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martedì 31 luglio 2012

Starship troopers

Regia: Paul Verhoeven
Origine: Usa
Anno: 1997
Durata: 129'




La trama (con parole mie): Johnny Rico, la sua ragazza Carmen Ibanez e l'inseparabile amico Carl Jenkins sono all'ultimo anno di liceo in una Buenos Aires di un futuro in cui l'uomo vive in un mondo dall'impronta militaresca in cui i Cittadini - ex militari - hanno possibilità ben maggiori rispetto ai Civili. Un mondo in cui gli abitanti della Terra sono in guerra con insettoidi figli di un sistema dall'altra parte della galassia, che i vertici dell'esercito vorrebbero liberato dai suoi occupanti per la sicurezza del nostro pianeta.
Quando Carmen e Carl, terminati gli studi, corrono a farsi reclutare - la prima come pilota, il secondo come genio dell'intelligence - per Rico pare non esserci altra scelta che la Fanteria, vera e propria carne da macello pronta a disinfestare gli angoli più remoti popolati dagli bellicosi aracnidi.




Ero ancora al liceo quando un mio vecchio amico dalle preferenze politiche ben definite - diciamo molto a destra della destra - con il quale condividevo le disavventure dell'ultima fila in classe nonchè dei personaggi scomodi di un gruppo fin troppo collaudato, la musica e le uscite il sabato sera, venne da me esaltatissimo per un film che aveva visto quasi per caso e che l'aveva conquistato nel profondo.
Il titolo in questione era, per l'appunto, Starship troopers: ricordo che la prima visione mi divertì non poco, e per parecchio tempo continuai a rivederlo come una sorta di enorme giocattolone dal gusto un pò kitsch ovviamente privo di quell'aura quasi mitica ed esaltante che il suddetto amico continuava ad attribuirgli.
Vennero poi gli anni in cui mi rifugiai nel Cinema d'autore come il peggiore dei radical chic, e capitò che, guardando un'intervista a Jodorowsky tra i contenuti extra di un dvd, scoprii che uno dei film preferiti del regista cileno era proprio Starship troopers, che lo stesso reputava geniale per l'ironia con la quale approcciava i concetti alla base del fascismo - che lui, come i nostri nonni qui in Italia, deve aver conosciuto e sperimentato sulla pelle -: tornai così a rispolverare quello che avevo catalogato come una tamarrata sci-fi e a distanza di anni decisi di osservarlo con occhi diversi, rimanendo stupefatto per il piglio che Verhoeven aveva cercato di attribuire alla sua creatura, un pò come era accaduto per Atto di forza o Robocop - agghiacciante la pubblicità della Federazione con i soldati che regalano i proiettili ai bambini nel parco, peraltro clamorosamente attuale -.
Tra i tre titoli, sicuramente Starship troopers è il più debole: velenoso ed intelligentissimo eppure incapace di uscire dalla sua cornice di film action per assestarsi come una critica al militarismo ed alle credenze di "onore e gloria" tipiche delle dittature - anche democratiche - di stampo militaresco.
Un vero peccato, perchè le vicende di Rico e compagni, se scritte e girate in totale libertà dal regista olandese - forse pressato dalla produzione - avrebbero potuto assumere le fattezze di una gigantesca burla in barba agli errori dei governi del secolo scorso e a quelli ben più recenti degli Stati Uniti targati Bush Senior e Junior ben più pesante di quelle mosse da Michael Moore ed affini.
D'altro canto, il lavoro di Verhoeven potrebbe nascondere più di un trabocchetto, dato che lo spettatore, inevitabilmente, finisce per fraternizzare e solidarizzare con Rico e compagni - e stiamo parlando della Fanteria, ovvero i manovali di un esercito che pare sempre insolitamente lontano dalla battaglia e dalla lotta quando si tratta dei suoi vertici - e buttarsi al loro fianco sperando in una vittoria contro gli aggressivi aracnidi che, a loro modo, paiono figli di una società in qualche modo simile a quella terrestre, in cui un'elite viscida e cervellotica manda a morire migliaia di ragazzi "partiti per un ideale, una truffa, un amore finito male", per dirla come De Andrè.
Ottimo, in questo senso, l'utilizzo dei personaggi di Carmen e Dizzy, che incarnano le due nature - o le due politiche? - pronte a battersi per il cuore - o i servigi? - di un combattente nato come Rico.
Interessante anche il cast, caratterizzato da volti discretamente noti del grande e piccolo schermo, dai caratteristi storici Michael Ironside e Clancy Brown - il Kurgen di Highlander, per intenderci - a Denise Richards - che tutti gli adolescenti anni novanta ricorderanno come star di Sex crimes -, passando da attori sconosciuti eppure familiari a tutti gli appassionati di serie tv come Dina Meyer e Neil Patrick Harris, o figli d'arte come Jake Busey, figlio del mitico Gary di Un mercoledì da leoni e Point break.
Senza dubbio, e nonostante un risultato certamente non perfetto, dunque, un cult tutto anni novanta da recuperare per gli appassionati del genere e non solo, che potrebbe riservare sorprese soprattutto nell'ambito delle riflessioni politiche e sociali anche ora, nel pieno degli anni della guerra al terrore e delle morti di tanti ragazzi partiti - e torna di nuovo alla mente il Fabrizio nazionale - come Piero, quelli che "per morire di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio".
Quelli come Rico, Dizzy ed Ace.
Quelli che lottano, come noi, perchè credono che è così che debba andare, e finiscono per morire in onore di qualche cervellone floscio che non vuole alzare il culo dalla sua poltrona.
In questo, Umani e Insetti non paiono poi così diversi.


