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martedì 16 maggio 2017

13 reasons why (Netflix, USA, 2017)




SPOILER ALERT.



Cara Hannah Baker,
se stai leggendo queste righe dal cellulare, dal tablet, dal computer o da qualche mezzo spirituale sconosciuto ovunque tu sia ora, sappi che nella tua tanto chiacchierata epopea televisiva qualcosa non ha funzionato.
Parecchi qualcosa, a dire il vero.
Ma andiamo con ordine: in realtà, 13 reasons why, in termini di serial televisivo, funziona eccome.
Avvince, fa parlare e discutere, tiene bene tempi e ritmi, ha una colonna sonora notevole ed una cura di alcuni dettagli altrettanto importante.
Ma a volte, e tu lo sai bene, le cose semplicemente non bastano.
Dunque ho deciso di scriverti, e raccontarti in tredici passi - ti ricorda qualcosa? - per quali motivi considero questo titolo come uno dei più gonfiati fenomeni della cultura pop del passato recente.

1) La sceneggiatura manca a più riprese di logica.
Alcuni esempi: per quale motivo una coppia di genitori che della propria figlia non sa praticamente nulla - come capita a quasi tutti i genitori di quasi tutti gli adolescenti -, al suicidio della stessa - e senza alcuna lettera o indicazione che lo giustifichi - decida di intentare una causa alla scuola che frequentava perchè convinta che ci sia qualcosa che non va all'interno dell'istituto?
Per quale motivo il "prescelto" Clay passa dall'essere uno sfigato che non ha mai bevuto un goccio d'alcool in vita sua pronto a sbronzarsi con una birra a partecipare alle feste senza preoccuparsi di bere o sorseggiare uno scotch con il suo nemico numero uno, o il ragazzo con il quale tutte vogliono uscire?
Per quale motivo Tony, che nei flashback compare poco o nulla, e pare non avere un ruolo attivo non solo nella vicenda narrata, ma nella tua vita, cara Hannah, di punto in bianco viene considerato l'angelo custode delle cassette?

2) Il sensazionalismo.
Ho avuto a più riprese la sensazione non proprio piacevole di trovarmi in una versione più indie del salottino da pomeriggio Mediaset di Barbara D'Urso, o di Studio Aperto, pronti a capitalizzare luoghi comuni e dolori grandi e piccoli che tutti provano nel corso degli anni più duri della vita, quelli dell'adolescenza.

3) L'incoerenza.
Dieci persone - undici, contanto Tony - ascoltano le cassette seguendo le istruzioni perchè minacciate da un'eventuale resa pubblica delle stesse - ma non si lottava contro il bullismo? - facendo finta di niente e proseguendo nelle loro vite, poi arriva l'undicesima, che con loro c'entra poco e nulla in termini sociali, e di colpo tutti finiscono per cagarsi sotto perchè potrebbe scatenare un vespaio quando avrebbero semplicemente potuto "saltare un giro" come Clay decide di fare nell'ultimo episodio con la dodicesima.

4) Il pressapochismo.
Il fatto che ognuno di noi sia fallibile è un dato di fatto. E nel corso della vita, ad ognuno sarà capitato di soffrire e far soffrire, e spesso non in egual misura.
Dunque per quale motivo le tue sofferenze, Hannah, dovrebbero avere più valore rispetto a quelle degli altri?

5) La vendetta.
13 reasons why non è un racconto di formazione, o una storia atta a formare o sensibilizzare su temi molto importanti come, per l'appunto, il bullismo. E' una sorta di revenge movie a capitoli.

6) L'invidia.
Anna, parliamoci chiaro, ti rode il culo.
Fin dal principio, quando manifesti il desiderio di farti il ragazzo della tua amica in partenza, è chiaro che vorresti essere la reginetta della scuola, la studentessa figa che tutti vorrebbero seguire, e che tutti idolatrano e venerano. In un certo senso, vorresti essere i vari Zack, Justin, Bryce.
Dev'essere per quello che l'unico che di fatto rifiuti con convinzione e violenza - verbale - sia proprio Clay, l'unico che, almeno sulla carta, desideri che ti ami.

