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lunedì 14 gennaio 2013

2012 in music

La trama (con parole mie): approfittando della giornata musicale e dell'insolita versione che il Saloon fornisce oggi di se stesso, mi concedo - altra cosa rara - un giro sulle sette note che possa rivedere i pezzi che hanno regalato qualche emozione in più al duemiladodici appena trascorso del sottoscritto.
Un pezzo - ed un album di riferimento -, più o meno, per ogni mese, che possa simboleggiare un ricordo, un istinto, un'esperienza: non per tutti, ma tutta e a partire da me, ecco la soundtrack quasi ufficiale dell'ultimo anno fordiano.



 Gennaio: Psychosocial – Slipknot


Fin dai tempi della loro ribalta internazionale ho sempre adorato – per look e piglio “forte” – questi ragazzoni di Des Moines e la loro musica arrabbiata e violenta: Psychosocial, tratta dal loro disco “All Hope is gone”, è stata la colonna sonora perfetta dei romanzi di Nesbo, rispondendo colpo su colpo alle botte al cuore che ad ogni occasione è riuscito a darmi Harry Hole.
Quando, poi, devo convogliare in musica la rabbia, pezzi come questo sono perfetti: quasi un sacco da boxe trasformato in note.




Febbraio: Of monsters and men - Little talk


Scoperto per caso ascoltando la radio nel pieno di una sessione di pulizie casalinghe, questo brano è stato una piccola rivelazione in grado di entrarmi sottopelle fin dal primo ascolto grazie ad un’atmosfera a metà tra la festa e la malinconia, impreziosita da un video che adoro – così come il nome della band – ed un’atmosfera forse un po’ alternativa, ma di quell’alternativo yeah che non posso non amare. Mi fa ancora oggi pensare ad una giornata di inizio primavera in cui la pioggia è appena finita, e si sente il profumo della prima erba bagnata.




Marzo: Canzone del maggio e Nella mia ora di libertà – Fabrizio De Andrè


A seguito di una serata che portò ad una sbronza colossale, in un momento particolarmente ostico di un anno ancora più ostico per il lavoro, ho ripescato Storia di un impiegato, concept album dell’indimenticato Faber legato ai disagi di chi un giorno decide di ribellarsi al sistema esplodendo – letteralmente – tutta la sua rabbia.
I pezzi di apertura e chiusura di quel disco, profondamente legati tra loro, sono due tra i più potenti di tutta la Musica italiana, nonché senza dubbio tra i miei preferiti del mio cantautore del cuore.
“Per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti”. Da brividi.



Aprile: Somebody that I used to know – Gotye


Singolo di traino di un disco che, nel suo complesso, non convince tanto quanto questa hit vorrebbe far credere, ammetto che Somebody that I used to know è stato uno dei titoli passato più volte sul mio Ipod la scorsa primavera, rinverdendo i fasti dello Sting dei tempi d’oro ed accompagnando il sottoscritto verso una nuova stagione che, più che un’esplosione, è stata un crescendo.
Un po’ come la stessa canzone, che parte quasi in sordina e si concretizza in un incrocio di voci da pelle d’oca. 




Maggio: We take care of our own – Bruce Springsteen


Non poteva non essere parte della compilation fordiana targata 2012 il Boss, che torna sulla piazza con un disco che ho amato moltissimo, e che è riuscito a portare la memoria ai tempi di Born in the USA: cuore, stomaco e mani da chi è abituato a lavorare per un album profondamente proletario, lanciato da un pezzo in puro stile Springsteen che, in realtà, è soltanto l’apripista di una manciata di canzoni da urlo.



Giugno: Some nights – Fun


Altra sorpresa del 2012, questo brano a metà tra la marcia e l’inno da stadio è stato il primo tormentone di un’estate che attendeva di esplodere nel segno del Fordino: come il ritorno della bella stagione, questa canzone trasmette la sensazione di rialzarsi e correre dopo troppo tempo passato con il culo per terra.
E considerato che da queste parti, spesso e volentieri, si tengono i cavalli, direi che si ha anche bisogno di sensazioni di questo genere almeno quanto della bevuta quotidiana.



Luglio: Only the horses – Scissors sisters


E parlando di cavalli, non posso non citare quello che è stato l’inno ufficiale del consueto appuntamento con il festeggiamento dell’addio al celibato che da qualche anno a questa parte è diventato un cult dell’estate in casa Ford – o più precisamente, fuori da casa Ford, considerato quello che accadde nel corso della prima, vera, "notte da leoni" del sottoscritto -: un pezzo esaltante, gioioso, carico di energia come solo un certo periodo dell’anno sa essere.


