giovedì 10 maggio 2012

I gatti persiani

Regia: Bahman Ghobadi
Origine: Iran
Anno: 2009
Durata: 106'



La trama (con parole mie): Negar e Ashkan sono due giovani e promettenti musicisti di Teheran, ansiosi di poter avere la possibilità di comporre e suonare i loro pezzi in totale libertà, senza avere il timore della censura e del carcere. Aiutati dal trafficone Nader, si mettono alla ricerca dei componenti di una band da lanciare ad un grande concerto a Londra e dei visti che serviranno per uscire dal loro Paese senza, forse, fare ritorno.
Ma così come la ricerca dei membri della band sarà ricca di scoperte, generi e stili vari e voglia di cantare un Iran libero, la parte burocratica del loro impegno si rivelerà più complicata di quanto non sembrasse specialmente a livello economico, senza contare i soprusi e gli abusi di potere di una polizia che è l'espressione peggiore di un regime neppure troppo celato.




E' sempre un piacere, dalle parti di casa Ford, tornare a scoprire - e riscoprire - il Cinema iraniano, un bacino di sorprese, idee ed energia come raramente se ne vedono qui da noi nel Vecchio Continente - forse solo la Francia, nelle ultime stagioni cinematografiche, è stata a questi livelli -: dai Maestri Kiarostami e Panahi a Persepolis, dal meraviglioso Una separazione a Offside, tutta la forza di questo Cinema è legata alla grandissima voglia di vivere dei suoi protagonisti e realizzatori, e soprattutto alla voglia di emanciparsi da un regime durato fin troppo tempo, che ancora oggi non permette a molti giovani artisti - e non solo, perchè la condizione della donna è anche peggiore - di esprimersi secondo le proprie volontà e desideri.
I gatti persiani, vincitore della sezione Un certain regard a Cannes nel 2009, sposta la sua attenzione dalla società alla cultura, regalando al pubblico un ritratto pulsante e vivo di quella che è la realtà musicale alternativa della capitale iraniana, vissuta quasi esclusivamente in clandestinità dai suoi rappresentanti, giovani dediti all'indie rock, all'hip hop, all'heavy metal, al blues ma anche agli echi del sound tradizionale che guardano all'Europa come ad una chance di vedere la propria musica finalmente libera di essere eseguita ai concerti, per le strade, incisa e venduta nei negozi e non al mercato nero.
Un'operazione di ricerca e scoperta di talenti simile a quella che qualche anno prima intraprese Fatih Akin con il suo Crossing the bridge, anche se la situazione turca risulta sicuramente più semplice di quella di Teheran e dell'Iran in generale - interessante il confronto tra i due protagonisti e Nader nel momento in cui quest'ultimo afferma di conoscere più di duemila band di indie rock in tutto il Paese, e anche più cantanti femminili cui sarebbe proibito esibirsi se non come coriste nei complessi tradizionali - che ricorda anche lo spirito un pò ribelle e un pò malinconico di The Commitments, con Negar e Ashkan al centro di un viaggio volto a mettere in piedi una sorta di "supergruppo" con tutti i migliori talenti locali nascosti sui tetti o negli scantinati, o perfino nelle stalle delle fattorie - ottima la parentesi "agreste" con il metal proposto alle mucche -: tutto questo - volontà di lasciare l'Iran compresa - senza mai dimenticare quali sono le proprie radici e quanto questi giovani musicisti desiderino, più che fuggire, cambiare la propria realtà.
Negar e Ashkan tengono a specificare la loro volontà di tornare una volta terminato il concerto di Londra, così come gli esponenti dell'hip hop locale decidono di non partire, "perchè la nostra musica ha un senso qui, a Teheran": in fondo, è della loro terra che si sta parlando, delle loro origini, e della voglia di portare quella stessa, oppressiva quotidianità in un futuro nuovo e libero, grazie soprattutto alla loro musica.
E' questo il senso primo ed ultimo della loro lotta, dell'energia elettrica rubata e del confronto quasi quotidiano con le forze dell'ordine - basta la sola sequenza del cane in macchina per rendersi conto della situazione vissuta dai giovani iraniani -, delle stanze insonorizzate e dei concerti tenuti in segreto, sempre con il fiato sospeso, sperando che la polizia non scopra nulla, che nessuno venga preso, o che dalla strada non si senta quello che sta pulsando proprio sotto di lei: le band che osserviamo passare, suonare e cantare in questo piccolo, grande film di Ghobadi sono il cuore di una rivoluzione culturale che è già partita da tempo, ma non è ancora davvero esplosa, e di sicuro è ben lontana da aver raggiunto il successo.
Sta anche a noi, privilegiati in più di un senso rispetto a loro, continuare a parlarne e ad aver voglia di scoprirli, aiutarli anche solo con una voce in più da questa o dall'altra parte del mare: chissà che non sia d'aiuto anche qui, dove troppo abituati a stare seduti comodi, finiamo per non riconoscere quanto ci viene tolto, e quante voci vengono tenute sotto silenzio, pur se con metodi meno platealmente repressivi di quelli dei reggenti di Teheran.
Chissà che non sia d'aiuto a tutti quelli che stanno nascosti, e che un giorno non possa essere una cosa facile come godersi il sole uscire per strada e suonare la propria canzone.
Iran o Italia che sia.


