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venerdì 13 maggio 2016

The VVitch - A New England folktale

Regia: Robert Eggers
Origine: USA, UK, Canada, Brasile
Anno:
2015
Durata:
92'





La trama (con parole mie): siamo nel New England a metà del seicento quando una famiglia di cattolici osservanti partita dall'Inghilterra per sistemarsi nel Nuovo Mondo viene allontanata dalla propria congrega a causa delle divergenze nate tra il capofamiglia ed i leader della stessa, e finisce per stabilirsi in una fattoria isolata in prossimità di una foresta.
Quando Thomasin, la primogenita, vede scomparire sotto i suoi occhi il fratellino minore ancora neonato, il timore che il luogo possa nascondere qualcosa di terribile comincia a seminare inquietudine nella madre e ad alimentare gli strani comportamenti dei due gemelli di qualche anno più grandi del bambino sparito nel nulla.
La possibilità che nel cuore della foresta si rifugi una strega pronta a muoversi proprio contro la famiglia aumenta il disagio ed il conflitto, mantenendo fertile il terreno per l'arrivo del Male puro.






Il fascino dell'horror d'atmosfera, se si esclude quello dei sempre goduriosi slasher, è senza dubbio il più magnetico tra quelli che il genere può vantarsi di sfruttare, considerato quanto sia vero il fatto che, di norma, fa molta più paura una sensazione di una certezza, anche e soprattutto quando si parla di spauracchi: in fondo, il dubbio che un mostro possa essere nascosto sotto il letto o nell'armadio è molto più logorante della scoperta del mostro stesso.
The VVitch, pellicola decisamente autoriale per il genere di recente incensata un pò dappertutto nella blogosfera, appartiene senza ombra di dubbio a questa categoria, ma ancor più - ed ultimamente, è una cosa più unica che rara - a quella dei film d'orrore ben riusciti, tanto da non deludere le aspettative del sottoscritto e, pur non spaventando gli occupanti di casa Ford, quantomeno evocando un'atmosfera da fiaba gotica e nera davvero niente male, condita da elementi sempre interessanti come il ruolo del Male nel mondo a partire dal suo nucleo - la Famiglia - ed l'influenza maligna che la religione spesso e volentieri finisce per avere quando sconfina nella credenza cieca ed assoluta.
Da più di un punto di vista, il lavoro di Eggers finisce per essere quello che avrebbe dovuto essere l'orrido Le streghe di Salem di Rob Zombie, andando a rinverdire i fasti di una figura - quella, per l'appunto, della strega - affascinante e misteriosa, in grado di sedurre ed ammaliare ma anche di sbranare ed annientare nella mente prima ancora che nel corpo.
L'utilizzo, però, della figura della strega è sfruttato dal regista quasi metafisicamente, come se rappresentasse la disgregazione della Famiglia intesa come rigida struttura costruita sulle certezze del cattolicesimo senza via d'uscita: dal padre autoritario e limitato, "buono solo a tagliare la legna", alla madre ossessiva e spinta alla follia, passando dalla lenta ed inesorabile "ribellione" di Thomasin, fino allo sconvolgimento del secondogenito e l'inquietante atteggiamento dei gemelli - che ricordano, in piccolo, le comari di paese sempre pronte a puntare il dito verso gli altri senza preoccuparsi di quanto potrebbero essere sporche le loro mani - concedendosi sprazzi di follia visionaria che, comunque, non stonano rispetto al risultato complessivo, forse limitato soltanto da un ritmo non propriamente veloce - ma ci può stare - e dalla sboronata finale rispetto all'ispirazione tratta da vicende narrate nelle cronache dei tempi, neanche dovessimo necessariamente pensare, come ai tempi di Blair Witch Project, che tutto sia reale per rimanerne conquistati o ancora più inquietati.
A parte, comunque, queste piccole sbavature, The VVitch si presenta come una delle cose più interessanti che l'horror abbia offerto in questi primi mesi del duemilasedici, un lavoro in grado di mettere in ottima luce per il futuro il suo regista e la dimostrazione del fatto che, quando le idee incontrano una buona tecnica, il risultato non può che essere positivo.
E decisamente inquietante.






MrFord





"Ask yourself
will i burn in Hell?
Then write it down
and cast it in the well
there they are
the mob it cries for blood
to twist and tale
into fire wood
fan the flames
with a little lie
then turn your cheek
until the fire dies
the skin it peels
like the truth, away
what it was
I will never say..."
Queens of the stone age - "Burn the witch" - 






 

giovedì 7 agosto 2014

The forgotten

Produzione: ABC
Origine: USA
Anno: 2009
Episodi: 17




La trama (con parole mie): Alex Donovan, ex poliziotto al quale è scomparsa una figlia che lo stesso si prospetta, prima o poi, di ritrovare, è a capo di una speciale unità di volontari che si occupano di ritrovare le identità perdute di tutti i cadaveri rinvenuti senza documenti e volti dalla polizia di Chicago. Supportato dalla detective ed ex collega Russell, Donovan scava nel passato delle vittime in modo da poter rendere possibile un loro riconoscimento ed un collegamento che possa dare ai parenti o agli amici una possibilità di salutare per l'ultima volta chi hanno perduto, spesso e volentieri smascherando anche colpevoli non rintracciati dalle forze dell'ordine.
I casi che il Forgotten Network - questo il nome del gruppo - affronterà toccheranno diverse realtà sociali e personali, rendendo possibile ad ogni membro un confronto con se stesso e con la realtà a volte clamorosamente triste di una metropoli moderna.