Agosto: Guardian - Alanis Morissette
 
 
All’annuncio ufficiale dell’arrivo del Fordino è seguita di pochissimo l’uscita del pezzo di una delle rocker storiche della mia adolescenza dedicato proprio al figlio, diventando immediatamente un supercult di casa Ford: persa l’aura dei primi album, la vecchia Alanis sfodera comunque una ballad rock di quelle d’impatto assicurato, che è riuscita a rappresentare al meglio il momento di gioia legato alla futura paternità.
The greatest honor of all as your guardian. Parole sante.



Settembre: Sunrise – Ryan Bingham


A fine 2011, in occasione del mio compleanno, un amico mi regalò Mescalito, disco non più recentissimo del giovane Ryan Bingham, figlio del nuovo country che qui al Saloon è praticamente di casa: risultato fu che ancora oggi continuo a consumare le tracce di quell’album, che si apre con la magnifica Sunrise, un pezzo da Frontiera pura che, nei continui viaggi in treno da pendolare, ha il potere di cambiare il setting che mi accompagna e sostituire la Pianura Padana con la sua nebbia da record schiaffandomi davanti agli occhi il Texas del mio adorato West.


Ottobre: Hell or Halleluja – Kiss


Il 2012 ha segnato il grande ritorno della band che è stata il mio primo, vero, grande amore rock sulle scene a due anni dal già buon Monster: il pezzo d’apertura nonchè primo singolo è una tirata kitch e larger than life nella migliore tradizione Kiss, apripista di un disco che pare uscito dai loro momenti migliori del passato nonostante la formazione non sia più, purtroppo, quella originale.
Per omaggiare questo avvenimento ho approfittato dell’occasione, ed il 18 giugno sarò con mio fratello al Forum di Assago per scuotere un po’ le mie vecchie membra e vedere questi mostri sacri del rock ancora una volta dopo quattordici anni. Hell yeah!



Novembre: Natural disaster e Day that I die – Zac Brown


Scoperto grazie ad una collaborazione con Kid Rock, famosissimo negli States – dove ha fatto incetta di premi fin dal suo esordio – e purtroppo praticamente sconosciuto qui da noi, questo mio quasi coetaneo è il rappresentante più importante del country di questa generazione, portatore sano di quei valori tipici del “Southern Wild” che tanto piacciono a noi vecchi cowboys.
Se la prima tra le due canzoni è una ballad vivace che racconta un gioco di passione e seduzione, la seconda è un brano struggente di quelli che vorrei tanto fossero suonati al mio funerale, o alla festa senza lacrime che ne dovrebbe conseguire – sempre per tornare allo stile di noi “bestie del profondo Sud” -: erano anni che non mi capitava di ascoltare un brano venti o trenta volte di seguito come è successo con questo.




Dicembre: Happy New Year – Kid Rock


Non potevo non chiudere la carrellata senza il mio protetto repubblicano Kid Rock, uscito un po’ in sordina con un nuovo album – Rebel soul – che seppur non in grado di regalare gli acuti di Devil without a cause e Cocky, o la solidità di Born free, si presenta come un prodotto tosto ed onesto, erede della grande tradizione degli States del lavoro duro, delle armi da fuoco, della malinconia di casa e delle feste selvagge tutte alcool e sesso.
Politicamente non c’entra molto con me, ma che volete farci!? Io a Robert James Ritchie voglio proprio bene, e mi godo i suoi dischi almeno quanto una bella bottiglia di Jim Beam, preferito non solo mio e suo, ma anche del sempre mitico Harry Hole.
Mica poca roba, insomma.



sabato 23 giugno 2012

Johnny Cash - L'autobiografia

Autore: Johnny Cash
Origine: Usa
Anno: 1997
Editore: Baldini&Castoldi




La trama (con parole mie): il Man in black per eccellenza di country e rock, icona della musica americana dagli anni cinquanta alle soglie del nuovo millennio sempre in bilico tra la dannazione della dipendenza dalle droghe e la salvezza della Fede, della Famiglia e dell'amore della sua vita June Carter si racconta rivelando, più che una cronologia delle sue vicende personali, i ricordi delle esperienze vissute nelle case in cui ha lasciato un pezzo di cuore.
Dalla campagna dell'Arkansas alle spiagge jamaicane, dalle piantagioni di cotone ai palchi di tutto il mondo e dei carceri che lo resero uno dei più celebrati interpreti "live" di tutti i tempi, una panoramica diretta e sincera dell'Uomo, prima che dell'Artista.