7) Lo scarico delle responsabilità.
Che io non sia il tipo da suicidio è chiaro da un sacco di tempo.
Ho impiegato più di un anno per accettare quello del mio amico Emiliano, che ha deciso di andarsene in pace e senza rompere i coglioni a nessuno.
Ma è troppo, troppo facile dire "voglio essere salvata".
Equivale ad andarsene dicendo "la palla è mia, e se non si gioca come voglio allora nessuno gioca".

8) L'omertà.
Se questa è una serie realizzata in modo da sensibilizzare soprattutto il pubblico giovane su un argomento importante come il bullismo - una volta ancora -, mi pare eticamente e moralmente fuori bersaglio.
Per poter combattere certe dinamiche occorre che le stesse vengano denunciate, portate a galla, mostrate per quelle che sono.
E no, non vale neppure fare come Clay, che sbologna le cassette al counselor e dice "decida lei cosa farne".
E ripenso a Scent of a woman.

9) Il crimine.
A prescindere dal fatto che ognuno può buttare la sua goccia nel mare e non sapere che quella goccia potrebbe essere quella che fa traboccare il vaso e che se tutti ci trattassimo meglio sarebbe tutto più bello e che gli asini volano, quasi nessuno degli "accusati" ha fatto qualcosa di davvero grave per meritare un fardello come quello che hai deciso di scaricare sulle sue spalle.
Certo, hanno combinato cazzate, ma quale adolescente non l'ha fatto?
A ben guardare, gli unici davvero colpevoli di qualcosa sono Bryce - la violenza sessuale non ha alcuna giustificazione o attenuante -, Justin - che consegna la sua ragazza a Bryce, rendendosi complice di uno stupro - e te, Hannah.
L'omissione di soccorso è un reato penale, principessa.
E tu sei colpevole quanto i due colpevoli principali della storia.

10) L'egocentrismo.
Cristo santo, Baker, ma ti sei accorta di quanto questo tuo "metodo" sbugiardi quello che denunci?
A prescindere dal fatto che, da genitore, penso che far penare così due persone che ti volevano bene sia proprio da stronza fatta e finita, e non ci sono sofferenze che tengano, con le tue azioni tu porti non una, due, tre ma tredici esseri umani a forzare la mano decisamente più - per la maggior parte delle volte - di quanto loro non abbiano fatto con te.

11) Le contraddizioni.
Queste posso concedertele.
Non sono più adolescente da un pezzo, e forse mi sono dimenticato di quanto si può essere stupidi a quell'età. Almeno in parte.

12) La rabbia.
C'è livore, nelle tue azioni. Del resto, ho già scritto di invidia e vendetta.
La verità è che quello che hai fatto, l'hai fatto solo ed esclusivamente per te stessa.
Niente di meno di quello che farebbe un Bryce qualsiasi.

13) Il bullismo.
La verità è che, nel corso della visione, ci ho pensato più volte.
Non credo che 13 reasons why sia un'opera che si possa associare al bullismo.
Al crimine, questo sì. Ma non al bullismo.
Quantomeno quello scolastico, lavorativo, sociale del quale tutti, soprattutto nel corso dell'adolescenza, abbiamo fatto esperienza.
Ma se così fosse, tu saresti il primo dei bulli.
Giudichi, ti imponi, costringi gli altri a stare alle tue regole.
Non lasci scappatoie che non siano violente, che si tratti di qualcosa di fisico, o mentale.
Ti metti al di sopra delle parti perchè sai bene che sono le parti che non ti vogliono con loro.
E riduci un povero cristo come Clay a sentirsi perfino in colpa per una serie di scelte che sono esclusivamente tue - sempre violenza a parte, si intenda -.
Sei tu il bullo, Hannah Baker.
E quindi, dato che a me non piacciono i bulli, te lo dico sinceramente.
Fanculo.
Una parola che vale per tutte e tredici le ragioni.



MrFord



venerdì 29 gennaio 2016

Piccoli brividi

Regia: Rob Letterman
Origine: USA, Australia
Anno: 2015
Durata: 103'






La trama (con parole mie): il giovane Zach, appena trasferitosi in una piccola cittadina del Delaware con la madre vicepreside in cerca di un nuovo inizio dopo la morte del padre, entra in contatto con la figlia del suo vicino, la misteriosa ed affascinante Hannah, che proprio dal genitore pare essere tenuta quasi sotto chiave.
Quando una notte, deciso a capire il perchè dell'ingombrante presenza del padre della teenager, Zach, accompagnato dal nuovo amico Champ, si introduce nella casa di Hannah, scopre che lo spigoloso papà è in realtà il famoso scrittore di romanzi horror per ragazzi R. L. Stine, e che le opere dello stesso sono custodite gelosamente da serrature che, se aperte, hanno il potere di liberare i mostri protagonisti delle fantasie dell'autore nel nostro mondo.
Quando, per una casualità, i mostri troveranno il modo non solo di uscire, ma di ribellarsi, per i ragazzi e Stine inizierà un'avventura che potrebbe costare loro - ed all'intera città - ben più di qualche spavento.











