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martedì 12 novembre 2019

White Russian's Bulletin



Nuova settimana di visioni e nuovo ritardo ormai standardizzato per la pubblicazione del Bulletin, che alterna recuperi da piccolo schermo a novità sul grande, passando per la consueta tappa che prevede una certa dose di Prime o Netflix settimanali.
Nulla che fosse clamoroso, ma visioni oneste e a loro modo solide che hanno accompagnato le sempre più difficili - in termini di capacità di restare svegli - serate da divano in casa Ford: considerate le aspettative della vigilia legate alla maggior parte dei titoli in questione, direi che è andata anche più che bene.


MrFord




THE WALL (Doug Liman, USA, 2017, 88')

The Wall Poster


Pescato praticamente per caso dalla piattaforma di Prime - ultimamente utilizzata come alternativa a Netflix -, firmato dal Doug Liman di Edge of tomorrow e The Bourne Identity, legato a doppio filo al filone dei film di guerra made in USA ispirati ai fatti dell'ultimo decennio figli dell'Undici Settembre e legati a Iraq e Afganisthan nella migliore tradizione di Peter Berg - pur senza essere così spiccatamente patriottico -, The Wall è stata una piacevole sorpresa nonostante sulla carta si presentasse come la più clamorosa delle tamarrate a stelle e strisce.
Strutturato come un thriller di stampo teatrale - due personaggi e la voce di un terzo, uno spazio ristretto -, il lavoro di Liman sfiora, volontariamente o no, tutte le possibili sequenze da retorica a stelle e strisce con cammino già indirizzato verso il più ovvio dei finali per poi diventare una coraggiosa parabola discendente rispetto alla crudeltà della guerra, all'impossibilità ad uscirne davvero, alla sensazione di dover e voler prevalere necessariamente sull'avversario pensando di avere sempre le ragioni e le giustificazioni per farlo.
Con questo non voglio caricarlo di un peso e di un valore forse troppo grande, ma penso si tratti di uno di quei titoli che, erroneamente, finiscono per essere sottovalutati per partito preso.
Un pò come quando, in guerra, credi di essere inevitabilmente dalla parte giusta.





SCARY STORIES TO TELL IN THE DARK (Andre Ovredal, USA/Canada, 2019, 108')

Scary Stories to Tell in the Dark Poster


L'horror ad Halloween, o nel periodo della Notte delle streghe, è più o meno una tradizione almeno quanto quello da visione estiva, con risultati spesso - purtroppo, per un appassionato del genere come questo vecchio cowboy - ben lontani dai fasti dei cult che hanno popolato gli incubi dei fan negli anni settanta e ottanta.
Per quanto abbia sempre discretamente stimato il lavoro di Andre Ovredal - interessante Autopsy, molto bello The troll hunter -, credevo che, con questo Scary stories to tell in the dark, sarei andato incontro all'ennesimo titolo usa e getta buono per il periodo e per le bottigliate di rito, senza pensare che potesse in qualche modo risultare interessante: al contrario, però, complici una cornice dal sapore vintage ben realizzata ed una struttura che mi ha riportato alla mente quella che fece la fortuna, insieme al suo protagonista, del franchise di Nightmare, ho trovato Scary stories to tell in the dark un valido intrattenimento per il periodo ed i film che si vanno cercando di conseguenza, con la giusta dose di "teen", una parte horror che pare più simile al gusto di Del Toro che non allo scare jump ed un paio di buone idee.
Forse, in alcuni punti, un pò troppo facile in termini di scrittura e legato probabilmente per esigenze di produzione ad un finale che potrebbe essere facilmente agganciato ad un secondo capitolo, ma sono leggerezze che si perdonano ad un titolo che ha più da sorprendere che non da essere bottigliato.
Considerato il genere, è già un successo così.