MrFord


"The sharif don't like it
rockin' the Casbah
rock the Casbah
the sharif don't like it
rockin' the Casbah
rock the Casbah."
The Clash - "Rock the Casbah" -


 

18 commenti:

  1. Risposte
    1. E' una visione molto interessante, sia dal punto di vista cinematografico che musicale.
      Recuperala!

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  2. come al solito, ancora una volta io c'ero arrivato molto ma molto tempo prima di te...
    http://pensiericannibali.blogspot.it/2010/04/gatti-indie-rock.html

    un ottimo film dallo spirito indie, che per fortuna non ha nulla a che fare con quella palla di the commitments! :D

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    1. Quella palla di The Commitments è uno dei film più belli del genere, ma il fatto che tu non lo capisca non può che aggiungergli valore! :)

      Stranamente ti è piaciuto questo, che a tratti è molto neorealista. Evidentemente stavo già cominciando ad influenzarti ai tempi! Ahahahaha!

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  3. l'ho visto al cinema in una rassegna e mi piacque moltissimo. Ghobadi del resto è uno dei grandi maestri del cinema iraniano, anzi al momento diciamo che lui sta messo molto meglio di Kiarostami di cui è stato allievo.Secondo me però come regista è migliore.Se non l'hai fatto , ma sicuramente lo avrai già fatto, recupera Il tempo dei cavalli ubriachi, il suo esordio sulla lunga distanza, un film che ogni volta che lo vedo mi emoziono come mi emozionò al cinema.Ne ho parlato anche da me perchè è uno dei film che nella mia videoteca ha l'altarino dedicato. Ghobadi è un grande maestro e ha da poco superato i 40 anni(ne ha 43). Se pensiamo a come stiamo messi noi...

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    1. Bradipo, effettivamente Ghobadi, come Panahi, hanno di fatto ormai superato il loro Maestro, l'immenso Kiarostami.
      Tra l'altro, mi hai fatto venire voglia di rivedere il bellissimo Il tempo dei cavalli ubriachi, che vidi una sola volta ai tempi.

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  4. Hai colto e descritto perfettamente l'anelito di liberta' assoluta del popolo iraniano. Io lo vedo nei miei contatti di lavoro (lontani dall'ambito meramente artistico) ma credo che in questo film (che conoscevo pur senza averlo mai visto) grazie al passepartout della musica, arte libera per eccellenza, si sia davvero ben esplicitato il concetto.Con un risultato davvero gradevole a quanto pare.
    Lo vedro' sicuramente (probabilmente anche con la nana) anche incuriosita dal parallelo con il mio adorato "The Commiments".

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    1. Irriverent, la voglia di libertà che si respira in questo film - ma anche in altre produzioni iraniane - rende i prodotti ancora più intensi e coinvolgenti.
      Dovremmo prendere esempio.
      Recupera comunque quest'ottimo lavoro, e sempre immensi i Commitments! :)

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    2. Ah ah gia' mi sembra di sentire Cannibal sui Commitments!....

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    3. Irriverent, lascialo parlare: quello non è irlandese neanche per scherzo! :)

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  5. Di questo film mi colpì molto il tentativo dei ragazzi iraniani di vivere in quella che per noi è normalità, dovendo però superare ostacoli di ogni genere, burocratici, culturali, di regime. E nonostante tutto riuscivano a ritagliarsi un loro spazio, un momento in cui imbracciavano le chitarre e suonavano ed erano semplicemente loro stessi. Mi ha affascinata molto lo sguardo su un paese che conosco pochissimo e immaginavo molto più diverso, i film come questo dovrebbero farli vedere nelle scuole per far capire quanto siano universali certi modi di sentire.

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    1. Joy, hai proprio ragione.
      Film come questo dovrebbero essere sfruttati nelle scuole per mostrare quanto le differenti realtà culturali e geografiche nascondano gli stessi sogni e desideri.

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  6. un mio ex collega di lavoro era (ed è!) parente di ghobadi quindi quando mi aveva accennato al fatto che un suo zio era un regista mi sono incuriosita e l'avevo visto...è stato un colpo di fulmine! sono rimasta coinvolta nella storia e soprattutto dalla volontà espressa più e più volte dei protagonisti di voler tornare a Teheran, la loro casa, la loro vita, il loro cuore. E' bello, perchè al giorno d'oggi si pensa che chi abiti lì una volta che riesce a valicare il suo confine non voglia più tornare.

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    1. Mitico il nipote di Ghobadi! :)
      E' vero, l'aspetto del ritorno a casa è uno dei più affascinanti del film, così come la scelta dei rapper di rimanere.
      Una cosa interessante se si pensa che, di fatto, loro combattono e vivono un regime ogni giorno.

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  7. Ci piace già dal titolo eheheh :D
    Me lo segno, anche perché se piace sia a te che al Cannibale piacerà di sicuro anche a me!
    Ciao James ;)

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    1. In effetti, i film che mettono d'accordo me e il Cucciolo dovrebbero avere una sorta di obbligo di visione! ;)

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  8. Grazie MrFord. Scoprire film piacevoli, provenienti da paesi inaspettati non può altro che far piacere.
    Poi se citi quel gran film di The Commitments allora è tutto apposto :)

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    1. Pesa, de nada!
      Grazie a chi raccoglie questi suggerimenti e divulga. :)
      The Commitments ficata stellare.
      Solo il Cannibale è riuscito a non apprezzarlo!

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