbiamo accettare il fatto di essere destinati a perdere la partita, probabilmente perché guidati da sogni che, in una certa misura, desideriamo rimangano tali proprio perché perfetti per spingerci un giorno dopo l’altro ad inseguirli.
Le presenze di Sofia Vergara, Milo Ventimiglia – un vero cane – e Stanley Tucci fanno, come Las Vegas, da sfondo ad una parabola da tramonto di fine estate incentrata – come è giusto che sia in questi casi – su un protagonista che è impossibile non amare, un lone wolf d’altri tempi in grado di ricordarci, purtroppo, che il West e la Grande Frontiera sono tramontati, e con loro i tamarri sopra le righe figli degli eighties, destinati ad una nostalgia che non potrà mai essere placata, come una sete dagli appetiti insaziabili, o la ricerca di chi non si accontenta di sopravvivere, ma finisce per voler vivere sempre di più, sempre un passo oltre.
E’ il grande limite ed il grande pregio di prodotti come questo, che segnano la fine di qualcosa eppure, in qualche modo, ne officiano l’immortalità: perché tutti quelli guidati da una certa passione, continueranno a sognare una barca nel cuore del Mediterraneo, ad anni lontani da tutte le quotidianità del mondo.
Che si riescano, oppure no, poco importa.
Quello che farà la differenza, sarà l’aver tentato, l’aver vissuto, l’aver lottato.



MrFord



"My odds are stacked
I've never been a gambling man
I've never had the winning hand
but for you I'd lose it all
my odds are stacked
I've never been a gambling man
I've never had the winning hand
but for you I'd lose it all
(baby I'd lose it all)."
The Overtones - "Gambling man" - 





mercoledì 5 agosto 2015

Wednesday's child

La trama (con parole mie): in pieno clima vacanziero, una settimana trash quanto basta con due sole uscite. Il meglio per chi, come il sottoscritto, è in spiaggia a non fare quasi nulla.
Peccato solo per la presenza di Cannibal Kid, che arriva come una nevicata in pieno agosto.

"Piuttosto che andare in macchina con Ford, prendo la bici per andare in vacanza."
Joker - Wild Card

"Cannibal, la prossima volta che mi disturbi mentre bevo un White Russian ti scasso di mazzate."
Cannibal dice: Film con Jason Statham diretto dal (pessimo) Simon West, quello di Tomb Raider e I Merdenari 2, per intenderci. Considerata la penuria di uscite, potrei comunque guardarmelo giusto per massacrarlo un po'. E, soprattutto, per far incazzare quel permalosone di Ford. Soddisfazioni in arrivo!
Ford dice: Statham? Simon West? Botte da orbi? Questa è l'estate che voglio!



Tracers

"Non dovevo fare braccio di ferro con Ford: sono tutto rotto."
Cannibal dice: Pellicola d'azione tra parkour e acrobazie in bicicletta con il pupetto mannaro Taylor Lautner? Trashata garantita. In più, è uno di quei film che potrebbero infastidire Ford, che considera l'action un genere serio. Dico sul serio. Altre soddisfazioni in arrivo!
Ford dice: schifezza totale finto action buona giusto per i pusillanimi come il mio rivale. Questa è l'estate che non voglio.


venerdì 4 gennaio 2013

Ford Awards 2012: i film (N° 10-1)

La trama (con parole mie): ed eccoci giunti al momento più atteso, quello che determinerà la classifica dei dieci film più amati dal sottoscritto nel corso dell'anno appena concluso.
Potrebbero non essere quelli tecnicamente meglio realizzati, non rientrare nelle vostre corde, risultare sopra le righe, troppo tamarri o eccessivamente d'autore. 
Ma tant'è, la top ten è proprio questa. Senza se e senza ma.
Questo è il meglio che il mio bancone, i drinks, le serate sul divano o in sala, le sbronze o le lucidità, gli occhi o il cuore abbiano concesso ad un vecchio cowboy in viaggio lungo il Confine.
Cercate di goderne quanto ne ho goduto io.