MrFord


"Dove sono i generali
che si fregiarono nelle battaglie
con cimiteri di croci sul petto.
Dove i figli della guerra
partiti per un ideale
per una truffa, per un amore finito male.
Hanno rimandato a casa
le loro spoglie nelle bandiere
legate strette perché sembrassero intere."
Fabrizio De Andrè - "La collina" -


 

giovedì 20 ottobre 2011

Red State

Regia: Kevin Smith
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 88'



La trama (con parole mie): Travis, Randy e Billy Ray sono tre adolescenti tipici della tipica cittadina della provincia Usa, cazzoni e traboccanti di ormoni come chiunque alla loro età. 
A seguito di un contatto recuperato online dal primo, per il gruppo di amici si prospetta una serata di sesso in roulotte con una milf vogliosa, in modo da potersi vantare in classe e sentire il proprio ego crescere a dismisura.
Peccato che la suddetta signora dalle apparentemente porche intenzioni altro non sia se non la figlia del reverendo Cooper, fondatore di una Chiesa così integralista e terrificante da far apparire la setta di Manson un gruppo di boyscout in gita.
I giovani vengono dunque catturati e portati nel ranch che funge da base operativa di questa sorta di culto in attesa di essere uccisi in quanto espressioni del potere del demonio sulla Terra.
Una serie di coincidenze fortuite, però, porterà l'ATF e l'agente Keenan a bussare alla stessa porta con l'intento di mettere in salvo gli ostaggi e fermare Cooper e la sua famiglia.
E sarà l'inizio dell'Apocalisse.