Come ben sapete, in casa Ford Johnny Cash è considerato uno dei "nonni" ufficiali del saloon, come Clint Eastwood o Cormack McCarthy, e dunque ogni pubblicazione che lo riguardi è clamorosamente festeggiata a suon di copiosi brindisi: sentii parlare per la prima volta di questa sua autobiografia da John Cusack nella versione cinematografica di Alta fedeltà, e la vidi in libreria durante il viaggio attraverso l'Irlanda nel 2006, senza decidermi ad acquistarla principalmente per pigrizia - cosa che, invece, saggiamente fece il mio compare Emiliano -, confidando in una sua imminente pubblicazione italiana.
Niente di più sbagliato, purtroppo, tanto che, per poterla avere tra le mani, ho dovuto aspettare ben sei anni, fortunatamente resi meno lunghi dalla pubblicazione dell'ottima biografia edita da Kowalski, a livello di scrittura e cronologia di eventi decisamente più completa, paradossalmente, di questa.
In realtà, infatti, Cash by Johnny Cash appare più come un racconto fatto davanti al fuoco dal capofamiglia durante una di quelle riunioni in cui ci si trova accanto a chi si ama e ci si perde immaginando epoche vissute solo attraverso le parole e la voce di chi riporta fatti quotidiani come fossero leggende: ed è così che scorrono tra le pagine episodi della vita di Cash dalla sua infanzia durissima a Dyess, in Arkansas, a raccogliere cotone con la sua famiglia fino all'epoca in cui il futuro Man in black fu un intercettatore radiofonico per l'esercito in Germania, dai successi con la Sun che lanciò Elvis e Jerry Lee Lewis fino all'incontro con il mitico Rick Rubin, che fece esplodere una volta ancora l'appeal di un artista che pareva già destinato al dimenticatoio producendo l'incredibile serie American Recordings, che riportò in auge la figura del cantante dopo quasi un decennio di oblio - divertente l'aneddoto del loro primo incontro faccia a faccia, con il vecchio Johnny stupito per l'aspetto degno "del peggiore dei barboni" del producer di band del calibro dei Red Hot Chili Peppers, i Beastie Boys o gli Slipknot -.
Personalmente - da buon conoscitore della vita del Nostro -, ho trovato interessanti gli episodi dedicati alla morte del fratello Jack, appena quattordicenne - mostrata anche nella pellicola Walk the line -, soprattutto rispetto alla dura vita da agricoltori che i Cash conducevano ai tempi - il racconto della famiglia intera intenta a raccogliere il cotone già il giorno seguente il funerale la dice lunga in questo senso - e alla rapina che la famiglia del mitico J.R. subì nella villa in Jamaica durante le Feste, nel 1982, ad opera di tre ragazzi strafatti che arrivarono a prendere in ostaggio il figlio del cantante e della sua compagna di vita June Carter puntandogli una pistola alla testa: rispetto a questo fatto, la posizione di Cash è interessante, dato che in quanto celebrità fu trattato con tutto rispetto dalla polizia locale che finì per rintracciare e, fondamentalmente, giustiziare i giovani responsabili del crimine fortunatamente finito senza vittime - almeno per quanto riguarda il clan Cash -, essendo fondamentalmente portatrice di una critica al sistema che inghiotte giovani destinandoli, di fatto, ad un destino ben più che amaro.
La Giustizia e la Fede rimangono punti cardine della riflessione del cantautore, che anche nei momenti di rivolta più apprezzati dalle schiere dei suoi fan più giovani tende spesso e volentieri a smitizzare il conseguente alone da maledetto - fatta eccezione per il demone della dipendenza dalle pillole, che tratta con timore quasi riverenziale, considerate le numerose ricadute che ebbe nel corso della sua vita -: così ci ricorda che, a parte qualche notte passata al fresco più per garantirgli la sopravvivenza dato il suo stato, non è mai stato protagonista di un arresto vero e proprio, e frasi di pezzi storici come "I shot a man in Reno just to watch him die" tratta da Folsom prison blues altro non sono che un tentativo del musicista di mettersi nei panni dei criminali peggiori mossi dai più futili moventi.
Pur non rivelandosi uno scrittore nato, Johnny Cash si dimostra un ottimo compagno di viaggio ed un narratore onesto e sincero, sia che parli dei tour e della vita on the road o della sua vita tra le mura di casa - splendida la parentesi in cui ironizza sulla passione di June per lo shopping sfrenato -: un Uomo che ha fatto la storia del country e del rock ma che, sopra ogni altra cosa, è stato il protagonista di un'esistenza intensa e goduta dal primo all'ultimo istante, ringraziando per quello che chiama "il Dono", per la Famiglia e la forza di riuscire a rialzarsi dopo ogni caduta e pronto ad andarsene al momento giusto, sempre guidato da una "satisfied mind".




MrFord




"Well, there's things that never will be right I know,
and things need changin' everywhere you go,
but 'til we start to make a move to make a few things right,
you'll never see me wear a suit of white.
Ah, I'd love to wear a rainbow every day,
and tell the world that everything's OK,
but I'll try to carry off a little darkness on my back,
'till things are brighter, I'm the Man In Black."
Johnny Cash - "Man in black" -


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