N° 10: The artist di Michel Hazanavicius


Trionfatore agli Oscar ed apripista della grande stagione dei nostri cugini d’oltralpe, questo omaggio intelligente e magico al Cinema muto è una vera e propria perla nel mondo ormai contagiato dagli effettoni e dal tanto detestato – dal sottoscritto – 3D.
Chi ha amato ed ama i Classici del periodo non potrà non goderne al massimo, ma anche il pubblico abituato a visioni occasionali avrà modo di cadere sotto l’effetto dell’incantesimo della settima arte delle origini, che passa anche attraverso il cane Huggie ed una magnifica sequenza di chiusura.
Magia della settima arte. Senza se e senza ma.



N° 9: Hesher è stato qui di Spencer Susser


Era da un sacco di tempo che non mi capitava di visionare un film profondamente “Sundance” godendone dal primo all’ultimo minuto incondizionatamente: Hesher non ha soltanto rotto questo digiuno prolungatosi fin troppo, ma si è fin da subito candidato come uno degli outsiders più coinvolgenti e sorprendenti dell’anno.
L’elaborazione del lutto da parte di una famiglia e di un ragazzino perduto senza la madre attraverso il caos e l'anarchia di un charachter straordinario: tutto funziona, dal cast alla colonna sonora, dalle sequenze cult – la piscina su tutte – ai personaggi indimenticabili – protagonista a parte, mitica la nonna -.
Hesher è stato qui.
E meno male, cazzo.


N° 8: Un sapore di ruggine e d'ossa di Jacques Audiard


Probabilmente, la pellicola con più cuore e passione dell’intera annata: l’autore dello straordinario Il profeta torna a stupire con un’insolita storia d’amore che in qualche modo ricorda il legame tra i protagonisti di Quasi amici e che vede da una parte una solitudine scardinata e dall’altra una presa di coscienza rispetto alla responsabilità ed al sentimento di paternità.
Un film da pugni chiusi e nocche sbucciate, lacrime, sangue ed ossa rotte: non manca, però, il colpo di genio leggero e quasi magico di una scena di poesia pazzesca come quella sulle note di Firework di Katy Perry. Una meraviglia.


N° 7: C’era una volta in Anatolia di Nuri Bilge Ceylan


Seconda meraviglia totalmente autoriale dell’alta classifica fordiana dopo I colori della passione: un noir atipico e dai tempi dilatatissimi che parte dal ritrovamento di un cadavere nel pieno delle steppe turche spazzate dal vento per scavare nel profondo dell’anima dei suoi protagonisti.
Un viaggio fisico ma soprattutto morale all’interno di un gruppo di poliziotti, medici e procuratori che ricorda Dostoevskij e Gogol, spazi sconfinati che fanno da contrappeso a chiusure di cuore, fotografia incredibile e sogni che finiscono oltre l’orizzonte, gettati via dalla furia di un vento che non lascia nulla, o quasi.




N° 6: Expendables 2 di Simon West


Non poteva non giungere a ridosso della top five il film action definitivo di tutti i tempi, tripudio di botulino, muscoli, autoironia e metacinema: tutte – o quasi – le star del genere figlie degli eighties affiancate dai “nuovi volti” Jason Statham, Chris Hemsworth e Scott Adkins per un cocktail perfetto di risate, tamarraggine, adrenalina e tutte quelle cazzate da macho che fanno impazzire i vecchi cowboys come il sottoscritto.
Scene già cult a profusione – l’arrivo di Chuck Norris su tutte -, battute come se piovesse e la grande accoppiata Sly/Schwarzy opposta a  Van Damme: cosa si può chiedere di più alla vita?
Solo Expendables 3!


