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sabato 27 aprile 2013

G. I. Joe - La nascita dei Cobra

Regia: Stephen Sommers
Origine: USA
Anno: 2009
Durata:
118'




La trama (con parole mie): Duke, un soldato di quelli nati per servire il proprio Paese e spaccare culi a profusione, è incaricato di recuperare dal noto mercante d'armi McCullen quattro testate alimentate da nanomacchine in grado di distruggere tutto quello che incontrano e consegnarle alla NATO. Quando il suo convoglio viene attaccato da una squadra d'assalto ignota provvista di armi all'avanguardia, lui ed il suo inseparabile compare Ripcord vengono tratti in salvo dai G. I. Joe, un'elite supersegreta di soldati provenienti da tutto il mondo che ha il compito di togliere le castagne dal fuoco ogni volta che ce n'è bisogno guidata dal Generale Hawk.
Scoperto che tra le fila dei misteriosi nemici milita Ana, sua ex fidanzata e promessa sposa, Duke decide di farsi reclutare dai Joe, risolvere la questione delle testate, salvare il mondo e cercare di venire a patti con il passato in modo da costruirsi un futuro.
E spaccare altri culi, ovviamente.




Nella seconda metà degli anni ottanta in casa Ford esisteva un piacevole rituale che legava me e mio fratello, e che prevedeva che ogni venerdì, al termine della settimana lavorativa, nostro padre facesse ritorno dall'ufficio sempre con due pupazzetti della serie dei G. I. Joe, storica produzione Hasbro ai tempi sulla cresta dell'onda: una volta visti i due personaggi scelti da papà Ford, decidevamo quale sarebbe andato all'uno e all'altro arrivando a volte addirittura a litigare.
Ogni G. I. Joe aveva il suo equipaggiamento incluso, ed una scheda che ne raccontava storia ed origini, definendone il grado all'interno dell'organigramma dei Joe stessi o dei loro acerrimi nemici Cobra - in originale Spitfire -, e nonostante nascessero come versioni più mobili ed accessoriate dei vecchi soldatini, spesso e volentieri finivano protagonisti di incontri di wrestling che facevo combattere replicando le mosse viste alla tv su un ring costruito da mio nonno usando un sistema di regole legato ai dadi in modo da inserire la variabile del caso nel determinare chi avrebbe vinto o perso gli incontri.
Capirete dunque che, quando venne annunciato un progetto che avrebbe visto la realizzazione di un film proprio sui mitici G. I. Joe l'hype che mi travolse fu simile a quello che il giovane Elias in Clerks 2 prova rispetto all'imminente uscita della pellicola dedicata ai Transformers: ai tempi, però, le recensioni distrussero il lavoro di Stephen Sommers in maniera così netta da convincermi ad abbandonare l'idea di recuperarlo, tanto che il tutto cadde di nuovo nel dimenticatoio fino a quando, complice l'uscita del sequel con The Rock tra i protagonisti - domani qui al Saloon -, la curiosità è tornata a fare capolino nel sottoscritto, sostenuta da quella sana voglia di tamarrate senza ritegno che ogni tanto permettono di staccare il cervello dai fatti della vita.
Dunque, stravaccati sul divano, io e Julez ci siamo tuffati in quella che è stata una delle visioni più trash, sguaiate e clamorosamente sopra le righe degli ultimi anni, una sorta di cocktail ancora più fracassone di Independence Day, il recente - e divertentissimo - Battleship e le peggiori tamarrate figlie degli eighties che ci ha intrattenuti, divertiti e goduriosamente soddisfatti come poche altre pellicole in questo periodo: effettacci al limite del decente, esplosioni a profusione, una sceneggiatura che avanza a colpi d'accetta, testosterone a mille, botte anche tra le signorine, duelli tra ninja e armi al limite della fantascienza hanno accompagnato casa Ford accanto ai ricordi che ancora conservo di quei pupazzetti e della loro storia - sono riuscito addirittura a registrare un appunto da nerd: ai tempi era il ninja muto Snake eyes ad esordire dalla parte dei Cobra perchè condizionato mentalmente prima di passare alla scuderia dei buoni, e non Storm Shadow -, per due ore volate in un lampo ridendo come matti perdendoci tra basi segrete sotto il deserto o le acque dell'Antartide o per le strade di Parigi per quella che è la sequenza più puramente spettacolare della pellicola, resa involontariamente ancora più trash non tanto dal destino della Tour Eiffel, quanto dalle decine di morti e feriti probabilmente lasciati sull'asfalto vittime nella lotta tra Joe e Cobra, per una sorta di versione ipervitaminizzata della filosofia figlia delle missioni in stile Jack Bauer.
Per quanto, comunque, di livello decisamente basso, va inoltre riconosciuto al lavoro di Sommers quantomeno il tentativo di rendere interessanti i suoi protagonisti approfondendo le loro vicende, le scelte ed il passato, dal futuro Cobra Commander al protagonista Duke, passando per il dualismo tra i già citati Snake eyes e Storm shadow o il rapporto sentimentale che si costruisce battuta su battuta tra Scarlett e Ripcord, ovviamente senza mai prendersi sul serio rischiando di far perdere davvero la faccia ad una proposta che merita - e si fa voler bene - proprio così com'è.
Certo, la passione che nel corso della mia infanzia furono le avventure con la linea della Hasbro ha giocato un ruolo importante - sono riuscito perfino ad emozionarmi alla comparsa del trasformista Zartan, che fu il primo pupazzetto in assoluto che mi fu comprato insieme alla ai tempi ribattezzata "guardia rossa" che rappresentava il soldato Cobra standard -, ma credo che l'onestà di titoli come questo sia in grado di conquistare a prescindere dall'obiettivamente bassissimo valore artistico, e che poco importa se Dennis Quaid recita con il culo e tute ed armi paiono plasticoni da battaglie in cortile il giorno di Carnevale, o che dalla prima all'ultima inquadratura tutto sappia di baracconata senza ritorno: in fondo, per questo tipo di prodotti è giusto che sia così, come è giusto intendere giocattoloni di questa specie il modo migliore per il Cinema di intrattenere noi bambini grandi.


