domenica 11 settembre 2016

13 hours - The secret soldiers of Benghazi (Michael Bay, USA, 2016, 144')



Ricordo bene l'esperienza surreale ed assurda dei tre giorni della visita di leva, ai tempi in cui il rischio di finire preda dello Stato senza volerlo era clamorosamente più concreto di oggi: ricordo anche che, nel pieno dell'adolescenza tutta Letteratura e ribellione, nonostante l'ideale romantico del giovane eroe che muore o torna segnato per sempre da una lotta senza quartiere, detestavo l'idea del militare, così come tutto quello che ne conseguiva.
Poi il tempo è passato, io sono cambiato, e benchè ancora oggi mi sia inviso un certo tipo di istituzione, ed ancor più la guerra e la sua strumentalizzazione, sarà perchè nel frattempo ho avuto dei figli, ho cominciato a nutrire del rispetto profondo per chi, sbagliando oppure no, ha dato tutto e più in prima persona ed in prima linea mosso dall'idea, falsa o vera che fosse, di proteggere chi ha amato.
E nonostante il Servizio Civile sia stata l'esperienza lavorativa e formativa più importante della mia vita, penso che, se dovessi fare la scelta che ho fatto ai tempi della visita di leva, opterei oggi quantomeno di provare sulla pelle l'esperienza dell'Esercito.
Ma tutta questa filippica fordiana sulla vita, penserete voi, a cosa porta, ed a che pro, nel giorno del quindicesimo anniversario dell'undici settembre più famoso della Storia - perchè ce ne sono stati anche altri passati quasi sotto silenzio, dal golpe in Cile nel settantatre a quello del duemiladodici ripreso da questa pellicola -?
Precisamente a Michael Bay, uno che ai tempi della suddetta visita avrei evitato come la peste, e che dopo anni di produzioni e blockbuster inutili pare essersi dato una bella svegliata, se non altro con il piccolo miracolo che fu Pain&Gain e con questo lampo degno del miglior Peter Berg - qualcuno ha detto Lone survivor? -: in un'epoca in cui il mondo sembra correre sempre più incontro alla follia - anche se, a ben guardare, con mezzi e situazioni diverse è sempre la Storia che si ripete, purtroppo, senza che l'Uomo impari dai suoi errori - non è da tutti, soprattutto dai nostri cari amici ammeregani, raccontare una guerra non più solo "buoni contro cattivi", in cui tutto è bianco o nero e le cose sono semplici e dirette.
Ora, semplice e diretto è solo il destino degli ultimi della catena alimentare da entrambi i lati della barricata, quelli che sputano sangue e pallottole rischiando per intrighi politici spesso e volentieri molto discutibili: ispirandosi ad un reale fatto di cronaca, Bay ci trasporta in un vero e proprio inferno da assedio degno di una versione purtroppo reale de Le brigate della morte di Carpenter, girato alla grande - spesso anche troppo, considerati alcuni colpi di mano con droni e slow motion forse un tantinello tamarri - e legato al sacrificio che una manciata di uomini dei corpi speciali statunitensi e di un nucleo segreto della CIA portarono a compimento per tenere una posizione che ricordava davvero parecchio la leggendaria Alamo nel cuore di una delle città più pericolose e segnate dalle guerre recenti di tutto il mondo, Benghazi, in Libia.
Probabilmente, questo 13 hours risulterà essere uno di quei titoli equivalenti ad una badilata di sabbia negli occhi per chi è sostenitore ed amante di un certo Cinema d'autore e di nicchia - dicesi radical - così come per tutti gli anti americani - e con questo non intendo simpatizzanti dell'Isis o simili, ovviamente - allergici ad un approccio e ad una cultura tipicamente "a stelle e strisce", e difficile da seguire per chi non è abituato a tutta la settima arte più recente - diciamo post undici settembre, per l'appunto - legata alle scene puramente d'azione diverse in tutto e per tutto dalle carrellate e dagli ampi spazi dei vecchi film di guerra.
La lunghissima sequenza dell'assedio - davvero impressionante a tratti, e molto realistica soprattutto nel rappresentare l'abitudine alla violenza ed alla morte di chi vive in prima linea - è forse uno degli esempi più interessanti di Cinema bellico degli ultimi anni, e varrebbe una visione non fosse altro che per analizzare quello che la settima arte figlia di uno dei paesi dalla Guerra più coinvolti al mondo attualmente ha interpretato rispetto alla cronaca ed alla realtà, in particolare in casi come questo, in cui la fiction si fa trasposizione di una storia vera.
E dietro l'apparente retorica si nasconde il grido disperato di chi perde tutto sul campo di battaglia anche in caso di vittoria e lotta disperatamente per poter tornare ad avere una vita normale.
Un'impresa che pare più difficile che affrontare la morte guardandola dritta negli occhi imbracciando un fucile.




MrFord





 

9 commenti:

  1. Recensione perfetta. Anche secondo me è un film che sotto uno spesso strato di retorica racchiude ben altri significati.Regia impeccabile,soprattutto nelle parti relative all'assedio.

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    1. Muchas gracias, Black. Abbiamo percepito, credo, il film allo stesso modo.

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  2. Davvero molto ben fatto,ci è piaciuto moltissimo!!!!

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  3. Ingiustamente passato tra il silenzio di tutti è, a conti fatti, il miglior film di Bay dopo Pain and gain. Regia stratosferica, violenza brutale e più di un'ora di assedio.
    Goduria.

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  4. piaciuto parecchio, forse la cosa migliore di Bay, e ovviamente non se l'è filato nessuno. Regia ottima, interpreti giusti, proprio belli

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    1. Secondo me la cosa migliore di Bay resta Pain&Gain, ma questo è assolutamente alla pari. Concordo in toto.

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