N° 5: Ruby Sparks di Jonathan Dayton e Valerie Faris


La coppia di registi del fenomenale Little Miss Sunshine torna sugli schermi con una pellicola che è un vero e proprio gioiellino, una sorta di versione leggera e primaverile di Eternal sunshine of the spotless mind scritta alla grandissima dalla protagonista Zoe Kazan e da vivere a cuore aperto dal primo all’ultimo minuto.
Si ride molto, ma non manca lo spazio per la malinconia. Un po’ come capita anche per l’amore.
Se un film del genere fosse capitato nel mio periodo libero e selvaggio, avrebbe fatto salire nel sottoscritto una gran voglia di innamorarsi.


N° 4: Moneyball di Bennett Miller

 
L’outsider rivelazione che non ti aspetti.
Film emozionante ed intelligentissimo, recitato alla grande da Brad Pitt e Jonah Hill – spalla perfetta – e scritto da dio - forse la migliore sceneggiatura dell'anno -, Moneyball è I Goonies tradotto nell’etica sportiva, il gusto di scommettere tutto, dare spettacolo e poi finire comunque a risultare perdenti.
E’ la pellicola che “tiene i cavalli” per eccellenza.
Un film con le spalle larghe, gli occhi lucidi e tutto il coraggio di chi sa che, sempre e comunque, dovrà sudarsi l’impresa senza aspettarsi che la stessa possa comunque tradursi in una vittoria.


N° 3: La parte degli angeli di Ken Loach


New entry dicembrina in grado di scalare la classifica dei Ford Awards poco prima della loro preparazione ufficiale, l’ultima fatica di Ken Loach è una favola magica ed emozionante dal sapore di periferia e whisky di malto: la storia di Robbie, che viene dal profondo della strada e cerca un futuro per il figlio appena nato, è un toccasana per gli spettatori in quanto Uomini, prima ancora che amanti del Cinema, la speranza che mancava allo straziante My name is Joe ed una ventata d’aria fresca per un pessimista storico come il vecchio Ken.
Fiaba proletaria. Questo è il fiore del partigiano.


N° 2: Take shelter di Jeff Nichols


Numero uno quasi indiscusso per buona parte dell’anno, Take shelter è tutto il meglio che il Cinema made in USA figlio della provincia abbia mai prodotto: il dramma di un uomo alle prese con la costruzione di un rifugio per la sua famiglia in vista della tempesta imminente cui solo lui pare credere si presta a così tante chiavi di lettura da tentare lo spettatore di abbandonare tutto quello che non è istinto e lasciarsi travolgere fino ad uno dei finali più belli non soltanto della passata stagione, ma della Storia del Cinema.
Un Michael Shannon immenso per un film (quasi) immenso.


N° 1: Killer Joe di William Friedkin


Chi segue il Saloon quotidianamente ben sa che il vincitore del Ford Award come miglior film del 2012 era stato già annunciato alla fine di ottobre, quando su questi schermi giunse l’ultima fatica del veterano William Friedkin, già amatissimo da queste parti per L’esorcista, Il braccio violento della legge e soprattutto Vivere e morire a Los Angeles.
Killer Joe è il lato oscuro del vincitore dello scorso anno Drive, e ne raccoglie giustamente il testimone.
Se Drive è stato uno scorpione, Killer Joe è un coccodrillo.
Pare addormentato, ma nel momento in cui decide di scattare, seppiatelo, siete fatti.
Un predatore in tutti i sensi, anche quelli che non vi aspettereste.
Killer Joe è il film fordiano dell’anno.
E non ci sono discussioni.

