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lunedì 9 novembre 2015

The Green Inferno

Regia: Eli Roth
Origine: Cile, USA
Anno: 2013
Durata: 100'






La trama (con parole mie): Justine è un'universitaria figlia di un funzionario delle Nazioni Unite in cerca di una propria strada e di ideali, quando nel campus viene a contatto con un gruppo di attivisti sempre pronti a lottare per perseguire una sorta di Giustizia oltre ogni sopruso, a prescindere dalle latitudini geografiche e dalle situazioni.
Quando, spinta da Alejandro, il leader del gruppo stesso, si aggrega ad una spedizione diretta nella parte di Amazzonia in territorio cileno in modo da fermare l'avanzare delle ruspe di una multinazionale decisa ad intervenire nei territori occupati da una tribù antichissima che raramente è venuta a contatto con la società per come la intendiamo, la ragazza pare aver trovato finalmente la sua dimensione: peccato che, dopo aver capito di essere stata sfruttata soltanto per gli agganci di suo padre nel corso dell'operazione, il piccolo aereo sul quale vola con i suoi ormai poco graditi compagni precipiti nel cuore della giungla, proprio nei pressi del villaggio dei nativi che i ragazzi si prefissavano di salvare.
Il loro rapporto con gli indigeni, però, si complicherà non poco: le uniformi che gli attivisti indossano, infatti, portano il logo della multinazionale, e la popolazione locale è dedita al cannibalismo.










Meglio tagliare subito la testa al toro.
O, per dirla meglio, all'attivista finto rivoluzionario che avrei preso a pugni in faccia fin dalle prime sequenze.
The Green Inferno mi è piaciuto parecchio. Mi ha intrattenuto e divertito. E senza dubbio l'ho trovato il migliore tra i film di Eli Roth che mi sia capitato di vedere.
Mi è piaciuto talmente tanto da farmi riflettere fino all'ultimo se non osare anche di più con il voto, quasi lanciando una sfida a tutte le critiche piovute su un film senza dubbio derivativo, imperfetto ed "ignorante" - nel senso di Cinema di genere al massimo livello -, eppure divertito, divertente, cattivo ed assolutamente godibile, lontano dagli eccessi di Cannibal Holocaust e ad un tempo perfettamente in grado di mostrare al pubblico - principalmente appassionato, immagino - come è possibile sfruttare l'eccesso senza per questo risultare distorti o in qualche modo psicopatici - quello che accade, al contrario, visionando titoli quali il già citato lavoro di Deodato, A serbian film o il secondo capitolo di The Human Centipede -.
Eli Roth, che è un vero buontempone nonchè un appassionato che deve essersi mangiato a colazione - sempre per rimanere in tema - tonnellate di horror, splatter e gore regala al suo pubblico una sorprendente chicca - sempre a modo suo, ovviamente - azzeccando tempi, cornice ed ingredienti: The Green Inferno, infatti, scorre molto velocemente anche nella sua prima parte - per chi fosse solo interessato al massacro, ricordate che nel corso dei quaranta minuti iniziali non vedrete scorrere neppure una goccia di sangue -, regala un gruppo di protagonisti che, per la maggior parte, non si vede l'ora di vedere massacrati come si conviene dagli indigeni cannibali - il leader degli attivisti, vero e proprio sacco di merda, è uno dei charachters più odiosi dell'anno -, un'ottima ed inquietante rappresentazione degli indigeni e si inserisce in una serie di locations mozzafiato, che sono riuscite a farmi tornare alla mente anche perle del Cinema "alto" come Fitzcarraldo o Aguirre furore di dio firmati da Herzog.
Certo, senza dubbio parliamo di un film assolutamente di genere, privo di qualsiasi pretesa, telefonato fin dal principio rispetto alla protagonista - una Lorenza Izzo che passerà alla Storia come l'attrice dagli occhi a pesce pronti per ogni occasione - ed a suo modo conciliante nel finale, eppure ho trovato assolutamente interessanti molte delle scelte del regista, supportato anche da ottimi effetti artigianali firmati dal veterano Nicotero: dalle chicche come l'attacco di diarrea di una delle compagne di viaggio di Jennifer nella gabbia in cui sono prigionieri nel villaggio degli indigeni alle rivelazioni di Alejandro a proposito del vero scopo della loro spedizione mascherata da pagliacciata finto idealista non mancano i momenti interessanti, così come la scelta conclusiva di lasciare che la tribù cannibale rimanga una sorta di mito non confermato, quasi fosse un tributo da pagare da parte di chiunque intenda non solo profanare un territorio incontaminato, ma anche abusare della propria condizione di "colonizzatore".
Senza, dunque, lasciare lo spettatore con il dubbio che si tratti di un deviato dalle fantasie malate, Eli Roth confeziona un solido gore vintage eppure attuale - la prima parte, di preparazione, ricorda molto gli horror a sfondo teen -, ironico e piacevole perfino nei momenti più citazionisti - l'incubo finale in pieno stile Misery - o rispetto all'idea di un decisamente poco probabile sequel: a dispetto, dunque, di qualsiasi radical o detrattore dallo stomaco troppo debole, devo dire che, per una volta, mi sono sentito in sintonia con il lato "Cannibale" del Cinema.




