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mercoledì 26 novembre 2014

The protector 2

Regia: Prachya Pinkaew
Origine: Tailandia
Anno: 2013
Durata:
104'




La trama (con parole mie): Kham, eroe della liberazione, cinque anni prima, di uno degli elefanti destinati ai sovrani come nell'antica tradizione ormai dedito ad una tranquilla vita in campagna, si trova coinvolto in un complicato affare che lega interessi di guerra internazionali, il nuovo rapimento del suo elefante e la vendetta delle figlie di un boss locale ucciso e per l'omicidio del quale è ritenuto responsabile. 
Giunto in città sulle tracce del suo animale, Kham dovrà convincere le ragazze in cerca dell'assassino del padre che non è lui il bersaglio giusto, impedire un colpo di stato pronto a provocare un conflitto e sgominare l'organizzazione di LC, boss incaricato dai militari di sistemare le cose in modo che i progetti stabiliti nell'ottica della corsa agli armamenti facciano il loro corso.
Riuscirà l'uomo, con l'aiuto del vecchio amico Mark, a farcela ancora una volta?






Avete presente quei film dai quali non vi aspettereste nulla, se non una clamorosa sequela di schifezze messe in fila, e che, al contrario, finiscono per sorprendere in positivo?
Un buon esempio tra le mie visioni più o meno recenti è stato il primo The Protector, che da anni giaceva nel dimenticatoio ed ha finito, principalmente grazie alle evoluzioni del protagonista Tony Jaa - uno dei grandi poeti attuali del Cinema di botte, come già sottolineavo ieri -, per esaltarmi neanche fossi tornato ad avere dodici anni e sognare di essere un supereroe o un action hero: spinto dall'entusiasmo, ho dunque recuperato a traino il sequel, giunto quest'anno in sala e, considerata la sorpresa del primo film, preceduto da una discreta aspettativa.
Purtroppo per me, per Tony Jaa - sempre e comunque notevole - e per il divertimento e la goduria che i film di botte dovrebbero sempre garantire, le cose non sono andate affatto come avrei voluto: perchè nonostante un minutaggio finalmente rispettoso delle scelte originali del regista, una confezione forse più curata, una trama assurda e roboante, un RZA ospite d'eccezione più tamarro che mai - e non posso non volergli bene, considerati i suoi trascorsi musicali, l'esperienza da regista con L'uomo dai pugni di ferro e la partecipazione a Californication -, The protector 2 rappresenta il classico sequel al quale si poteva facilmente rinunciare, pronto a far rimpiangere tempi migliori a chi aveva amato la pellicola originale nonchè a far pensare ai radical chic che odiano questo tipo di operazioni proprio quello che pensano con ragione.
Ma non è finita qui, perchè ho anche un aneddoto, rispetto a quest'ultima fatica firmata Prachya Pinkaew: più o meno un paio di mesi fa - giorno più, giorno meno - alla notizia della sua uscita in sala, decisi di cogliere l'occasione per schiaffarmi la coppia di Protector in modo da presentarli in due post gemelli su due giorni di seguito, nel pieno rispetto del regime di programmazione di recensioni che mi permette di avere più o meno trenta giorni di respiro e di vantaggio per qualsiasi evenienza.
Con i due post impaginati, le trame preparate, i voti assegnati e la cornice pronta, ultimai il primo e proseguii nel mio percorso abituale qui al Saloon: almeno fino a ieri pomeriggio.
Riaperto il post per dare la classica occhiata di rifinitura del giorno precedente la pubblicazione, ho scoperto di non avere mai scritto nulla a proposito di The protector 2.
Considerati il Fordino, la vita in famiglia, il lavoro, la mole di film, serie, letture e chi più ne ha, più ne metta che cerco di buttare nel serbatoio della vita giorno dopo giorno, e che, fondamentalmente, si era trattato di una visione dimenticabile e particolarmente assonnata di un titolo decisamente non clamoroso, la scoperta era l'equivalente di una rinuncia alla pubblicazione.
Ma neppure di un film di botte incapace perfino di conquistare un fan di vecchia data dei film di botte come il sottoscritto è sempre completamente da buttare - quell'onore lo riservo davvero a poca immondizia ben peggiore di queste innocue e malriuscite tamarrate -: se non altro ho avuto l'occasione di rivelare qualche retroscena della vita del Saloon e del "processo creativo" dietro la creazione dei post - o la mancata creazione, come in questo caso - portando anche a casa il risultato.
Certo, Tony Jaa non sarà contento, e probabilmente potrebbe aver voglia di rendere pan per focaccia con un paio di ginocchiate delle sue - equivalente delle bottigliate all'interno di questo tipo di prodotti -, ma penso che incasserò il colpo e aspetterò di vedere il nostro alle prese con i due banchi di prova fondamentali di Fast 7 e The raid 3.
Sperando che non si rivelino sequel privi di carattere ed incapaci di lasciare il segno - anche in una memoria labile come quella del sottoscritto - come questo.