MrFord


"Il cobra non è un serpente 
ma un pensiero frequente che diventa indecente
quando vedo te, quando vedo te, quando vedo te.
Il cobra non è una biscia ma un vapore che striscia con la traccia che lascia
dove passi tu, dove passi tu, dove passi tu."
Donatella Rettore - "Kobra" -



sabato 11 agosto 2012

The amazing Spider Man

Regia: Marc Webb
Origine: Usa
Anno: 2012
Durata: 136'




La trama (con parole mie): Peter Parker, giovane e dotatissimo studente, vive con gli zii Ben e May da quando i suoi genitori scomparvero a seguito di una fuga culminata con un misterioso incidente d'auto quando ancora era bambino. Una volta scoperto che lo scenziato della Oscorp Curt Connors fu il partner di ricerca del padre, Peter si introduce in uno dei suoi laboratori finendo per essere morso da un ragno modificato geneticamente in una delle ricerche dello stesso Connors, che sogna di poter rimediare alle malattie degenerative umane sfruttando il dna di altre creature.
Da quel momento il timido Parker sviluppa una serie di incredibili capacità, sfruttandole dapprima come una sorta di rivincita personale, dunque, a seguito della morte dell'amato zio Ben e del senso di colpa rispetto alla stessa, come strumento per la difesa della città: il giovane eroe, a quel punto, dovrà riuscire a vincere le perplessità del Capitano Stacy - duro poliziotto padre della sua ragazza Gwen - rispetto alla condotta di Spider Man e dare tutto - ed anche di più - per mettere al sicuro New York dalla minaccia di Lizard, incrocio tra uomo e lucertola che altri non è se non Connors, cambiato a livello mentale e fisico da un siero sperimentato su se stesso.