MrFord




"Let them taste the wrath as the agony consumes them
swallowed by the darkest light a blackened state of dismay
survival is the only thing left for them
this grievous revelation is a new beginning
led to the solution against their will."
Cannibal Corpse - "Make them suffer" -





sabato 7 novembre 2015

Knock knock

Regia: Eli Roth
Origine: USA, Cile
Anno:
2015
Durata:
99'






La trama (con parole mie): Evan Webber, ex dj divenuto architetto sposato con l'artista Karen, padre di due figli e marito modello, rimane solo nella casa di famiglia a Los Angeles per il weekend mentre i suoi ragazzi e la moglie partono per il mare.
Quando, alla prima notte "in solitaria" una coppia di ragazze bussa alla sua porta chiedendo aiuto per trovare un taxi dopo essersi perse, per Evan ha inizio un vero e proprio incubo: le due fanciulle, dichiaratesi hostess e presentatesi come Genesis e Bel, infatti, lo mettono sempre più alle strette con il passare del tempo provocandolo sessualmente in maniera sempre più esplicita.
Evan resiste il più possibile, ma quando, alla fine, cede alle lusinghe dell'insolita coppia di ospiti, il comportamento delle stesse cambia radicalmente: il resto del weekend sarà teatro di una vera e propria battaglia tra l'uomo, i suoi sensi di colpa e lo sfogo delle due ragazze terribili, che paiono non essere nuove a questo tipo di "attività".










Eli Roth mi sta simpatico. Davvero.
Trovo sia un cazzone appassionato di Cinema fino al midollo, un pò come siamo noi che frequentiamo in queste vesti "critiche" la blogosfera, o per usare un esempio certo più celebre, Quentin Tarantino.
Certo, il buon Eli ha probabilmente il talento dell'unghia del mignolo sinistro del vecchio Quentin, come la sua produzione ampiamente dimostra, eppure mi sono trovato quasi sempre a volergli tutto sommato bene: il suo modo di approcciare all'horror, anche quando pare andare sopra le righe, non pare mai nocivo, quanto più che altro tendente all'esagerato.
Quest'ultimo Knock knock, uscito in sala ad una velocità supersonica rispetto a The Green Inferno - che, lo ricordiamo, ha ritardato due anni la distribuzione -, però, per quanto supportato da un'idea di fondo molto, molto interessante - la natura animale dell'uomo che, per quanto si sforzi, finisce per non essere mai davvero capace di resistere alle tentazioni - e graziato da una singola scena che da sola vale non solo l'intera pellicola, ma forse l'opera tutta di Roth - spoiler alert: Keanu Reeves ormai umiliato e sconfitto dalle sue due nemesi, lasciato sepolto in una buca mentre con la mano che ha liberato cerca di cancellare il video che le caotiche e non volute ospiti del suo weekend terrificante hanno postato su Facebook sfruttando il suo account, e riesce soltanto a cliccare il temutissimo "mi piace", impagabile - resta forse il film più brutto realizzato dal regista.
Dal sapore fin troppo anni novanta, recitato da cani dal suo protagonista - non avevo mai visto un Reeves così terribile -, terribilmente lento nonostante le continue trovate delle ragazzacce psicopatiche che il main charachter si ritrova a dover gestire, Knock knock odora di stantìo lontano un miglio, appare come una finta produzione di serie a quando il livello è ben al di sotto anche delle categorie minori, non avvince o diverte come vorrebbe - del resto, è tutto giocato sull'utilizzo massiccio di ironia nerissima - e solletica in un vecchio spettatore come il sottoscritto la nostalgia di chi questo tipo di film li sapeva davvero girare, e li avrebbe girati con le palle: qualcuno ha detto Wes Craven?
Resta, per l'appunto, la riflessione legata al fatto che anche il migliore tra i padri e i mariti, messo con le spalle al muro da due ventenni disinibite pronte a prodigarsi in un'escalation di allusioni fino ad arrivare ad un pompino in stereo, non riuscirebbe a resistere alla tentazione e finirebbe per cedere inevitabilmente alle "interlocutrici" - e, spesso e volentieri, ne basta anche una soltanto -: ma, in qualche modo, è qualcosa che, uomini o donne, tutti già sappiamo o pensiamo di sapere, e dunque non finisce per scavare davvero fino in fondo, o almeno non come dovrebbe.
Resta, dunque, un two-women show di fanciulle pronte a fare il culo a strisce al buon Keanu - che pare essersi già dimenticato dei fasti di John Wick - riuscendo a rendersi davvero, davvero irritanti al punto da desiderare di eliminarle fisicamente pur essendo dall'altra parte dello schermo e nonostante i loro interessanti argomenti di natura fisica, ma resta davvero troppo poco per considerare questo film degno non solo di nota, ma anche di una pur passeggera visione.





MrFord




"Feel it coming
it's knocking at the door
you know it's no good running
it's not against the law
the point of no return
and now you know the score
and now you're learning
what's knockin' at your back door."
Deep Purple - "Knocking at your back door" -





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