MrFord



 I PREMI


Miglior regia: William Friedkin per Killer Joe

Miglior attore: Michael Shannon per Take shelter

Miglior attrice: Rooney Mara per Millennium - Uomini che odiano le donne

Scena cult: la sequenza finale, Take shelter

Miglior colonna sonora: Marley di Kevin MacDonald

Premio "leggenda fordiana": il cast di Expendables 2

Oggetto di culto: la coscia di pollo, Killer Joe

Premio metamorfosi: il Cinema muto diventa sonoro, The artist

Premio "start the party": l'assalto d'apertura, Expendables 2

Premio "be there": la Scozia del whisky e del riscatto proletario, La parte degli angeli

lunedì 20 agosto 2012

The Expendables 2 - I mercenari 2

Regia: Simon West
Origine: Usa
Anno: 2012
Durata:
102'




La trama (con parole mie): Barney Ross e i suoi fidati uomini, come sempre in missione e come sempre pronti a spaccare culi in ogni parte del mondo, vengono coinvolti di nuovo dagli intrighi del misterioso Church, che affibbia alla squadra una nuova agente ed affida loro il recupero del contenuto di una cassaforte precipitata con l'aereo che la trasportava nel cuore dell'Est Europa.
Peccato che sulle tracce della stessa vi siano anche i Sang, un'organizzazione criminale guidata dallo spietato Vilain, che mettono all'angolo i nostri ed uccidono a sangue freddo Billy, l'ultimo acquisto del gruppo.
A questo punto per Ross non ci sarà alternativa se non quella di vendicare il giovane protetto: gli Expendables si inoltreranno dunque nel pieno dell'ex Unione Sovietica, pronti a muovere guerra - e distruggere, ovviamente - i Sang prima che concludano i loro loschi traffici.
E quando il gioco si farà davvero duro, allora i duri cominceranno davvero a giocare.