24: LIVE ANOTHER DAY (FOX, USA, 2014)

24: Live Another Day Poster


Jack Bauer è sempre stato uno degli idoli action di casa Ford fin dai primi tempi della convivenza con Julez: e nonostante 24 fosse un prodotto prettamente action e tagliato con l'accetta come il suo protagonista, nel corso della sua lunga permanenza in televisione è riuscita a regalare alcune stagioni davvero notevoli per intensità, gestione del tempo, colpi di scena e twist narrativi.
A distanza di non so neppure io quanto dalla visione dell'ultima stagione regolare, abbiamo deciso di recuperare la mini che nel duemilaquattordici riportò lo spigolosissimo - per usare un eufemismo - agente segreto sugli schermi, chiudendone in qualche modo la saga senza per questo negarsi lo sfizio di lasciare un'eventuale porta aperta ad un ritorno.
Solo dodici episodi, questa volta, ma la stessa azione di sempre portata in dono dallo stesso Bauer di sempre: reazionario, violento, pronto a fare quello che vuole e quando vuole, additato come un pazzo o un traditore un pò da chiunque e puntualmente portato a sbugiardare chiunque non gli dia credito, se necessario con mezzi non propriamente ortodossi.
Anche in questo caso, tra le vie di una Londra non proprio pronta ad ospitare il furioso agente americano, troviamo colpi di scena, tradimenti, morti, attentati e scontri a fuoco come se piovessero, a dimostrazione che, nonostante un certo appannamento narrativo, il charachter di Bauer era qualcosa di davvero notevole e funzionale per il suo genere e forse non solo, che anche in questo caso, nonostante il tempo si faccia sentire, ricorda a tutti quanti quanto sul piccolo schermo sia difficile - se non impossibile - trovare uno spaccaculi del suo calibro.


martedì 20 marzo 2018

Ore 15:17 - Attacco al treno (Clint Eastwood, USA, 2018, 94')