Ricordo bene il periodo in cui i Piccoli Brividi fecero capolino nell'allora casa Ford: mio fratello, tra la fine delle elementari e l'inizio delle medie, si prese una vera e propria cotta per i volumi firmati da R. L. Stine, che il sottoscritto, già nel pieno del turbine dell'adolescenza, snobbò se non nei momenti in cui, mosso da sentimenti da fratello maggiore, chiedevo qualche informazione rispetto agli argomenti trattati.
L'uscita del film in sala, a quasi vent'anni dall'esplosione del fenomeno legato all'opera di R. L. Stine, mi ha lasciato, in un primo momento, piuttosto tiepido, un pò per la scarsa dimestichezza con il prodotto, un pò per la presenza di Jack Black, che negli ultimi anni ha finito per interpretare la caricatura di se stesso neanche fosse Johnny Depp: giunto, dunque, sugli schermi della casa Ford attuale più per dovere di cronaca che altro, Piccoli brividi ha finito per assumere le proporzioni della quasi grande sorpresa.
Scritto e diretto con lo spirito del Cinema d'avventura per ragazzi anni ottanta - nel pieno del movimento revival che ha caratterizzato tutto il duemilaquindici -, citazionista ma mai spocchioso o eccessivo, divertente e ritmato, il lavoro di Rob Letterman non solo è riuscito a tenermi incollato allo schermo dall'inizio alla fine e a solleticare una certa curiosità per la collana che l'ha ispirato, ma anche a sfiorare una valutazione perfino più alta minata soltanto dalla scelta - giusta, considerati i buoni incassi - di tenere aperto il finale regalando al pubblico un paio di concessioni tipicamente hollywoodiane che non stonano ma riportano l'intera operazione su binari più convenzionali di quanto non si possa pensare nel corso della visione.
Nonostante questo, la valutazione dell'intera operazione non può che risultare positiva, ottima per un pubblico più giovane così come per gli eventuali genitori - o fratelli maggiori - pronti ad accompagnare i piccoli nel viaggio accanto agli azzeccati protagonisti Zach, Hannah e Champ - il vero jolly della produzione - e nella battaglia ingaggiata da questi ultimi contro i mostri liberati dai romanzi scritti da R. L. Stine - che trova anche il tempo per una frecciata presumo bonaria a Steven King -: e tra una fuga ed una lotta, un lupo mannaro ed un gruppo di piante carnivore, assistiamo anche ad un paio di momenti decisamente profondi - tanto da riportare alla memoria lo splendido Un ponte per Terabithia - abilmente celati da un'atmosfera easy e scanzonata, all'interno della quale funziona di nuovo e per la prima volta da anni proprio Jack Black.
Una più che discreta sorpresa, dunque, che non solo ha tenuto gli occupanti del Saloon ben incollati allo schermo nonostante la stanchezza del lavoro e delle imprese genitoriali, ma che ha saputo dosare la nostalgia dell'amarcord per i tempi che furono - nel nostro caso, quelli de I Goonies e de La storia infinita, o al massimo di Jumanji, che mi sono ripromesso di recuperare a breve - ed i brividi per una nuova proposta nella quale il Fordino o la sua sorellina in arrivo potranno ritrovarsi in futuro tanto quanto i loro vecchi.
E questo è il bello dell'Avventura.
Quella con la maiuscola, e senza età.
Brividi d'orrore, d'amore o d'emozione, poco importa.
L'importante è sempre il brivido.




MrFord




"Bruh, I can't, I can't even lie
I'm about to be that guy
someone else gon' have to drive me home
la la la
bang-a-rang-rang, bang-a-ring-a-rang-rang
bass in the trunk, vibrate that thang
do your thang, thang, girl
do that thang like la la la."
Jason Derulo - "Get ugly" - 






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