Senza parole.
Ecco come sono uscito dalla sala tanta è stata l'esaltazione accumulata nell'ora e quaranta cinematograficamente più tamarra, sbracata ed assolutamente goduriosa dell'anno.
Quei vecchi cialtroni degli Expendables - Sly in testa - ce l'hanno fatta un'altra volta.
E non solo.
Nonostante al timone vi fosse lo scarso mestierante Simon West - il timore più grande alla vigilia - questo sequel riesce ad essere addirittura superiore al già ottimo primo capitolo della saga di Barney Ross e dei suoi compari spaccaculi.
L'azione è morta, signore e signori, e viva l'azione.
Stallone e soci, fuori tempo massimo, imbottiti di steroidi e botulino, truccati neanche fossero top model - Van Damme in testa - sfoderano i muscoli in quello che da loro proprio non ci si aspetterebbe - il cervello - e confezionano una pellicola che è un concentrato di ironia e metacinema purissimi, ed una vera e propria miniera d'oro di scene cult, in omaggio ad un genere che, affidato ad altri, oggi risulterebbe anacronistico e sguaiato, mentre poggiato sulle loro spalle diventa una rivisitazione magica, l'elogio funebre di un'epoca ormai lontana - "Dovremmo stare in un museo", sentenzia Schwarzenegger in chiusura - eppure mai così viva, guascona e dirompente.
Basterebbe l'apertura, degna dei massacri del discreto John Rambo, con una delle sparatorie più clamorose degli ultimi anni - il Cinema che incontra l'estetica degli sparatutto videoludici - e l'apparizione impagabile di Schwarzy per capire quale sarà la direzione della pellicola, ma dato che in occasioni come questa non ci si vuole proprio fare mancare nulla, ecco che tutti i clichè del genere vengono presi e sbeffeggiati, dalla rocambolesca fuga d'apertura alla sequenza lampo dedicata a Jet Li - speriamo di rivederlo nel sempre più probabile terzo capitolo -, dall'incontro con i Sang - Van Damme e Scott Adkins fianco a fianco, magia pura, anche se per il nostro sempre amatissimo Boyka non c'è stato tutto lo spazio che avrei sperato - alla bonaria retorica della morte e del funerale del giovane Billy - Liam Hemsworth, fratello minore del Chris volto di Thor -.
Senza contare la decisione dei nostri di vendicare a suon di pallottole e cazzotti la morte del loro compagno.
Ed è proprio a quel punto che la pellicola firmata West - ma quanto Stallone c'è, dietro la macchina da presa!?!? - decolla e va in orbita: i siparietti di Dolph Lundgren - caricatura di se stesso, uomo dal quoziente intellettivo altissimo eppure da sempre legato a prodotti cinematografici di bassa lega per questioni puramente economiche -, soprattutto se rivolti all'attenzione della prima Expendable donna Nan Yu sono irresistibili quanto i lanci di malcapitati Sang di Terry Crews o l'attenzione alla cucina di Randy Couture, Sly si destreggia fingendo di restare sotto le righe mentre inanella un botta e risposta perfetto dietro l'altro con la sua spalla Jason Statham - "Non si batte il classico" è già un cult -, che regala anche una delle chicche migliori del film, rivolgendosi al fu Rocky affermando beffardamente "bisognerà che prima o poi ti insegni a tirare un pò di boxe", mentre Van Damme gigioneggia nel ruolo del cattivo - Vilain, nome scelto per il suo personaggio, altro non è se non il richiamo al "villain" inteso come genere - e Bruce Willis e Schwarzy giocano alla citazione più esilarante anche sotto una pioggia di proiettili.
E poi, c'è Chuck Norris.
Chuck "causa dell'estinzione dei dinosauri" Norris.
La sequenza della sua apparizione è pura, magica, indescrivibile antologia del Cinema.
Anzi, del metacinema.
Anzi, di Chuck Norris. E che nessuno osi dire altro.
Basterebbe solo quel momento per rendere questo uno dei film dell'anno.
Il fatto è che quando in ballo ci sono personaggi di questo calibro, niente basta mai.
E così eccomi lì, senza parole, con i brividi e la voglia di rivederlo già oggi, e scoprirlo ancora più grande.
Se Clint con Gli spietati segnò di fatto la fine del Western come lo si era inteso, amato e conosciuto per decenni, Sly e la sua banda rendono l'omaggio estremo all'Action pura, quella senza logica e risposte, perchè quando uno di loro è in campo - e figuriamoci tutti - non c'è bisogno d'altro se non di gran mazzate e proiettili che volano in ogni direzione seminando "cattivi" senza neppure venire graffiati. O quasi.
The Expendables 2 è la morte dell'action movie, e ne è il suo più fulgido, dirompente, splendido esempio.
Almeno fino ad Expendables 3.
E non ci sono musei che tengano: io sarò ancora in prima linea, accanto a quelli che sono stati gli eroi della mia infanzia - ma non solo - per menare le mani, sparare qualche calcio rotante e, ovviamente, ridere senza ritegno sul tempo che passa.
Perchè quello è il nemico che nessuno può sconfiggere, e quando arriva il momento dell'inevitabile, poi resta solo l'oblio. E il vecchio Stallone questo lo sa bene.
Quindi, tanto vale godersela - e quanto più possibile - prima.


MrFord


"Ev'rybody wants a piece of the action.
Ev'rybody needs a main attraction.
I got what ev'rybody needs, satisfaction guaranteed.
Ev'rybody wants a piece of the action."
Def Leppard - "Action" -


 
 

sabato 10 settembre 2011

The mechanic - Professione assassino

Regia: Simon West
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 93'
La trama (con parole mie): Arthur Bishop, che sbarca il lunario facendo il "meccanico" - ovvero sistemando scomodi guasti nel sistema a suon di omicidi puliti puliti ma così puliti che pare proprio che omicidi non siano -, viene incaricato dalla sua agenzia di eliminare il suo mentore a seguito di un affare andato male, pare, proprio a causa del doppio gioco di quest'ultimo. 
Senza troppo pensarci - e poi è un bene, perchè altrimenti manderebbero qualcun'altro - il nostro esegue il compito, e così, senza quasi volerlo, si ritrova a sua volta maestro del figlio ben poco pulito del suddetto mentore, cui cercherà di insegnare il mestiere.
Inutile dire che sarà l'inizio dei guai, per il buon Bishop, che proprio quando pare essere inserito nel pieno di un film d'azione e formazione si ritrova non si sa come bersaglio della sua stessa organizzazione, e allora il mentore non era colpevole e loro sono tutti brutti e cattivi, e non resta che fare piazza pulita.
Ma pulita pulita.