Non è stato facile approcciare l'ultimo lavoro di Clint Eastwood, mio nonno cinematografico nonchè quello che considero il John Ford della nostra epoca: senza girarci troppo intorno, penso infatti che 15:17 - Attacco al treno, ispirato al tentativo di attentato sul convoglio che da Amsterdam viaggiava verso Parigi il ventuno agosto duemilaquindici impedito principalmente dall'intervento di tre ragazzi americani in viaggio attraverso l'Europa, due dei quali legati ad esperienze militari negli States - e che lo stesso Clint ha voluto, con tutti i rischi e le conseguenze del caso, come interpreti di se stessi sul grande schermo -, abbia deluso praticamente tutti.
Ha deluso il grande pubblico che ne ha dichiarato un successo molto limitato al botteghino - complici, probabilmente, la campagna pubblicitaria che l'ha presentato come un film d'azione serrata quando la descrizione degli eventi è mio parere giustamente collocata nel solo quarto d'ora conclusivo e la presenza di attori chiaramente non professionisti -, i fan Dem del Clint impegnato ed autoriale - pronti a prendere posizioni estreme e quasi radicali contro il loro ex idolo -, i fan decisamente meno Dem - che probabilmente si aspettavano una versione antiterrorismo di Terminator, o cose simili -: in pratica, il vecchio Eastwood ha finito per ritrovarsi con più nemici di quanti se ne sarebbe trovati girando un documentario che esaltasse la figura di Donald Trump.
Ora, io non ho mai fatto mistero delle mie posizioni politiche - decisamente lontane da quelle del Nostro Dirty Harry -, non ho mai sognato di arruolarmi, o di pensare che i miei figli possano avere fin da piccoli familiarità con le armi - pur se giocattolo -, non ho mai sentito vicini i valori di Dio e Patria tipici di un certo approccio, non ho mai giustificato la guerra come atto umano - in termini di etica ed intelligenza -, ho vissuto i racconti dei miei nonni - uno reduce della Campagna d'Africa, l'altro partigiano - e negli occhi di nessuno ho visto esaltazione, o attorno ai loro corpi un'aura mitica da supereroi. Si trattava - e si tratta - di persone normali, con i loro limiti, il loro modo di intendere e vedere le cose ed il mondo, i loro difetti, i loro pregi, alle prese con eventi decisamente oltre l'ordinario.
Ed è questa, a mio parere, l'idea più importante dietro questo film.
Che non sarà certo il migliore di Clint, non tira fuori emozioni o grandi storie, non coinvolge o sconvolge - se non chi va alla ricerca della polemica politica a tutti i costi -, ma fotografa bene la realtà.
La realtà che dice che siamo persone normali. Lo siamo quando crediamo di essere nel giusto, quando facciamo del bene e quando, al contrario, facciamo del male, quando lottiamo e quando cerchiamo semplicemente di vivere la vita.
Attacco al treno, a ben guardare, racconta il viaggio in Europa di tre amici d'infanzia che vogliono divertirsi e vedere il mondo prima di diventare troppo grandi per rimorchiare a caso e sbronzarsi in discoteca neanche stessimo guardando il filmino delle vacanze di un nostro conoscente in una qualsiasi serata in compagnia. Può apparire banale, inutile, poco rilevante rispetto all'evento che, dal titolo al trailer, dovrebbe raccontare.
Ma è proprio questo il segreto. La normalità. Skarlatos, Stone e Sadler sono ragazzi normali.
Potranno avere valori di riferimento diversi dai miei, ma in fondo girano in Europa come tutti fanno a vent'anni pensando solo a scoprire nuovi posti, bere e trovare più ragazze possibili.
E sinceramente, da non sostenitore della guerra, delle armi e di tutto il resto, mi sta discretamente sul cazzo il fatto che possano rischiare di essere fatti fuori da qualcuno che, a sua volta, è cresciuto con valori di riferimento diversi dai miei.
Perchè al posto loro potrei esserci io quindici anni fa, o i miei figli tra quindici anni.
Personalmente spero che ai Fordini non venga mai l'idea di arruolarsi ed andare a combattere da qualche parte nel mondo rischiando di non tornare a casa, continuerò a mantenere le mie posizioni politiche - assolutamente diverse da quelle di Clint - per tutta la vita, a pensare che non è un arma a rendere più sicuro il mondo, ma uno stato mentale così come uno sociale.
Eppure, fossi stato su quel treno, sarei stato felice che Skarlatos, Stone e Garland fossero lì con me.
E lo sono anche se su quel treno non c'ero.
Sono anche felice di aver visto questo film, perchè se è ovvio che non sia il migliore di uno dei registi migliori degli ultimi quarant'anni - forse, addirittura, uno dei suoi peggiori -, è chiaramente il segno della grande intelligenza dell'uomo dietro la macchina da presa.
Che sarà pure un vecchio repubblicano senza ritegno con il quale, probabilmente, politicamente non riuscirei ad andare d'accordo neppure dopo esserci bevuti una ventina di birre a testa con qualche shot di Jack Daniels in mezzo senza capire più neppure dove ci si trovi, ma da uomo d'esperienza e testa pensante ha mostrato la normalità e, ammettiamolo, la banalità del Male.
Ma fortunatamente, anche del Bene.



MrFord




mercoledì 15 luglio 2015

'71

Regia: Yann Demange
Origine: UK
Anno: 2014
Durata: 99'





La trama (con parole mie): Gary Hook, un giovane soldato britannico che con la sua unità è inviato a Belfast a causa dell'incremento degli scontri e della violenza nel pieno del settantuno, è accidentalmente abbandonato dai compagni nel corso dei tumulti seguiti ad una rivolta popolare per le strade della capitale nordirlandese, solo e alla mercè dei locali, che non aspettano altro che catturarlo per ucciderlo.
Lottando con le unghie e con i denti per la sopravvivenza, sfruttando l'aiuto di alcuni cittadini, i conflitti tra cattolici e protestanti e la speranza che i suoi superiori decidano di avviare una missione di recupero, Gary si trova ad esplorare il cuore nero e pulsante degli anni di sangue dell'Ulster.
Riuscirà il ragazzo a portare a casa la pelle?
E a quale prezzo?