Sono ancora discretamente scosso, lo ammetto.
E sono molto, molto curioso.
Ad ogni minuto che scorreva nel corso della visione di Red State, mi sono chiesto cosa potrebbe essere accaduto a Kevin Smith per arrivare a produrre un film di questo genere.
Kevin Smith il pacioccone, Silent Bob, l'amicone di Clerks, quello tutto fumetti e romanticismo che ironizza sulla sua stazza e prenota due posti vicini per viaggiare comodo in aereo è stato forse rapito e sostituito da un suo clone malvagio?
Dove sono finiti, Zack&Miri!? E Dante, Randall ed Elias!?
Morti e sepolti, viene da pensare e da credere.
Perchè Red State è un film violento, cattivo, senza speranze ed arrabbiato. Molto arrabbiato.
L'ironia, o almeno quel poco che di essa si può intravedere, è sepolta sotto una coltre profonda di sangue, morte, lacrime, regole e facciate in grado di nascondere - più o meno bene - il marcio di un mondo che quasi per contratto marcio non dovrebbe essere.
E' sepolta sotto i melliflui canti espressione di una fede agghiacciante e terribile, fatta di bigottismo, provincialità estrema e paura.
Fatta di quel rosso che è il sangue, ma anche il colore di riferimento del Partito Repubblicano.
E oltre, ben oltre.
Nel sermone del reverendo Cooper in attesa del sacrificio e nella cieca obbedienza della sua terrificante famiglia allargata, negli occhi spaventati dello sceriffo Wynan - pubblico ufficiale e membro modello della comunità con il passatempo dei giovani immigrati messicani -, nell'eccesso di zelo da "chi controlla i controllori" di Keenan e degli agenti dell'ATF c'è tutto il marcio di una società crudele e senza speranza, bigotta ed ottusa, incapace di crescere e preservare i suoi figli, che ricorda il crudele gioco di Elephant e lo trasforma in una furiosa caccia all'uomo in cui tutti sono nemici, e nel bel mezzo di una giungla in cui le regole e i dogmi sono la base di ogni azione, pare che i suoi rappresentanti siano quanto di più lontano vi sia da quelle stesse regole, da quegli stessi dogmi.
Una società che ha in Travis e Dana le sue vittime sacrificali, e nell'agente Harry e nella delirante Sara le braccia armate di una lotta che pare tutta indirizzata verso chi potrebbe davvero cambiare le cose, e forse proprio per questo finisce per subire una punizione ancor più pesante e terribile di chi, al contrario, decide di fare finta di nulla, e credere in quello che i Cooper o le agenzie governative possono raccontare per nascondere la polvere sotto il tappeto.
In questo senso, appare ancora più agghiacciante la presa di coscienza di Keenan: "La gente fa le cose più strane quando crede di averne il diritto. Ma ancora di più quando crede e basta."
In cosa crede, dunque, questo Red State?
Da una parte, in una Chiesa folle e spietata, che giustifica la protezione dei propri steccati dipinti di fresco con la paura del Diavolo - e degli omosessuali, ovviamente - e la sazia con il sangue, soddisfatta della purezza della sua selezione - ricorda qualcuno, vero? -.
Dall'altra, un Governo freddo e reazionario, in grado di sfruttare i suoi uomini facendo loro credere di stare facendo la cosa giusta, anche quando significa portarsi dietro - e dentro - il fardello ed il tributo di sangue richiesto.
Qualcosa in comune, questi due lati della medaglia, paiono proprio averlo.
E quel sangue che entrambi paiono reclamare a gran voce è sempre - o quasi, e soprattutto - quello degli innocenti, delle generazioni che dovranno abituarsi a scegliere da quale parte stare senza sapere che, se non sceglieranno - o peggio, se sceglieranno altrimenti -, finiranno in pasto ad un buco nero - o rosso - che, da una parte o dall'altra, risulterà comunque necessario perchè le cose restino come sono.
Benvenuti nel Red State.
E non occorre essere negli Usa, per viverlo.
Anche qui abbiamo le nostre Chiese, e i nostri Governi.
E giovani vittime in mezzo, sacrificate sull'altare della cronaca.
Ha proprio ragione, Kevin Smith, ad essere arrabbiato.
Perchè il pensiero è che, se questo è quello che Dio e lo Stato ci garantiscono, ci vorrebbe davvero qualcuno che arrivi da un'altra parte, e dia a tutti questi mostri quello che meritano.
"Meglio regnare all'Inferno che servire in Paradiso", gridava ribellandosi il Lucifero di John Milton.
"Io sono il Diavolo, e sono venuto a fare il lavoro del Diavolo", recitava l'Otis di Rob Zombie.
Forse, in questo Red State sempre più globalizzato, ci vorrebbe davvero un'Apocalisse come si deve.
E che le sue trombe suonino soltanto per chi ci ha portati fino a qui.


MrFord


"Pleased to meet you
hope you guess my name
but what's puzzling you
is the nature of my game."
The Rolling Stones - "Sympathy for the devil" -
 
 
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