martedì 8 maggio 2018

The big sick (Michael Showalter, USA, 2017, 120')




Indubbiamente, l'amore è una delle cose più complicate che si possano incontrare nella vita.
Anzi, la più complicata, senza mezzi termini.
Di mezzo ci sono i sentimenti, il sesso, la fatica, gli sforzi, i tentativi, la comprensione, il perdono, e tutto quello che, di norma, non concediamo al mondo se non a chi, per l'appunto, decidiamo o scopriamo di amare.
L'amore ha anche diverse forme e incarnazioni, da quello che proviamo verso i genitori, fatto di gratitudine - a volte -, rancori e qualcosa che non si potrà spezzare mai davvero, ai fratelli, che condividono con noi la crescita, e ci conosceranno a fondo anche quando crederemo di no, alle compagne o ai compagni di vita, che sceglieremo perchè quella fatica la vogliamo vivere accanto a loro, indipendentemente da tutto, ai figli, che sono forse l'espressione più pura di quello stesso amore.
Complici la distribuzione - come al solito fuori luogo - italiana, il clan di Apatow alle spalle in fase di produzione e la prima parte, pensavo che The big sick si sarebbe rivelata la tipica commedia goliardica buona per rilassarsi in una serata senza impegno realizzata meglio dello standard del genere, ma davvero non pensavo si sarebbe rivelata una delle romcom più emozionanti e belle degli ultimi anni, un piccolo ed imperfetto - in termini temporali viene gestito non benissimo, soprattutto nella seconda parte - gioiellino che non sfigura accanto ad alcune delle migliori pellicole che il romanticismo indie abbia regalato al pubblico nel corso degli Anni Zero in cui grazie a tutti gli dei sono state sdoganate le risate nel sesso e nell'amore, l'ironia pungente, la sincerità, la cacca che fanno anche le donne, e via discorrendo.
Anzi, come se tutto questo non bastasse, ammetto senza alcun ritegno che, in alcuni passaggi, mi è quasi parso di ritrovarmi all'interno di un episodio da sala di This is us, quando le parti da genitori e da figli si mescolano, l'amore diviene la medicina peggiore ed il rimedio migliore per la vita, gli errori di chi amiamo il centro di gravità per il sentimento che proviamo per loro.
Non è facile, del resto, affrontare la vita e l'amore, così come non è facile affrontare un post come questo, con la stanchezza che incombe al termine di una giornata di impegni di lavoro, famiglia, palestra e chi più ne ha, più ne metta, o legati al desiderio di poter continuare a scrivere come l'opera meriterebbe ma sentirsi soli o quasi predicare nel deserto che è diventata la blogosfera: non è facile affrontare una cultura millenaria, e non è facile cercare di costruire la propria libertà.
Perchè a volte, combattere il "sistema" è una scappatoia, rispetto a crearne uno con le proprie mani.
E riderci sopra è senza dubbio più difficile che piangersi addosso.
The big sick racconta di tutto questo e molto altro, grazie ad una storia sentita e sincera, una Zoe Kazan che ancora una volta tira fuori il suo meglio, coppie di genitori agli antipodi eppure così vicine da fare quasi paura, il percorso ad ostacoli che è necessario percorrere se si vuole davvero provare l'emozione, la magia, l'unicità di una storia, di quelle vere.
Perchè le storie uniche, vere, d'amore, sono come un undici settembre: impediscono le battute, inibiscono il sonno e ci portano a compiere gesti inaspettati, istintivi, folli, scombinati.
Ma soprattutto, a dispetto delle ferite, dei massacri, delle sconfitte, della rabbia, della voglia di rialzarsi ad ogni colpo, c'è il desiderio di sentire cosa ci attende dall'altra parte, anche se non in termini di fede, o di lotta: c'è il desiderio di un barbarico YAWP che interrompa il monologo di un comico, spezzi l'incantesimo di una malattia, superi i pregiudizi interni ed esterni, compia il miracolo che ci aspettiamo dalla religione o dalla scienza, e dimostri non tanto che possa esistere altro oltre questa vita, ma che questa vita, da par suo, è miracolosa.
E che quel miracolo è tale perchè clamorosamente semplice e vero.
E a tratti banale.
Come un nome scritto su un tovagliolo in una lingua che non si conosce.
Ma che sappiamo già cosa porterà.



MrFord



4 commenti:

  1. E' uno dei pochi film nelle categorie più importanti degli Oscar che mi manca. Il fatto che tu ne parli piuttosto bene mi fa ben sperare, spero di divertirmici anche io!

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    1. Io l'ho trovato davvero molto valido, nel suo genere. Se poi apprezzi l'Apatow style, sei a cavallo.

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  2. Strano che questo film, apprezzato parecchio negli Usa e invece schifato parecchio qui in Italia, trovi proprio noi due d'accordo. Ancor più considerando che si tratta di una commedia, decisamente romcom e molto indie. Probabilmente è piaciuto persino più a te che a me.
    Il clan di Apatow negli ultimi tempi non è molto goliardico, però ha trovato un buon modo per bilanciare comicità e qualche riflessione vagamente profonda.
    Certo poi che questo post è la dimostrazione che tu stai diventando sempre più sentimentale e smielato. ;D

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    1. Smielato o no, a me sconvolge che io e te ci troviamo d'accordo su un film che qui da noi è stato snobbatissimo, neanche fossimo ai tempi di Spring breakers! ;)

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