MrFord



"Now I am calling
hoping you'll hear me
we all need somebody
to believe in something
and I won't fear this
when I am falling
we all need somebody
that can mend... These broken bones."
Rev Theory - "Broken bones" - 



domenica 9 ottobre 2011

Lo zio Bonmee che si ricorda le vite precedenti

Regia: Apichatpong Weerasethakul
Origine: Tailandia
Anno: 2010
Durata: 114'







La trama (con parole mie): Bonmee è un vecchio agricoltore vedovo che da qualche tempo è malato. Richiama così nei suoi terreni la cognata in modo da prepararla al momento in cui morirà lasciandole terreni, attività e ricordi di una vita.
Inizia così un viaggio che coinvolge lo stesso Bonmee e la cognata, i lavoranti ed i fantasmi di un passato ormai lontano - la moglie e il figlio del protagonista -, i sogni e gli spiriti di questo mondo e quell'altro che dovrebbe toccare presente, passato, futuro, vita e morte.
Dovrebbe, perchè nonostante le bellissime immagini, quello che sembra è che l'unico vero scopo del regista sia stato quello di mettere le mani sulla Palma d'oro.



Per mesi ho evitato in scioltezza il confronto con la pellicola vincitrice del Festival di Cannes 2010, complici alcune recensioni entusiastiche di alcune tra le voci più radical chic della rete e non ed altre, decisamente meno lusinghiere, di persone il cui gusto è decisamente più vicino al panesalamismo fordiano.
Ultimamente, invece, una certa curiosità si era impadronita del sottoscritto a proposito della visione di questo film, quasi a voler soddisfare la voglia di un ritorno al Cinema orientale autoriale che da troppo tempo mancava all'appello sugli schermi di casa Ford.
Così, con la mente sgombrata della maggior parte dei pregiudizi, ho affrontato la visione di questo curioso Lo zio Bonmee che si ricorda le vite precedenti.
Ebbene, malgrado quello che possa trasparire da questa introduzione, ho trovato la pellicola estremamente scorrevole, a tratti ispiratissima, arricchita da forti simbolismi ed immagini magnifiche ed in grado di fare tesoro di una calma zen anche nello stile di narrazione, fatto di molte inquadrature fisse e bolle di sospensione temporale.
Eppure, allo stesso tempo, posso tranquillamente affermare che questo film è quanto di più insopportabilmente furbo e radical chic si possa trovare in giro, una di quelle cose ruffiane che piazza l'immagine senza alcuna spiegazione o utilità per la trama giusto per solleticare l'ego smisurato dei giurati dei Festival, che di fronte ad opere di questo genere tendono a sbrodolare bavetta ed assegnare premi come se piovessero anche quando loro per primi, nel buio del lettuccio, prima di addormentarsi, sanno benissimo di non aver capito un beneamato cazzo di quello che è stato raccontato dal regista.
Anche perchè, parliamoci chiaro, l'impressione è che non lo sappia davvero neppure lui.
I simbolismi sono sempre apprezzabili, quando hanno un senso, e le differenze culturali - certamente notevoli - possono essere stimoli ad aprire la propria mente a nuovi orizzonti: ma quando sono costretto ad osservare la scena di un monaco - peraltro neppure troppo convinto di intraprendere la carriera religiosa - mai visto fino a dieci minuti dalla fine del film sotto la doccia per cinque minuti mi chiedo cosa mai quell'immagine possa smuovere in me avendo assistito a quella che, a tutti gli effetti, è una storia legata a doppio filo al confronto con il proprio passato e la preparazione alla morte e che, infatti, raggiunge il proprio apice proprio nel dialogo tra Bonmee e la defunta moglie a proposito del Paradiso, più o meno a metà del minutaggio.
Ora, forse la mia sensibilità non è abbastanza sviluppata per cogliere il nesso tra la morte ed un giovane monaco che si lava con il sapone alla citronella, però qualche dubbio a proposito della sincerità dell'opera questo passaggio - così come la penetrazione del pescegatto, nota stonata di una sequenza altrimenti splendida - l'ha suscitato senza neppure sforzarsi troppo.
Un vero peccato, dunque, per uno script che poteva dimostrarsi una sorta di La città incantata in versione umana - le parti dedicate alle scimmie umanoidi dagli occhi rossi sono decisamente affascinanti - ed invece si rivela soltanto l'ennesima cialtronata da club di cinefili che nasconde dietro immagini obiettivamente stupende la pochezza di un film davvero senza un perchè.
Ennesima conferma, dunque, di quanto la Croisette si stia rivelando una sorta di rifugio per i radical chic nonchè un'oasi sfiorita per gli amanti del Cinema, gli stessi che, fino a qualche anno fa, attendevano trepidanti un anno intero per potersi godere proprio sul litorale francese il meglio del meglio della settima arte.

MrFord

"Well you have no right to ask me how I feel
you have no right to speak to me so kind
some day I might (I might) find myself looking in your eyes
but for now, we’ll go on living separate lives
yes for now, we’ll go on living separate lives."
Phil Collins - "Separate lives" -
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