lunedì 5 luglio 2010

Caterina va in città

Non è facile riuscire ad essere equilibrati e passionali, se si è italiani e si porta sul grande schermo un film che tocca alcuni degli argomenti a più alto rischio di retorica e narrazione a grana grossa: adolescenza e politica.
Il buon Virzì, pur non figurando tra i nuovi volti del cinema italiano autoriale in toto - Sorrentino su tutti -, porta avanti con grande mestiere la tradizione della commedia all'italiana coinvolgendo nel modo migliore possibile, e pur senza sfoderare il capolavoro cinematografico per antonomasia, riesce nell'intento di rendere una visione importante, divertente, profonda ed emotivamente educativa, sempre che mi passiate il termine in questo contesto.
Da appartenente, poi, a quella stragrande maggioranza di minoranza sociale che è al centro della vicenda narrata, non posso che ritenermi più che chiamato in causa da una pellicola come questa e dalla figura illuminante di Caterina, uno dei personaggi meglio scritti e realizzati della "mitologia" del regista di Livorno.
Trapiantata a Roma dalla provincia, l'adolescente protagonista si ritrova catapultata in un mondo fatto di lobbies anche all'interno di quella che dovrebbe essere la spensierata ed immediata società scolastica - ma tutti sappiamo che non sarà mai vero -, spinta da un padre che per primo si sente fallito e chiuso verso nuove amicizie potenzialmente utili per un'azione di reset anche sulla sua carriera di professore infelice - grande Castellitto -.
Il meglio parte proprio da qui: il confronto fra l'alternativa Margherita, figlia di intellettuali di sinistra e a tutti gli effetti "rebel without a cause" e la pariolina Daniela, rampollo di una nobile e un deputato venuto dal fascismo di quartiere diviene specchio dell'impossibilità per Caterina di trovare un vero e proprio ruolo di protagonista all'interno di una società in cui le convenzioni politiche assumono la dimensione di una sceneggiata orchestrata affinchè le cose restino come sono, e i pochi appartenenti all'elite possano continuare a recitare il ruolo di finti rivali guardandosi al contempo le spalle a vicenda.
L'autista di Daniela - che è così bravo, se non fosse che è romanista - che recupera la ragazza durante una festa a sfondo sessuale, lo sfogo offensivo e ribelle di Margherita verso Giancarlo/Castellitto e il confronto fra i padri dopo il colloquio con il preside della scuola sono episodi esemplari che ricordano quanto ancora il nostro paese dovrà nuotare nei cachi prima di poter respirare la modernità, offrendo uno spettacolo da soap a chi, invece, è nato e cresciuto in un epoca più vicina al nuovo millennio, che, non solo geograficamente e mica per caso, sta "down under", dall'altra parte del mondo.
Meno maturo de La prima cosa bella, ma senz'altro deciso e sanguigno come Ovosodo.
E Caterina tutta la vita, perchè lei pare aver capito, al contrario di suo padre, che la forza di chi fa parte della maggioranza ai margini è quella di guardare sempre avanti.
E sempre avanti va, Caterina.
Perchè è lei la speranza che può portare l'Italia nel futuro.
Un futuro dove le teste rasate sono quelle dei bambini che hanno preso i pidocchi e i centri sociali i luoghi in cui i vecchi simpatici giocano a carte.

"Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta,
ma la gente che c'andava a bere fuori e dentro è tutta morta:
qualcuno è andato per formarsi, chi per seguire la ragione,
chi perchè è stanco di giocare, bere vino, sputtanarsi,
ed è una morte un pò peggiore."
MrFord

4 commenti:

  1. Grande Caterina,
    peccato che nella realtà una così non se la fila nessuno. Altro che lotte per l'appartenenza. E il bacio lesbo è troppo Kate Perry del cazzo!

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  2. Pensa, al liceo ho visto questo film con la scuola. All'uscita forse ero l'unica ad averlo capito veramente, non c'è unsolo argomento di fondo vero e proprio, è un insieme di "brutte" realtà che fanno parte della nostra -ahinoi- quitidianità, ma che rende Caterina la vincitrice su tutte!

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  3. io l'ho amato. Un po' retoprico in alcuini passaggi, ma il messaggio finale è efficacissimo.
    Virzì per me si conferma come uno dei migliori registi degli ultimi anni.

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  4. Giacometto, concordo.
    Virzì resta uno dei più popolari - eppure autoriali - registi che abbiamo.
    Certo, non sarà Sorrentino o Bellocchio, ma avercene, di film come questo!

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