Fin da ragazzino, sarà per il fascino dell'idea dell'Erasmus - poi mai sfruttata - o della musica, ho sempre adorato l'Irlanda. Prima ancora del viaggio nel duemilasei con Emiliano, del whisky e delle ragazze che conobbi in quel settembre clamorosamente clemente in termini di condizioni atmosferiche, di un'isola splendida abitata da gente splendida.
Eppure, per quanto strano anche a me possa sembrare, le strade dell'Irlanda ora così guascone e bagnate da birra e alcool di tutti i generi vissero - specialmente nel Nord - anni terribili e violenti in cui il sangue la faceva da padrone, dibattendosi tra cattolici, protestanti e soldati britannici inviati dal governo inglese a rendere la polveriera ancora più vicina all'esplosione.
'71, celebratissimo esordio dietro la macchina da presa - quantomeno per il grande schermo - del francese Yann Demange, proietta lo spettatore al centro dell'inferno che dovevano essere le strade di Belfast nei primi anni settanta, sfruttando il senso di smarrimento e di terrore del protagonista, il soldato Gary Hook, che quasi ci si trovasse al centro di un survival horror è costretto ad una notte di sofferenza e tensione altissima nella speranza di potersi ricongiungere con i propri commilitoni evitando di essere catturato ed ucciso dai giovani cattolici appartenenti alle più estreme frange delle nuove leve dell'IRA.
Sfruttando questo spunto, Demange segue non soltanto il percorso di Hook, ma riflette a proposito dei numerosi giochi di potere che, ad alti livelli - e non solo - si consumavano muovendo pedine come in partite di scacchi al pub senza preoccuparsi troppo di quale fine avrebbero incontrato i pedoni.
Senza dubbio il prodotto finito non è privo di sbavature così come di sequenze che difficilmente si dimenticheranno - dall'esecuzione sommaria del compagno di Hook al faccia a faccia finale con il giovane sicario dell'IRA, il charachter più sfaccettato ed interessante della pellicola -, si appoggia sulle spalle di un ottimo Jack O'Connell - che già aveva più che convinto in Starred Up - e tiene incollati alla poltrona dal primo all'ultimo minuto, di fatto non dando tregua neppure nei momenti di calma apparente - e torna subito davanti agli occhi l'esplosione al pub, impressionante per resa e realizzazione -, eppure ho trovato l'insieme comunque acerbo, incapace di emozionarmi e scuotermi come fece, ai tempi, Bloody Sunday.
Questo non significa, di fatto, sminuire il lavoro eccellente di Demange - peraltro fotografato alla grande -, quanto evitare di gridare al Capolavoro quando, in realtà, è giusto che il talento del regista cresca e si modifichi senza che lo stesso possa pensare di essere già arrivato al suo primo "colpo grosso": ben venga, dunque, un titolo come '71, potente e sanguigno nel bene e nel male, nella speranza che possa porre le basi per l'opera di un possibile futuro grande nome della settima arte europea - a tratti, mi è parso addirittura di vedere qualcosa dell'Audiard più sporco nelle immagini del viaggio allucinante di Hook attraverso le vie di Belfast -, così come di una vita per il giovane Gary lontana dall'orrore di una guerra fratricida che ha insanguinato per troppo tempo strappando troppe giovani vite le strade di un'isola meravigliosa che, a ben vedere, tutto il mondo ama.
E vuole vedere libera dalla lotta e dal sangue.



MrFord




"Woah, woah
she's the refugee
I see your face
I see you staring back at me."
U2 - "The refugee" -





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