Negli ultimi anni la crescita qualitativa delle proposte per il piccolo schermo ha cambiato la geografia dei movimenti anche attoriali, portando molti nomi associati a blockbuster e successi al botteghino presenti e passati a confrontarsi anche con questa nuova - si fa per dire - realtà: terminato con successo l'esperimento di Cold Case, Jerry Bruckheimer ritenta la strada degli omicidi insoluti e delle piste fredde grazie all'apporto di uno dei volti più importanti di un certo Cinema alternativo soprattutto anni novanta, Christian Slater, caduto più o meno nel dimenticatoio con l'avvento del Nuovo Millennio.
Peccato che questo The Forgotten - che terminò anzitempo la sua corsa dopo una sola stagione, qualche anno fa - non sia riuscito sotto nessun aspetto a seguire le orme del suo per certi versi predecessore, dando vita ad una sorta di copia sbiadita del serial con protagonista la Detective Rush, privo del carattere - sia per quanto riguarda il prodotto che per i suoi protagonisti - e di quella scintilla necessaria a legare il pubblico in modo da assicurarsi un futuro anche commerciale.
La stessa idea di un gruppo di volontari che, in barba a lavoro e famiglia, riescono a trovare il tempo e le energie per seguire indagini con risultati migliori della polizia risulta poco credibile, senza contare che la scelta dei personaggi - esclusi il protagonista Alex Donovan e la sua spalla in polizia Russell - non ha contribuito per nulla al successo del prodotto: troppo sciapi sia in termini di caratterizzazione che attoriali, preda di una serie di scelte discutibili e cambi di rotta piuttosto forzati - si veda il rapporto tra Tyler e Candace, completamente dimenticato negli ultimi episodi -.
Come se non bastasse, le trame hanno ricordato agli occupanti di casa Ford quei fumetti italiani dalla struttura sempre identica che episodio dopo episodio forniscono casi che già in partenza si sa che i protagonisti risolveranno senza neppure sudarci troppo: addirittura in tre o quattro occasioni, Julez ha sfoderato la detective che è in lei dei tempi migliori azzeccando il colpevole dell'omicidio di turno alla prima scena.
Una mezza delusione, dunque, considerato che qui al Saloon ci si aspetta sempre un certo tipo di risultato quando si tratta l'argomento morti ammazzati, ma ad un tempo nulla che possa davvero solleticare le bottigliate, o che meriti un giudizio severo e massacrante.
In fin dei conti, si tratta di un prodotto mediocre che perfino il pubblico occasionale ha finito per snobbare sancendone la prematura fine, e che non avrebbe mai e poi mai avuto le caratteristiche necessarie per imporsi in un panorama che porta nelle case degli spettatori cose di un livello decisamente più alto - dal già citato Cold Case a Criminal minds, senza contare gli innumerevoli seppur dal sottoscritto snobbati CSI -: peccato per Slater, che prosegue nella sua striscia negativa e, di fatto, non cambia di una virgola il suo personaggio pseudo maledetto portato sulle spalle fin dai tempi della giovinezza.
Neppure l'inserimento della vecchia conoscenza dei fan di 24 Elisha Cuthbert riesce nell'impresa di risollevare l'asticella dell'attenzione rispetto ad un prodotto davvero noiosetto, che neppure la visione nel corso di pranzi e cene come sottofondo è riuscita a rendere più scorrevole qui dalle parti di casa Ford, senza contare che la mancanza di una sigla effettiva, ha privato anche il Fordino di un balletto da associare al titolo.
Un tentativo, dunque, sicuramente fallimentare di esplorare nuovi aspetti di un genere come il noir da sempre amato da queste parti, non nocivo o terribile ma decisamente innocuo: e quando si parla di un prodotto da legarsi al thriller, sono sempre termini che si preferirebbe non usare mai.