Da frequentatori del saloon, ormai ben saprete che razza di tamarro riesco ad essere, a volte.
Allo stesso modo, dai tempi della visione di Expendables, Jason Statham - precedentemente quasi ignorato, colpevolmente - è diventato il riferimento assoluto del genere action attuale, nonchè unico grande erede della tradizione degli Stallone, degli Schwarzenegger e dei Bruce Willis che ormai non ne fanno più come una volta.
Eppure, anche con tutta la buona volontà, non si può certo affermare che, in questo caso, il buon Jason abbia fatto centro.
Certo, soprattutto nella prima parte, The mechanic scorre via senza troppi incidenti neanche fosse il più classico dei film d'azione da serata in tv, pur con la sua troppo ristretta dose di sparatorie, esplosioni, scazzottate ed inseguimenti, rimanendo però a galla con l'idea di un possibile addestramento da parte del cazzutissimo protagonista all'indirizzo dell'allievo, più propriamente testa di cazzo.
Una cosa come se Statham fosse stato un jedi pronto a prendere sotto la sua ala lo scavezzacollo e non sempre stabile giovane Anakin.
E invece qualcosa accade, più o meno a metà del minutaggio: probabilmente, a seguito di una sbronza colossale, un rapimento alieno o qualche botta in testa di troppo - sarà stato lo stesso Statham!? - gli sceneggiatori decidono che la logica può tranquillamente fare la fine del povero e sempre grande Donald Sutherland e danno inizio ad un conflitto tra la nostra coppia non proprio rodata di assassini e l'organizzazione cui fanno capo, sulla base di una scoperta improvvisa quanto piovuta dal cielo del protagonista, che non si sa come o perchè, in aeroporto incontra per caso - seguendolo, ovviamente, perchè è normale seguire un tizio dato per morto - uno degli uomini deceduti nell'operazione resa vana dal maestro che lui stesso si è incaricato di uccidere, vanificando dunque l'accusa e l'omicidio stessi.
Da quel momento, come accade per gli horror di fattura peggiore, l'attesa per la conclusione della pellicola diviene spasmodica, ed il cervello, ricevuto il permesso di libera uscita dai suddetti autori dello script, prende a vagare nel vuoto, neppure ancorato alla realtà da qualche sano scambio di pugni e calci come si converrebbe ad un vero Expendable: così, nonostante il - telefonato, ma d'effetto - colpo di scena conclusivo, si sprofonda inesorabilmente nella sensazione di stare assistendo ad un film inutile nell'accezione negativa del termine, completamente privo d'ironia e dell'aura sborona ed eccessiva che aveva reso così speciali Transporter e Crank.
Peccato, perchè una cosa totalmente ignorante e chiassona ci sarebbe stata alla perfezione, e soprattutto perchè quando le pellicole potenzialmente chiassone ed ignoranti tentano di darsi un tono, in genere, finiscono per risultare indigeste anche per chi, al contrario, era pronto a rendere il giusto omaggio al loro essere trash di culto. 
C'è solo da sperare che per Statham sia stata soltanto una battuta d'arresto momentanea e che il nostro torni a fare quello che sa fare meglio, senza l'inutile zavorra del killer filosofo silenzioso e saggio che, sinceramente, gli si addice come se al posto della birra chiedesse al pub un bel the freddo.


MrFord


"Those who died
are justified
for wearing the badge, they're the chosen whites
you justify
those that died
by wearing the badge, they're the chosen whites
those who died
are justified."
Rage against the machine - "Killing in the name" -


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