Alcuni film sono davvero degli strani casi: dovrebbero, infatti, essere visti senza la minima cognizione rispetto alla materia che li ha ispirati.
Questo The amazing Spider Man, reboot della fortunata trilogia firmata a partire da una decina d'anni fa da Sam Raimi - ottimi i primi due capitoli, pessimo il terzo - affidato al regista pseudo indipendente Marc Webb - lo stesso di (500) giorni insieme, per intenderci -, è pienamente parte della categoria.
Completamente slegato - se non per i personaggi ed i nomi - alla continuity originale del fumetto, assolutamente infedele alle vicende che portarono Peter Parker ad indossare il costume dell'amichevole tessiragnatele di quartiere, il lavoro di Webb parte malissimo, quasi ponendo sull'approccio della pellicola un appunto drammatico nello stile del Batman nolaniano che ben poco si addice a quello che, di fatto, è concepito come un gigantesco giocattolone mangiasoldi da serata al multisala con schermo di grandezza galattica, 3D e chi più ne ha più ne metta ed apparendo distante anni luce dallo spirito scanzonato ed ironico del personaggio e dei precedenti firmati dall'autore de La casa.
Ma proprio quando mi ero già rassegnato a lasciar prendere un pò d'aria alle mie bottiglie, ecco compiersi un piccolo miracolo: Webb ed i suoi sceneggiatori, per quanto distanti dalla versione originale di Testa di tela, costruiscono a partire dalla sua acquisizione dei poteri una versione clamorosamente azzeccata, rispettosa e credibile del personaggio, aiutati da un Andrew Garfield che pare perfetto nel ruolo - molto più di Tobey Maguire, per intenderci -, una buona dose di ironia - divertentissima la prima "mattina dopo" del futuro Spider Man - ed una voglia di divertirsi che in principio pareva soffocata dall'ambizione di portarsi a casa un drammone supereroico legato alla condizione di orfano di Peter ed al suo legame con gli zii - sarà poi che il mitico Ben resta il cardine di tutto l'universo dell'Uomo Ragno, ma la versione di Martin Sheen è praticamente perfetta -.
Certo, la vicenda del Capitano Stacy e di Gwen - primo grande amore di Peter, tra le pagine del fumetto morta in un albo storico a metà degli anni settanta per mano di Goblin, interpretata da una sempre piacevole Emma Stone - cambia completamente, latitano il temibile Jameson e la redazione del Daily Bugle, Lizard pare una versione annacquata di Hulk e a Connors manca quel piglio da pazzo psicotico che pareva cucito addosso al Norman Osborn di Willem Defoe, eppure una volta ingranata la marcia il gioco regge, diverte e funziona riuscendo nell'intento di mantenere viva l'attenzione degli spettatori nonostante una durata decisamente importante, finendo per rispettare pienamente le aspettative di chi attendeva una grande giostra costruita appositamente per le nuove frontiere tecnologiche del Cinema.
Proprio a proposito di questo aspetto occorre dare spazio ad una riflessione interessante anche per un fermo detrattore del 3D come il sottoscritto, nata da un'osservazione di Julez rispetto ad una particolare inquadratura nel finale: quanto del modo di girare del prossimo futuro verrà influenzato dall'utilizzo di tecnologie come quella dell'appena citato 3D o dell'IMAX? Quante inquadrature verranno studiate ad hoc affinchè il pubblico possa ritrovarsi in qualche modo all'interno della scena che sta guardando? Quante delle stesse saranno state una scelta stilistica e ponderata e quante un'aggiunta artisticamente non necessaria?
Lungi da me, da buon tamarro quale sono, stare qui a fare il purista della settima arte scandalizzato dalle nuove frontiere - ben vengano sperimentazioni e scoperte -, ma la deludente prestazione di Scorsese con il suo Hugo Cabret - talmente perfetto formalmente da risultare privo di anima - mi fa pensare che la strada sia ancora tremendamente lunga e faticosa.
Del resto, le grandi vittorie si costruiscono un passo alla volta, una caduta alla volta.
"Cosa bisogna fare quando si cade?" "Rialzarsi", dicevano Bruce Wayne e suo padre in Batman begins.
In questo senso, Marc Webb pare aver centrato l'obiettivo.
La lezione di zio Ben, in fondo, è chiara: "Da un grande potere derivano grandi responsabilità".
E, per tornare a citare Scorsese, il Cinema ribolle di potenza: in fondo, "è il mezzo del futuro".


MrFord


"Hold my head inside your hands
I need someone who understands
I need someone, someone who hears
for you, I've waited all these years."
Coldplay -  "Til kingdom come" -


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