MrFord




"From the top to the bottom
bottom to top I stop
at the core I’ve forgotten
in the middle of my thoughts
taken far from my safety
the picture is there
the memory won’t escape me
but why should I care."
Linkin Park - "Forgotten" - 




 

lunedì 3 marzo 2014

Storie maledette

Produzione: Rai
Origine: Italia
Anno: 1994 - In corso
Episodi: 72




La trama (con parole mie): incentrata su vicende legate a realtà finite in tragedia ed affrontate, con successo più o meno chiaro, dalla Legge, Storie maledette nasce da un'idea della giornalista Franca Leosini, e si preoccupa, puntata dopo puntata, di raccontare dal punto di vista dei colpevoli quanto degli innocenti avvenimenti drammatici nati dall'ignoranza come dalla crudeltà, dalla vendetta come dal puro e terrificante istinto omicida.
Situazioni e persone della porta accanto divengono così personaggi quasi cinematografici, che la realtà ed i fatti riportano - spesso con il sangue - alla quotidianità che viviamo giorno dopo giorno: indagini ed approfondimenti partono dunque dalle carceri all'interno delle quali scontano la pena i pronunciati colpevoli che rivelano quasi sempre sfumature in grado di solleticare comunque il ragionevole dubbio.





Rispetto alla consuetudine del Saloon di dedicarsi, accanto ai film e ai romanzi, alle serie tv, ritaglio uno spazio simile a quello che regalai alla mitica Blu Notte qualche anno fa concedendo un post a quella che, a conti fatti, è e resta una trasmissione televisiva: Storie maledette.
Creata nell'ormai lontano novantaquattro dalla giornalista Franca Leosini ed incentrata su inchieste giornalistiche finalizzate ad un faccia a faccia girato in carcere con i dichiarati colpevoli, questa serie è entrata quasi per caso nelle vite degli occupanti di casa Ford guadagnandosi in poco tempo un notevole rispetto sia per la cura delle inchieste stesse, sia per la conduttrice ed autrice, che al pari di Carlo Lucarelli è riuscita ad entrare nel cuore del sottoscritto e di Julez grazie al suo eccezionale intercalare "Ecco!" ed un piglio deciso e per nulla intimorito neppure dalla presenza di assassini posti di fronte a lei.
Pur non avendo avuto modo di visionare tutti gli episodi andati in onda, ed essendo abituato alla ricorstruzione dei casi più "cinematografica" della già citata Blu notte, sono uscito comunque decisamente soddisfatto da quest'esperienza, e devo ammettere che, superate le prime difficoltà nate da un approccio ed una confezione decisamente televisiva, il coinvolgimento è stato intenso quanto quello che aveva accompagnato, ai tempi, gli omicidi insoluti mostrati dal buon Lucarelli.
L'idea del confronto, inoltre, tra la conduttrice ed i dichiarati colpevoli, risulta vincente oltre che decisamente interessante, e trova i suoi momenti migliori rispetto alle vicende che nel corso degli ultimi decenni hanno avuto una travagliata vita giudiziaria: dall'omicidio di Francesca Alinovi - avvenuto a Bologna nell'ottantatre e trattato anche da Blu notte, che probabilmente se avvenuto ai giorni nostri avrebbe condotto le autorità a soluzioni decisamente differenti - al delirio collettivo di una famiglia di Polistena - forse la più agghiacciante tra le storie passate in questo periodo sugli schermi del Saloon, protagonista un intero nucleo di adulti stretti attorno al legame di parentela e pronti ad uccidere una bimba di cinquanta giorni per scacciare il demonio dalla stessa -, passando attraverso vicende di innamorati, pedofili, killer ed amanti divenuti nemici - casi come quello dell'omicidio di Annarita Curina, uno dei molti che videro coppie pronte ad accusarsi una volta giunte in tribunale -, i brividi che percorrono la schiena dello spettatore sono molti, tutti motivati da quello che è il terrore più grande di tutti, in grado di superare qualsiasi horror o racconto fantastico.
Il terrore della porta accanto, se non della propria.
Ai tempi di Twin Peaks, e del terrore che indusse nel sottoscritto la creatura di David Lynch, una delle caratteristiche che finì per colpirmi maggiormente rispetto a Bob fu proprio il suo aspetto tutto sommato "normale", e l'idea che dietro ad orrori indicibili potessero e possano nascondersi persone che, ad insaputa di ognuno di noi, finiscono per passarci accanto quando prendiamo un mezzo pubblico, facciamo la spesa, chiediamo un'informazione.
Le "storie maledette" sono quelle che escono dalle nostre ombre, e finiscono per divorare chi non se l'aspetta, chi è troppo sicuro - emblematico il caso di Maurizio Gucci - o chi, semplicemente, finisce nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, zittito da una crudeltà o da una ferocia troppo grandi: il silenzio degli innocenti, come recita il titolo di un famoso romanzo, e di un film ancora più famoso.
E quando la Legge mescola le carte, a volte è ancora più arduo scoprire quale possa essere stata la via più giusta da percorrere.



MrFord



"Abbiamo gia' rubato abbiamo gia' pagato
ma non sappiamo dire quello che sarebbe stato
ma pace non ne abbiamo nemmeno lo vogliamo
nemmeno il tempo di capire che ci siamo gia'
cos'e' che ancora ci fa vivere le favole
chi sono quelli della foto da tenere."
Enrico Ruggeri - "Mistero" - 


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